Diario da Gaza 4

“I blackout preannunciano sempre un’incursione militare, un nuovo massacro”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Persone a una stazione di ricarica per cellulari, alimentatori portatili e batterie per auto collegate a un generatore elettrico, sul lato di una strada a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 31 ottobre 2023.
MOHAMMED ABED/AFP

Rami Abou Jamous non ha potuto inviarci il testo scritto mercoledì 6 marzo, a causa del blackout totale a Gaza.

Giovedì 7 marzo 2024

Martedì c’è stato un blackout totale delle comunicazioni: telefoni fissi, cellulari e internet. A parte il blackout, comunicare è diventato complicata. Per connettermi, cammino per chilometri fino a un posto dove i giornalisti si incontrano e dove c’è un minimo di connessione. Sto usando una scheda SIM egiziana che mi ha inviato un amico. Ma bisogna ricaricarla, e per ricaricarla... occorre una connessione a internet. Ci sono ancora due compagnie che operano a Gaza, anche se con grandi difficoltà: Paltel (palestinese) e Ooredoo (di proprietà del Qatar). Nonostante ciò, gli israeliani interrompono le connessioni internet quando vogliono.

Martedì c’era grande preoccupazione perché i blackout spesso preannunciano delle operazioni da parte dell’esercito. Ogni volta che c’è un blackout, poi segue sempre un‘incursione militare e un nuovo massacro. Questa volta c’è stato un raid a Khan Younis. Sono morti, ad esempio, alcuni membri della famiglia Farkawi. Ci sono stati anche molti morti nel nord della Striscia di Gaza. I massacri non si fermano.

Come al solito, quando esco, i vicini si radunano intorno a me. Per loro sono il giornalista che sa tutto. In questo momento, tutti vogliono sapere cosa sta succedendo in Egitto con i negoziati. In generale, vogliono sentire ciò che fa loro piacere. Dicono: “Ci sarà una tregua, torneremo a casa durante il Ramadan”. Poi mi chiedono cosa ne penso. Li guardo negli occhi... Se la mia analisi personale non è in linea con la loro, non ho il coraggio di dire la verità.

Oggi però vorrei parlarvi delle trattative in corso, e in particolare dello stato d’animo dei negoziatori palestinesi. Il problema è che gli israeliani lasciano intendere che il vero obiettivo sia quello di un cessate il fuoco, o liberare i prigionieri da entrambe le parti. Mi chiedo se i negoziatori palestinesi conoscano davvero certe realtà. Non sto parlando della carneficina, dei massacri, che sono sotto gli occhi di tutti, ma delle azioni che stanno mettendo in atto gli israeliani. Ogni volta che si rinvia l’accordo, gli israeliani intensificano le loro azioni. Hanno lasciato intendere che, se si dovesse arrivare a un accordo, non ci saranno “zone cuscinetto”1. Eppure, le stanno creando. Saranno direttamente collegate al territorio israeliano, di conseguenza si tratta di un’annessione. Stiamo parlando di un’area larga uno o due chilometri, tutta intorno alla Striscia di Gaza, pari a circa il 20 per cento del territorio. Un’altra azione in atto è la strada che attraverserà l’intera Striscia di Gaza, separando il sud dal nord dell’enclave. Sarà un grande posto di blocco come quello che c’è tra Ramallah e Gerusalemme, a Qalandiya2.

Lo stesso vale anche per Khan Younis, nel sud, e Gaza, nel nord. Non c’è più vita a Gaza, non c’è acqua potabile, né elettricità, non ci sono infrastrutture. A dire il vero, gli israeliani non stanno cercando di liberare i loro ostaggi. A Netanyahu importa poco o nulla. È evidente dall’atteggiamento dell’esercito israeliano che sta sparando sui suoi stessi ostaggi, in quanto un ostaggio morto vale meno di un ostaggio vivo. Non è questo il punto per Netanyahu. Le azioni messe in atto, la miseria e l’umiliazione hanno lo scopo di rendere difficile qualsiasi ricostruzione o ritorno. E questo ci porta al vero obiettivo: l’emigrazione “volontaria”. Una parola che mi fa veramente ridere: ti assediano, ti uccidono, non ti lasciano niente da mangiare, ma se vuoi andartene sei libero di farlo, non siamo noi che ti costringiamo a farlo. A causa di tutto quello che sta accadendo, ogni giorno circa 500 persone lasciano la Striscia di Gaza. La gente paga 5.000 dollari a testa, 2.500 dollari per chi ha meno di sedici anni, a un’agenzia egiziana, Ya Hala, per poter fuggire in Egitto. Se la guerra dovesse finire, un gran numero di persone vorrà andare via. Perché non c’è più vita nella Striscia di Gaza. Non sto parlando di Rafah che è la città dove mi trovo ora. Questa è l’ultima carta di scambio per Israele.

Non so se i negoziatori palestinesi siano al corrente di questa situazione. Ho l’impressione che siano totalmente concentrati sulla liberazione dei prigionieri palestinesi, e forse sul ritorno degli sfollati. Ma non è questo l’obiettivo bellico degli israeliani. Occorre però fare una distinzione tra coraggio e saggezza. Se un leone minaccia la tua famiglia, affrontarlo con le armi in pugno è coraggio. Ma il coraggio da solo non basta, soprattutto quando c’è una così grande sproporzione di forze in campo. Ci vuole anche saggezza per rinunciare a obiettivi massimalisti come la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi. Perché l’obiettivo finale del leone non è uccidere la tua famiglia, ma quello di prendere il tuo territorio. Le persone sono disposte a morire. Ma ciò che ci uccide davvero è il fatto che stanno prendendo il nostro territorio, il nostro paese. In Cisgiordania, i coloni stanno distruggendo degli ulivi che sono più vecchi di loro. Sono alberi che, per i palestinesi, valgono più della loro stessa vita, e i coloni lo sanno, ed è per questo che li sradicano. Perciò vorrei dare un consiglio ai negoziatori: considerate che il vero obiettivo degli israeliani è il trasferimento forzato di due milioni e mezzo di persone all’estero, anche se si usano termini come “umanitario” o “volontario”. A Gaza, stiamo assistendo a una nuova Nakba. Come nel 1948, gli israeliani stanno massacrando i palestinesi per farli fuggire. L’esercito israeliano ha raccolto il testimone delle milizie dell’epoca.

1Zone che dovrebbero isolare la Striscia di Gaza da Israele. [Ndr].

2Un posto di blocco che isola la città di Ramallah in Cisgiordania. [N.d.R.