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Alla Corte dell’Aia, prima sconfitta per Israele

Anche se nell’ordinanza emessa il 26 gennaio 2024 dalla Corte Internazionale di Giustizia sulla causa intentata dal Sudafrica contro Israele non c’è la richiesta di un cessate il fuoco, il verdetto ha stabilito che le azioni di Israele a Gaza sono plausibilmente genocidarie. La sentenza preliminare rappresenta una sconfitta per Israele che Tel Aviv sta cercando di mascherare con una campagna contro l’UNRWA per sospendere i finanziamenti all’agenzia ONU per i palestinesi.

L’udienza per le accuse di genocidio presentate dal Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia, venerdì 12 gennaio 2024.
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L’ordinanza di misure cautelari, approvata il 26 gennaio 2024 dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sul ricorso presentato dal Sudafrica contro Israele, rappresenta una grave sconfitta giuridica per quest’ultimo, nonostante la Corte abbia evitato di imporre un cessate il fuoco immediato all’offensiva israeliana. Il verdetto emesso riconosce però espressamente il rischio di genocidio, e le misure cautelari – se rispettate – dovrebbero portare alla sospensione immediata delle operazioni militari israeliane, come richiesto dal Sudafrica.

Una decisione che implica conseguenze indirette per tutti gli Stati parte e per le Nazioni Unite, in quanto la Corte ha ribadito il carattere erga omnes partes1 degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio del 1948 (§ 33)2. È importante quindi non sottovalutare il valore simbolico e politico di questa ordinanza, ma sottolinearne il contenuto e il campo di applicazione.

La Corte riconosce il rischio di genocidio

Pur riconoscendo che sono già stati commessi atti di genocidio, come sostenuto nel ricorso presentato dal Sudafrica, non stupisce che nella fase preliminare, in cui è costretta a rispettare i tempi e la sua specifica giurisdizione per dirimere le controversie internazionali, la Corte si sia limitata ad accertare un reale e imminente rischio di genocidio (§§ 60-74). Il verdetto della Corte rappresenta già un successo molto importante per Pretoria, considerando il rifiuto occidentale ad ammettere il genocidio in corso a Gaza. Frutto forse di un compromesso, l’ordinanza è stata approvata a larga maggioranza dei presenti. Nessun giudice “occidentale” si è opposto, sebbene la Corte, presieduta dalla giudice statunitense Joan Donoghue, sia composta da giudici di nazionalità tedesca, francese, slovacca, australiana, che pur essendo indipendenti e non rappresentanti dei loro paesi, possono tuttavia essere sensibili alla loro posizione diplomatica.

È importante sottolineare il modo in cui la Corte ha motivato la propria decisione sui rischi di genocidio. Per quanto riguarda gli atti commessi, la Corte si è basata in larga parte, come aveva invitato a fare il Sudafrica, sulle segnalazioni delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali, citando le dichiarazioni più eclatanti: §§ 47, 48, 49, 53, 67, 68, 69. In particolare, la Corte ha preso atto della dichiarazione del Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) rilasciata il 17 gennaio 2024, al termine delle audizioni.

Per la Corte, “la popolazione civile nella Striscia di Gaza rimane estremamente vulnerabile (...). L’operazione militare condotta da Israele dopo il 7 ottobre 2023 ha comportato, tra l’altro, decine di migliaia di morti e feriti e la distruzione di case, scuole, strutture mediche e altre infrastrutture vitali, nonché massicci spostamenti di popolazione (...). Attualmente, molti palestinesi nella Striscia di Gaza non hanno accesso a beni alimentari di base, acqua potabile, elettricità, medicine essenziali o riscaldamento. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che il 15% delle donne che partoriscono nella Striscia di Gaza è probabile che incontri complicazioni e indica che i tassi di mortalità materna e neonatale sono destinati ad aumentare a causa della mancanza di accesso alle cure mediche (§§ 70-71).

Per quanto riguarda l’intento di distruggere la popolazione palestinese di Gaza intesa come “gruppo specifico”, la Corte, sulla base delle informazioni contenute nel ricorso del Sudafrica, ha voluto espressamente citare le dichiarazioni dei leader israeliani che avevano legittimamente allarmato molti osservatori. A tal fine, nelle motivazioni dell’ordinanza, vengono riportate le dichiarazioni del ministro della Difesa Yoav Gallant, del Presidente israeliano, Isaac Herzog, e del ministro dell’Energia e delle Infrastrutture, che nel frattempo è diventato ministro degli Esteri, Israel Katz (§§ 51-52)3.

