Diario da Gaza 11

“Ecco un’altra risoluzione Onu che finirà nel dimenticatoio”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI.. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

New York, 25 marzo 2024. L’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield si astiene dal votare una risoluzione per un cessate il fuoco immediato a Gaza per il periodo del Ramadan.
ANGELA WEISS / AFP

Martedì, 26 Marzo 2024

Come sempre, anche stamattina sono uscito per andare a prendere dell’acqua e qualcosa da mangiare. Ho comprato una tanica di acqua “normale”, cioè leggermente salata, a 4 shekel (1 euro) per una tanica da 20 litri, ma che viene sempre riempita con 18 litri. L’acqua “potabile” – in realtà, non si tratta di acqua salata ma non è sicuro che si possa bere – costa di più, mentre l’acqua minerale, importata dall’Egitto, costa 4 shekel a bottiglia, ossia il prezzo di una tanica. C’erano decine, forse centinaia di persone che facevano la fila con me davanti alle autocisterne parcheggiate davanti alle moschee, alle scuole dell’Unrwa e agli uffici delle associazioni.

C’era una lunga coda anche davanti al panificio, dove ho comprato un sacco con due chili di pane per15 shekel. Prima dell’invasione israeliana, un sacco costava 2 shekel (50 centesimi). Oggi i panifici continuano a tirare avanti grazie agli aiuti umanitari, ma la farina scarseggia. È per questo che bisogna fare lunghe code. Spesso, quando non sono con i miei figli, dei giovani mi lasciano passare perché ora ho i capelli bianchi. E anche se abbiamo visto gente disperata nel nord attaccare dei convogli di aiuti umanitari, in generale la società ha conservato i suoi valori di rispetto e solidarietà.

Come sempre, ho visto le stesse persone in fila, la stessa stanchezza, le stesse facce, gli stessi sguardi. Non è cambiato niente. È una situazione che mi ha riportato alle mente le immagini del 1948. Proprio come ai tempi della prima Nakba, in strada si vedono tende dappertutto, c’è gente che vive nei campi profughi. Ci stanno mettendo tutti quanti in questi campi, così alla fine gli israeliani potranno bombardare o invadere Rafah. E oggi, come allora, c’è una risoluzione delle Nazioni Unite. Ma quante ne sono state rispettate? Nessuna. La risoluzione 242, la risoluzione 294, la risoluzione 338...

“All’epoca della Nakba, c’erano delle milizie, oggi c’è un esercito regolare”

Di fronte alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco per il periodo del Ramadan, approvata perché per una volta gli Stati Uniti non hanno posto il veto, mi sono detto, ecco un’altra risoluzione che finirà nel dimenticatoio. È la Nakba che si ripete. Stesso scenario e stessi attori: stessi occupanti, stessi occupati, stessa miseria, stessi massacri. Con una sola differenza: all’epoca c’erano delle milizie, e oggi sono diventate un esercito regolare.

Non ho avuto il coraggio di dirlo ai miei vicini. Prima di andare a fare la spesa, ho avuto il mio incontro quotidiano con gente che si aspetta che il “grande giornalista” spieghi loro cosa sta succedendo. E naturalmente tutti mi hanno fatto le stesse domande: “Allora, Rami, dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ora com’è la situazione? Cosa succederà? Quando finirà questa storia? Quando torneremo a casa? E cosa... e come... e quando...”.

Guardandoli negli occhi, ho visto un misto di stanchezza, speranza e gioia. Era la gioia di sentire che, per una volta, c’era una “risoluzione a favore dei palestinesi”. Lo scrivo tra virgolette, perché una tregua fino alla fine del mese di Ramadan non è proprio una risoluzione a favore dei palestinesi. La cosa non porterà a nulla perché Israele resta al di sopra della legge. Ma, guardando i miei vicini negli occhi, ho comunque risposto:

È una grande vittoria. Almeno gli israeliani hanno ricevuto uno schiaffo politico dagli Stati Uniti, il più forte alleato di Israele. Quindi è un buon segno che gli americani abbiano espresso il loro malcontento. È un buon inizio, che potrebbe portare a dei cambiamenti anche nel resto del mondo. Dopodiché toccherà alla Francia, alla Gran Bretagna e all’Europa in generale.

