Diario da Gaza 23

“Abbiamo corso dei rischi per andare al mare perché amiamo la vita”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

26 febbraio 2024. Dei palestinesi si riuniscono in riva al Mar Mediterraneo a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.
AFP

Mercoledì 24 aprile 2024.

Oggi c’erano circa 36 gradi. Mentre tornavo a casa dopo aver fatto la spesa, ho detto alla mia famiglia che saremmo andati al mare. La cosa li ha un po’ sorpresi perché sanno tutti che è diventato un luogo pericoloso, dove le navi da guerra israeliane sparano di continuo. Sapevo che non saremmo stati gli unici, visto il tempo. Infatti, molte persone hanno deciso di andare in spiaggia perché il caldo era insopportabile sotto le tende.

Una volta arrivati, sembrava quasi un normale giorno d’estate a Gaza: c’era un sacco di gente sulla spiaggia come prima della guerra, bambini che costruivano castelli di sabbia o facevano aquiloni con i colori della bandiera palestinese. Unica differenza: per vedere il mare, bisognava scendere lungo la strada costiera invasa dalle tende degli sfollati.

Si dimentica tutto

Molte donne erano lì per lavare i panni, perché manca l’acqua. È anche vero che l’acqua di mare non lava bene a causa del sale, ma non potevano fare altrimenti. C’erano dei venditori ambulanti che vendevano dolcetti per i bambini, altri che preparavano pane caldo e sfoglie al formaggio con forni di argilla trasportati fin lì. Avevano anche della legna per accendere il fuoco, mentre altri vendevano vestiti di seconda mano per donne o bambini.

Le donne hanno fatto il bagno con il loro abito da preghiera, perché non ne hanno più altri. È una specie di velo che copre tutto il corpo. Molte di loro non hanno più le scarpe. A casa nostra non ci sono più né sandali, né ciabatte, oppure sono distrutte, lacere. Al mare si vedeva anche gente con un paio di scarpe spaiate. Ma, in spiaggia, non ci si fa caso.

Per la prima volta, Walid era molto felice. Prima aveva paura delle onde, ma questa volta è andato a fare il bagno con i suoi fratelli. Poi abbiamo costruito dei castelli di sabbia. Per la prima volta si è accorto della spiaggia, del mare, dei castelli.

È una fortuna che ci sia il mare a Gaza. È vero che viviamo in una prigione a cielo aperto, ma anche nelle condizioni peggiori, c’è sempre questa piccola finestra. Guardavo tutta questa gente felice di fare il bagno, i sorrisi dei bambini. Per un attimo abbiamo dimenticato tutto, la miseria, l’umiliazione, le tende, i bombardamenti, i massacri... E vedere le persone divertirsi come se niente fosse mi ha reso ancora più felice, perché è una cosa che non sarebbe piaciuta, ne sono sicuro, né a Benjamin Netanyahu, né agli israeliani in generale.

Mahmoud celebrerà il suo matrimonio sulle macerie di casa sua

Netanyahu ha detto al ministro degli Esteri tedesco che non c’era miseria a Gaza perché la gente si divertiva in spiaggia. Il desiderio degli israeliani è che la gente di Gaza resti sempre nella miseria e sotto le bombe. Non riescono a capire che, nonostante tutti gli anni di occupazione dal 1948, nonostante il blocco, nonostante le incursioni militari e le bombe, siamo un popolo che ama la vita e che vuole viverla, anche se il prezzo da pagare è la morte. Sono convinti che siamo un popolo che cerca la morte, e invece è esattamente il contrario.

Abbiamo corso dei rischi per andare al mare perché amiamo la vita. Abbiamo continuato a celebrare matrimoni sotto le tende di fortuna, perché amiamo la vita. Mahmoud, il fratello di mia moglie Sabah, doveva sposarsi il 3 novembre scorso, ma il matrimonio è stato rimandato. Ora, dopo la morte di suo padre, ha preso la decisione di sposarsi in ricordo di suo padre che ci teneva a vedere il giorno del suo matrimonio. E così lo celebrerà sulle macerie di casa sua.

Rischiamo la vita perché la amiamo. Andiamo a cercare sacchi di farina anche sapendo che c’è il rischio di essere bombardati. Andiamo al mare perché amiamo la vita, anche se sappiamo benissimo che le navi israeliane possono spararci addosso, come è successo più di una volta. Vogliamo restare a Gaza, non vogliamo lasciare questo posto perché amiamo la vita.