Inoltre, è ormai assodato che quello palestinese, oltre ad essere un popolo a cui viene riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, è anche considerato un gruppo protetto nel significato dell’Articolo II della Convenzione sul genocidio. Un punto trattato brevemente nell’ordinanza (§ 45), ma che ora non dovrebbe più essere messo in discussione.

Il ricorso di Israele non è stato accettato

C’era motivo di temere che la Corte avrebbe avvallato la tesi del “diritto all’autodifesa” sostenuta da Israele per giustificare la sua offensiva su Gaza. Davanti alla Corte, Israele ha difeso la tesi con l’argomentazione del voler ridurre al minimo le morti civili a Gaza. Alla luce della posizione dei paesi occidentali e dell’Unione Europea, che hanno largamente sostenuto la tesi della legittima difesa, la Corte avrebbe potuto tenerne conto. La Corte avrebbe anche potuto riesaminare la sentenza emessa nel 2004, in cui si affermava chiaramente che non era possibile ricorrere all’autodifesa in risposta alle violenze causate nei Territori occupati. La Corte non si è espressa però sul diritto all’autodifesa, se non per ricordare le argomentazioni adottate da Israele (§ 40), decretando il totale fallimento dell’elenco di argomentazioni davanti al Consiglio di Sicurezza, dove era stata bocciata la Risoluzione presentata dagli Stati Uniti il 25 ottobre 2023. Non è quindi vero che la Corte, senza esplicita richiesta di un cessate il fuoco, abbia così riconosciuto il diritto di Israele all’autodifesa, poiché non c’è nulla nella sentenza della Corte che autorizzi a sostenerlo.

La richiesta indiretta del cessate il fuoco

La Corte non ha imposto espressamente l’immediata sospensione delle operazioni militari israeliane, cosa che ha suscitato la legittima delusione della popolazione di Gaza e di quella che è soggetta a una crescente oppressione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ma è una decisione in linea con la consueta cautela della Corte quando deve pronunciarsi sulla base della Convenzione sul genocidio. Anche in merito ai crimini commessi in Bosnia e contro la comunità Rohingya, la Corte si era limitata a indicare agli Stati interessati (Serbia e Montenegro, Myanmar) l’obbligo di prevenire atti di genocidio e di garantire che non fossero commessi dall’esercito4. È anche vero che, sul conflitto tra Russia e Ucraina, la Corte si era spinta oltre, ma la questione in quel caso era molto diversa e non costituisce quindi un vero precedente5. L’Ucraina aveva chiesto infatti alla Corte di stabilire che le accuse da parte della Russia sul genocidio in corso in Ucraina non potevano costituire un pretesto per un’operazione militare sul territorio ucraino. Sempre con un provvedimento d’urgenza, la Corte aveva poi accolto le richieste di Kiev, ordinando a Mosca di “sospendere immediatamente” le operazioni militari.

In realtà, l’osservanza delle misure qui imposte comporta l’obbligo da parte di Israele di sospendere le operazioni militari, per le caratteristiche e la natura dell’offensiva in atto. Secondo le convenzioni, la Corte obbliga Israele a prevenire atti di genocidio, garantendo che tali atti non vengano commessi dal suo esercito (misure 1 e 2). Quali sono questi atti? Quelli indicati nell’articolo II (a), (b), ©, (e) (d) della Convenzione sul genocidio: “uccisione di membri del gruppo”, “causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo”, “infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita atte a provocarne la distruzione fisica totale o parziale” e “imporre misure intese a prevenire nascite all’interno del gruppo”. Tuttavia, tenuto conto degli aspetti specifici della Striscia di Gaza (un’enclave ristretta densamente popolata) e della natura della strategia militare israeliana (bombardamenti a tappeto, sfollamenti forzati della popolazione, attacchi agli ospedali, drastico assedio totale), solo il cessate il fuoco consentirebbe a Israele di rispettare le misure cautelari dell’ordinanza. Ciò vale anche per i servizi di base e gli aiuti umanitari, di cui deve essere consentita la fornitura (misura 4). Infine, va notato che la Corte obbliga Israele a prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio (misura 3). Alla luce di quanto indicato dalla Corte nella sua motivazione, i primi a dover essere perseguiti dal loro sistema giudiziario dovrebbero essere proprio i leader israeliani, colpevoli di diffondere un linguaggio disumanizzante che incita al genicidio, cosa che già di per sé implica una responsabilità da parte dello Stato.

