Diario da Gaza 111
“Ora la sensazione è che si voglia chiudere la questione”
Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, nell’ottobre 2023 ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza City insieme alla moglie Sabah, ai figli di lei e al loro figlio Walid, di tre anni, sotto la minaccia dell’esercito israeliano. Si sono rifugiati a Rafah, poi a Deir al-Balah e successivamente a Nuseirat. Dopo un nuovo trasferimento a seguito della rottura del cessate il fuoco da parte di Israele il 18 marzo 2025, Rami è tornato a casa con la sua famiglia il 9 ottobre 2025.
Giovedì 6 novembre 2025.
Ieri, mercoledì, era il primo giorno di Walid all’asilo. Non ho avuto scelta, ne hanno aperto uno nel mio quartiere di Rimal sud. Il giorno prima gli ho detto: “Ora sei un ometto, andrai a scuola per imparare. Potrai giocare con dei nuovi amici. Ci saranno giochi, scivoli, altalene”. Era molto contento di andare a scuola. Gli ho comprato una cartella con un disegno di una macchinina rossa, perché gli piacciono molto le macchine. Gli ho comprato anche un quaderno, una matita e un lunch box, in cui abbiamo messo della cioccolata, un panino e dell’acqua.
Dato che la scuola non è molto lontana da casa, l’ho accompagnato a piedi insieme a Faraj, il figlio del nostro vicino Hassoun. Abbiamo preso la via Abu Hassira, nella città occidentale di Gaza, una strada molto nota che porta il nome di una grande famiglia di pescatori che gestiva un famoso ristorante di pesce frequentato dai gazawi e dai visitatori stranieri. È una famiglia che ha perso centinaia di membri, uccisi dall’esercito di occupazione. La strada praticamente non esiste più.
Camminavo con i bambini in mezzo a un campo di rovine, tra due cumuli di macerie, quando Walid ha chiesto: “Chi è stato?”. Quando fa domande del genere, rispondo sempre “è stata la polizia”. Trovo che sia ancora troppo presto per spiegargli l’occupazione israeliana della Palestina.
Era tutto buio
La scuola si chiama Al-basma al-jadida (Il nuovo sorriso). C’era tanta gente davanti. Decine di genitori erano venuti ad accompagnare i loro figli, di età diverse, perché c’è anche una scuola elementare. Erano le 7:30 del mattino, ma fuori era ancora buio. Non si vedeva nulla, i bambini piangevano. Walid era preoccupato, ma l’ho rassicurato e alla fine era fermamente deciso a vivere questa nuova esperienza. L’edificio era stato bombardato, si vedevano pezzi di blindati, muri apparentemente ricostruiti. Tutti gli asili, le scuole, i licei e le università sono stati distrutti in parte o completamente dagli israeliani. Quelli che sono ancora in parte in piedi servono da rifugio per gli sfollati.
Abbiamo scoperto che la classe era nel seminterrato. La maestra è venuta a prendere Walid per mano. Li ho accompagnati. Giù era tutto buio, sembrava una grande prigione. Walid si è ritrovato in una stanza con una trentina di altri bambini. Prima, all’asilo c’erano una decina di bambini per classe, ma oggi ci sono ancora troppo poche strutture e tutti quelli che ne hanno i mezzi, come me, vogliono mandare i propri figli a scuola.
C’erano tanti bambini che piangevano. Lui era un po’ scioccato, non capiva bene perché si trovasse in quel posto così inquietante. Mi ha guardato negli occhi con uno sguardo che sembrava dire: “Ma papà, è questa la bella esperienza di cui mi parlavi?”. Gli ho risposto: “Va tutto bene”, e lui ha ripetuto: “Va tutto bene”.
Certo, una scuola sovraffollata in mezzo alle macerie non è il massimo, ma almeno Walid ha la fortuna di avere un papà che può permettersi di pagargli l’iscrizione all’asilo, di farsi degli amici, di iniziare a capire il concetto di studio e insegnamento, mentre centinaia di migliaia di bambini vivono per strada, facendo lavoretti nei mercati per aiutare i loro genitori o facendo la fila per un po’ d’acqua, per i pochi aiuti umanitari disponibili. La maggior parte dei bambini di Gaza è diventata adulta troppo presto.
Nelle farmacie non si trova praticamente nulla
Queste scuole sono private e la scarsità dell’offerta fa aumentare i prezzi. Ho dovuto pagare 300 shekel (75 euro) di iscrizione, più 170 shekel (42,50 euro) al mese. È una somma enorme a Gaza, che la maggior parte delle persone non può permettersi. I genitori prendono in prestito denaro a destra e a manca per pagare le tasse scolastiche, perché l’istruzione è molto importante per noi.