Mahmoud Darwish l’ha espresso molto bene:

E noi amiamo la vita
Ovunque andiamo
seminiamo piante lussureggianti
e raccogliamo vittime
Soffiamo nel flauto
il colore del lontano lontananza
e segniamo con un nitrito
la polvere del sentiero
Rendiamo i nostri nomi indelebili
come pietre
Fulmine, rendi la notte più chiara,
illuminata ancora un po’,
per noi che amiamo la vita
se troviamo la via per viverla.1

Potevamo vedere chiaramente le navi israeliane a poche miglia dalla spiaggia di Rafah. Potevamo sentire i bombardamenti degli F-16, soprattutto dal lato di Nuseirat e Deir el-Balah. Ma quel momento trascorso al mare ci ha fatto dimenticare tutto quel fragore e rumore di morte.

L’asino è “più fedele dell’uomo”

Ne volevo parlare perché tutti credono che a Gaza ci sia solo morte e distruzione. Malgrado tutti gli anni di assedio, abbiamo continuato a vivere, abbiamo festeggiato matrimoni, siamo andati al mare, abbiamo fatto barbecue e feste.

Siamo tornati dal mare a piedi, o su un carretto trainato da un cavallo o da un asino, come fanno i più poveri di Gaza. A volte il carretto è agganciato a un’auto. C’è anche un autobus molto affollato con persone ammassate l’una sull’altra. Noi siamo stati fortunati a trovare un carretto trainato da un asino. Mi è tornato in mente il giorno in cui abbiamo lasciato Gaza City: per la prima volta Walid e mia moglie sono saliti su un carretto, con l’umiliazione di essere stati cacciati di casa.

Ma oggi, a bordo di quel carretto, eravamo felici. Tornavamo da una splendida giornata al mare che ci ha fatto ricordare i bei tempi in cui ci divertivamo tutto il giorno, quando potevamo festeggiare senza rischiare la morte, senza paura dei bombardamenti. L’uomo che guidava il carro ha detto che siamo un popolo che non ha paura della morte, e che, anche se si parla tanto di un’imminente incursione militare israeliana a Rafah, la gente continua a vivere. L’uomo ha poi aggiunto: “O abbiamo perso il senso della paura, o allontaniamo la paura per cercare un attimo di gioia”.

È vero: allontaniamo la paura per cercare la gioia, per dimenticare tutto quello che accade intorno a noi. Siamo un popolo che ha sempre saputo affrontare il peggio. È vero però che non si tratta sempre di una cosa positiva. Adattarsi al peggio significa anche non ribellarsi e accettare tutto ciò che si è costretti a subire.

Allora ho chiesto al nostro autista: “E tu, sei pronto nel caso in cui dovessero entrare a Rafah?”. E lui mi ha risposto:

Sono uno sfollato del nord della Striscia di Gaza. Io e la mia famiglia siamo arrivati qui a bordo di questo carretto. Siamo stati i primi ad essere colpiti a Beit Hanun2. Ci hanno sfollato tante volte, prima a Deir el-Balah, poi a Khan Younis e, alla fine, siamo finiti a Rafah. Questa volta succederà la stessa cosa. Ci stabiliremo dove ci diranno di sistemarci. Ad al-Mawasi, in riva al mare? A Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza? Non so se sopravviveremo – tanto meglio – o se moriremo. Abbiamo già affrontato la morte tante volte.

L’uomo, parlando del suo asino, ha detto:

È più fedele degli uomini. Ha trasportato feriti e morti con il rischio di essere ucciso, soprattutto all’inizio dell’offensiva, quando eravamo sotto tiro. Non c’erano più ambulanze, né personale di soccorso.

Mi è piaciuto quel suo modo di fare ironia, e il modo in cui ha parlato di quell’animale come più fedele degli esseri umani mi ha davvero toccato. Malgrado la violenza della guerra, quell’asino non è scappato via. Al contrario, è rimasto lì quando serviva, come un vero amico, per aiutare la gente. Le sue parole mi sono rimaste impresse nella mente: siamo abbandonati da tutto il mondo che ci guarda mentre veniamo massacrati, e questo animale invece non ci ha abbandonati.

1Mahmoud Darwish, La saggezza del condannato a morte e altre poesie, trad. it. a cura di Tareq Aljabr e Sana Darghmouni, emuse, Milano, 2022

2Località vicina al confine con Israele