Le conseguenze dell’ordinanza

Ma la Corte non intende fermarsi qui, anzi ha dichiarato di voler riesaminare la condotta di Israele, e alla luce delle specifiche misure cautelari che ha deciso di adottare, ha chiesto allo Stato israeliano di presentare un rapporto da sottoporre alla Corte entro un mese (misure 6 e § 82). Un’ulteriore prova dell’imminente rischio di genocidio che incombe sulla popolazione di Gaza. Alla luce del contenuto del rapporto, che sarà poi comunicato al Sudafrica, non si può escludere che la Corte sarà costretta a inasprire le misure attualmente adottate.

D’altronde, lo statuto della Corte Internazionale di Giustizia, parte integrante della Carta delle Nazioni Unite, impone l’immediata notifica delle misure cautelari al Consiglio di Sicurezza (articolo 41 § 2), che si riunirà il 31 gennaio. Data la reazione degli Stati Uniti all’ordinanza della Corte, è troppo sperare che dal Consiglio scaturisca una proposta di Risoluzione che imponga un cessate il fuoco, accompagnato da sanzioni atte a farlo rispettare. Ma l’Assemblea Generale, in considerazione del previsto veto all’interno del Consiglio di Sicurezza e del rischio accertato di genocidio, potrebbe/dovrebbe intervenire per rafforzare le sue precedenti prese di posizione (Risoluzione del 12 dicembre 2023 che chiede un “immediato cessate il fuoco umanitario”), raccomandando un embargo in materia di armi, e perfino sanzioni economiche contro Israele. In un tale contesto, l’ordinanza potrebbe avere un forte effetto giustificativo.

Quanto agli Stati, se sono disposti a rispettare i principi dell’ordinanza assumendosi le proprie responsabilità, dovrebbero smettere di fornire assistenza militare, economica e diplomatica a Israele nell’offensiva militare a Gaza. Sulla base di una prossima Risoluzione dell’Assemblea Generale, o anche in sua assenza, gli Stati potrebbero adottare misure di ritorsione (misure diplomatiche) o contromisure quali sanzioni economiche al fine di prevenire un rischio di genocidio, ormai ampiamente dimostrato6. L’ordinanza della Corte è un atto giuridico che non invita gli Stati ad adottare misure (cosa che rientra nelle competenze della Corte), ma funge da promemoria per gli obblighi derivanti dalla Convenzione del 1948. Forse è questo il motivo per cui i principali media continuano a ignorare il valore simbolico e politico di questa ordinanza.

1“Erga omnes” è un’espressione latina che nel linguaggio giuridico indica: “Nei confronti di tutti”. Vale a dire, gli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio “sono dovuti da uno Stato parte a tutti gli altri Stati parti alla convenzione”. Ordinanza del 26 gennaio 2024, § 33.

2La Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, nota sinteticamente come UN Genocide Convention, è un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati parte a implementare l’applicazione di tale divieto. [NdT].

3Il 13 ottobre 2023, Israel Katz, all’epoca ministro dell’Energia e delle Infrastrutture di Israele, aveva dichiarato su X (ex Twitter): “Lotteremo contro l’organizzazione terroristica di Hamas e la distruggeremo. Si ordina a tutta la popolazione civile di Gaza di lasciare immediatamente l’area. Vinceremo. Non riceveranno una goccia d’acqua o una singola batteria finché non lasceranno il mondo”. Cfr. https://www.assopacepalestina.org/2024/01/27/il-testo-integrale-dellordinanza-della-corte-internazionale-di-giustizia-del-26-gennaio-2024/ [NdT].

4Applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Bosnia-Erzegovina c. Serbia e Montenegro), misure cautelari. Ordinanza dell’8 aprile 1993, § 52; Applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), misure cautelari. Ordinanza del 23 gennaio 2020, § 86.

5Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione russa), misure cautelari. Ordinanza del 16 marzo 2022, § 86.

6Per una breve panoramica della normativa vigente, si veda l’editoriale di Rafaëlle Maison, “Gaza: prévenir le génocide, une responsabilité qui pèse sur tous les Etats”, L’Humanité, 28 dicembre 2023.