“Gli Stati Uniti hanno sempre dato miliardi di dollari e continueranno a farlo”

Più o meno convinti dal mio discorso, i vicini hanno risposto: “Ma sì, va bene, è un buon inizio”. Come sempre, ho cercato di tirarli un po’ su di morale. Questa volta non ho mentito del tutto, ma ho detto solo parte di ciò che pensavo. La metà positiva. Non ho esternato la metà negativa, che per me è molto più vera dell’altra metà. Sì, è vero che è stato uno schiaffo, ma è lo schiaffo di un padre al figlio che ha un po’ esagerato, non è per dire: “Smettila, questo non puoi farlo”. È come se il padre avesse rimproverato pubblicamente suo figlio per aver picchiato in maniera un po’ troppo dura un altro ragazzo durante una scazzottata. Ma dopo, una volta soli, il padre dice a suo figlio: “Sono orgoglioso di te. Se qualcuno ti dà uno schiaffo, devi spaccargli la testa”. È esattamente ciò che stanno facendo gli Stati Uniti. Ci possono essere divergenze tra gli Stati Uniti e Israele sul piano tattico, ma non su quello strategico. Gli Stati Uniti sono a favore della guerra. Il governo americano ha sempre dato miliardi di dollari agli israeliani e continuerà a farlo.

Tanto per cominciare, è davvero vergognoso chiedere un cessate il fuoco per le ultime due settimane del mese di Ramadan, ma non cercare di fermare la guerra. Poi c’è la richiesta di liberare gli ostaggi – israeliani, ovviamente – mentre ci sono più di 10.000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Nessuno ne parla, ci si preoccupa solo degli ostaggi israeliani, dei feriti israeliani, delle vittime israeliane. È così da sempre. Ma non riesco ancora a capire il perché. Non siamo forse tutti esseri umani? Trentaduemila morti palestinesi non sono un gran problema. Invece 1.200 morti israeliani, questo sì che è troppo, c’è bisogno di una risposta forte e di una punizione collettiva.

“Il mio timore è che il resto della guerra sarà ancora peggiore”

Il mio timore è che, per reazione all’astensione americana, Netanyahu finisca per invadere Rafah. Fino ad oggi, il presidente israeliano ha obbedito alle richieste americane di contenere il numero delle vittime. Si è passati da un bilancio di 300-500 morti al giorno a una media tra i 30 e i 50. Ma c’è il rischio che Netanyahu intensifichi gli attacchi, tornando alle medie di prima.

Netanyahu è alla ricerca di una vittoria, ma non ci sarà una vittoria per KO su Hamas. Annientare Hamas? Tutti sanno che non avverrà con questa guerra. Lo ripeto, Israele sta avviando dei negoziati. Alla fine, si arriverà a un compromesso. Non lo dico per sostenere Hamas, ma perché è sulla stessa falsariga degli Stati Uniti: gli americani hanno negoziato con i talebani in Afghanistan, con le diverse fazioni della resistenza irachena e persino con l’Iran.

Hamas rappresenta circa il 30-35% degli abitanti di Gaza. L’unica cosa che Israele può fare è trasferire i 2,3 milioni di residenti della Striscia di Gaza. È già riuscita a spostare 1,5 milioni di persone dal nord al sud, ed è riuscita a far fuggire all’estero oltre 100.000 persone, quelle in grado di pagare grosse somme di denaro all’esercito egiziano.

Il mio timore è che il resto della guerra sarà ancora peggiore. È probabile che, dopo essere stato rimproverato, il figlio dica: “Papà, visto che mi hai punito, allora butterò giù la porta”.

La mia speranza è che almeno gli aiuti alimentari arrivino direttamente nel nord della Striscia e a Gaza, e che si smetta di usare la fame come un’arma. E spero anche che gli europei si diano una mossa...