Tutto questo fa parte del progetto israeliano: distruggere tutto ciò che apparteneva al settore pubblico sostituendolo con il privato, nell’ambito dell’internazionalizzazione della Striscia di Gaza, ovvero la sua privatizzazione, per arrivare alla “Riviera” di Donald Trump. Lo stesso vale per la sanità, dove gli ospedali pubblici, in parte o completamente fuori servizio, sono stati sostituiti dagli ospedali da campo delle Ong internazionali. Lo stesso vale per il cibo e le medicine. Gli israeliani lasciano entrare solo i commercianti del settore privato, ma non gli aiuti umanitari gratuiti. Con il risultato che nei mercati si trova ciò che non è realmente necessario: ketchup, mille tipi di cioccolato, succhi di frutta, persino bibite gassate. Ma le proteine, il pollo, la carne, le uova sono rare e vendute a prezzi esorbitanti. Ci sono frutta e verdura, ma non sono alla portata della maggior parte della popolazione. Da noi, una famiglia media è composta da sette persone e la gente non può più permettersi una spesa del genere.
Nelle farmacie non si trova praticamente nulla. Ho cercato invano uno sciroppo per la tosse per mio figlio Ramzy, di sette mesi. I pazienti affetti da malattie croniche non hanno più nulla per potersi curare. Molte persone affette da tumori muoiono in silenzio e nel dolore. Visto dall’esterno, si potrebbe pensare che la vita stia riprendendo a Gaza, ma in realtà non è vita. È solo la non-vita che ricomincia. Non si può parlare di vita se non ci sono i pilastri della vita, l’istruzione, la salute, la casa. È impossibile ricostruire, o anche solo ristrutturare, case e appartamenti semplicemente danneggiati. Tutte le finestre della mia casa sono andate in frantumi, ma non trovo vetri per sostituirle, solo della plastica, e nemmeno quella del tipo giusto. Anche una tenda è un sogno irraggiungibile. La gente continua a vivere per strada, sotto teloni, e a cucinare con la legna. Si usa acqua sporca. È sempre più difficile trovare dell’acqua potabile.
Nessuno dice che è Israele a non rispettare il cessate il fuoco
Gli israeliani dicono: “Guardate i mercati, le caffetterie, i negozi di alimentari, abbiamo fatto entrare tutto il necessario, non c’è più carestia a Gaza”. Ma è solo una cosa di facciata. La realtà è che circa l’85% della popolazione vive per strada, l’85% dei bambini non va a scuola, l’85% degli studenti non va all’università. Inoltre, il 90% della popolazione non ha alcun reddito e dipende dagli aiuti umanitari... che non arrivano con il pretesto, secondo gli israeliani, che “Hamas ha violato il cessate il fuoco”.
Nessuno dice che finora è stato Israele a non rispettare il cessate il fuoco, a impedire l’entrata del numero di camion di aiuti umanitari che dovrebbero entrare ogni giorno; che non lascia entrare tutto ciò che è necessario per la ricostruzione, nemmeno le tende. Lo stesso vale per la vita quotidiana: medicinali, attrezzature mediche, coperte, vestiti per adulti e bambini. Nel frattempo, bombardano quando gli pare, con il pretesto che qualcuno si è avvicinato alla “linea gialla” che vieta l’accesso a oltre la metà della Striscia di Gaza. Oppure bombardano perché da qualche parte c’è un “pericolo” per l’esercito di occupazione.
Ancora una volta sono gli israeliani a non rispettare il cessate il fuoco. Le Ong internazionali continuano ad allertare il mondo per dire che gli aiuti umanitari, i medicinali e le attrezzature mediche non arrivano in quantità sufficiente. Ma il mondo preferisce voltarsi dall’altra parte. Tutto il mondo chiudeva già gli occhi quando c’era una guerra e un genocidio. Ora la sensazione è che si voglia chiudere la questione, che si faccia finta che tutto vada bene.
Non so quando questa situazione potrà essere risolta. Quello che so è che il popolo palestinese cerca ogni volta di rinascere dalle ceneri come una araba fenice. Il progetto degli israeliani è sempre quello di rendere Gaza invivibile per far andare via i gazawi. Ma se ci fosse un po’ di volontà da parte della comunità internazionale di far entrare gli aiuti umanitari e soprattutto i materiali da costruzione, noi saremmo in grado di ricostruire le università, ritrovando la nostra ricchezza principale, l’istruzione.
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