Diario da Gaza 21

“A Rafah sono comparse nuove gravi malattie”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI.. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Gaza, 11 ottobre 2023. Un bambino palestinese ferito viene curato nel pronto soccorso sovraffollato dell’ospedale Al-Shifa, dopo un attacco aereo israeliano.
Wikicommons.

Sabato 20 aprile 2024.

Ahmed, uno dei miei vicini di casa a Rafah, è tra quelli che vengono da me ogni mattina per chiedermi se ho qualche notizia su quanto sta accadendo. Oggi però è venuto per chiedermi un’altra cosa. Voleva sapere se ho dei contatti con Medici Senza Frontiere (MSF) o con altri medici stranieri.

Suo figlio di 5 anni, Adam, soffre di una malattia renale che non può essere diagnosticata. È già stato diverse volte all’ospedale Rantisi di Gaza City, il principale ospedale pediatrico della Striscia di Gaza. Adam aveva 3 anni quando ha iniziato a parlare dicendo che aveva male ai reni. Suo padre l’ha sempre portato a fare dei controlli. I medici dicono che suo figlio ha bisogno di un intervento chirurgico per endoscopia, un’operazione sofisticata che richiede un trasporto medico.

“Era tutto pronto... e poi è scoppiata la guerra”

Quando l’Autorità Palestinese si è stabilita nella Striscia di Gaza nel 1994, Yasser Arafat ha creato un sistema per trasportare gratuitamente i pazienti che necessitavano di operazioni complicate in Cisgiordania, Israele, Giordania o Egitto. Quando Mahmud Abbas (Abu Mazen) è salito al potere, ha eliminato la possibilità per gli abitanti di Gaza di farsi curare negli ospedali israeliani. E così Adam ora dev’essere necessariamente trasportato in Egitto.

Ahmed aveva preparato tutto, mancava solo una firma. E poi è scoppiata la guerra... e ora non sa più cosa fare. Mi ha detto che suo figlio sta soffrendo, che non smette di piangere. La malnutrizione fa peggiorare il dolore: “Alla mia famiglia posso dare solo cibo in scatola. Non ho la possibilità di comprare delle verdure, sono troppo care”.

Così sono andato a informarmi all’ospedale kuwaitiano, ma mi hanno detto che purtroppo non potevano fare nulla perché non avevano i mezzi. Ahmed, invece, è andato all’ospedale principale di Rafah, l’Abu Yousuf Najjar, ma ha ricevuto la stessa risposta. Gli ho chiesto se Adam fosse seguito da un medico. Mi ha detto di sì, che aveva un buon medico, ma che ha lasciato Gaza con la sua famiglia dopo l’inizio della guerra. Non è l’unico. Sono tanti i medici che hanno lasciato la Striscia per sfuggire alla morte e lavorare altrove. Ecco il motivo per cui mi ha chiesto se conoscessi dei medici stranieri che lavorano con le Ong a Rafah.

Non posso biasimarli. Tutti hanno il diritto di fuggire da questa macchina di morte, da questa carneficina, da questi massacri. Un medico è qualcuno che lavora per tutta la collettività. Per quanto mi faccia male sapere che così tanti di loro abbiano lasciato la Striscia di Gaza, sono sicuro che da qualche altra parte saranno utili per altre persone. Ci sono tanti bravi medici palestinesi sparsi in tutto il mondo. Qui a Gaza invece la loro presenza si fa sempre più esigua, ma rivivrà all’estero.

“So cosa vuol dire non poter fare nulla per un bambino che sta soffrendo”

Ahmed è consapevole del fatto che per eseguire questa operazione su un bambino di 5 anni bisogna lasciare la Striscia di Gaza. Ma almeno si può alleviare il dolore di Adam? Ahmed si chiede anche se c’è la possibilità di trasportare suo figlio in Francia o in qualche altro paese. Il problema è che io sono nuovo nel quartiere dove vivo, e che mi considerano il grande giornalista che sa tutto, una specie di ambasciatore della Francia a Gaza, o quello che ha contatti con le Ong perché un paio di volte ho aiutato degli amici. Ma non ho poi così tanti contatti e qui le necessità sono enormi. E soprattutto, non ho la possibilità di trasportare un bambino all’estero per farlo curare, tantomeno in Europa.

Ho la sensazione che le persone siano un po’ deluse quando dico che ci proverò, ma poi non riesco a trovare una soluzione. So molto bene cosa vuol dire non poter fare nulla per un bambino che sta soffrendo. Quando siamo arrivati a Rafah, mio figlio Walid si è ammalato, e io soffrivo perché non potevo aiutarlo, né farlo curare. Ci sono tanti bambini malati a Gaza. Sono comparse anche nuove gravi malattie, come l’epatite A, la diarrea di cui Walid ha sofferto tanto, le malattie dermatologiche nelle scuole dove sono ammassati gli sfollati, quelle respiratorie dovute al fumo generato dalla legna bruciata, ma anche dal cartone, o dalla plastica dove si fa bollire l’acqua. Anche Sabah, mia moglie, ne ha sofferto.

“La paura di partorire in tenda”

Un altro esempio nella nostra famiglia: la sorella di Sabah, Amal, non ha notizie di suo marito dal primo giorno di guerra. Non sa se è vivo, se è prigioniero in Israele o se è morto. Quando gli israeliani arrestano qualcuno, quella persona scompare. Prima, non appena qualcuno veniva arrestato, si poteva dare il suo nome alla Croce Rossa per avere delle notizie. Ma dopo il 7 ottobre questo non è più possibile. Quindi non possiamo avere notizie di Ismail, il marito di Amal. La gente dice che il suo taxi è stato colpito dai bombardamenti, ma non è una notizia sicura.

Lui e Amal hanno una bambina di nome Jouri, nata dopo 10 anni di matrimonio, grazie alla fecondazione in vitro. Questo mese, Amal deve partorire un secondo bambino, anche in questo caso concepito con la fecondazione in vitro. Ismail e Amal hanno investito tutti i loro risparmi per dare a Jouri un fratellino o una sorellina. Ma Amal non riesce a trovare un medico per partorire, perché ha bisogno di un parto cesareo. C’è l’ospedale da campo integrato degli Emirati a Rafah, o anche l’ospedale Awda a Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Ma Amal è una sfollata e vive in una tenda. È nata a Nuseirat, ma non sa se partorire nell’ospedale degli Emirati o cercare di andare a casa sua, perché ha il timore di un raid israeliano. Ha sentito parlare di centinaia di donne che hanno partorito in tenda senza assistenza medica. A volte ci sono parti prematuri a causa dello stress.

“Gli israeliani hanno distrutto i pilastri dell’intera società”

L’esercito israeliano ha demolito il sistema sanitario di Gaza, distruggendo gli ospedali, a cominciare da quello di Al-Shifa. Sosteneva che sotto ci fosse una rete sotterranea di tunnel dove si nascondeva il comando militare di Hamas. È stato realizzato anche un video in 3D per mostrare che c’erano quattro livelli di tunnel. Ma quando hanno fatto irruzione allo Shifa, gli israeliani non hanno trovato nulla. Era la fine di novembre, o l’inizio di dicembre, non ricordo. Ho perso un po’ la cognizione del tempo da quando è iniziata la guerra.

Non c’era nessuna rete di tunnel, né infrastrutture militari. Non c’era proprio niente. Sono comunque tornati per distruggere l’intero complesso ospedaliero, causando 200 morti e 300 arresti, sostenendo che gli arrestati facessero parte dell’ala militare di Hamas. Come al solito, tutti i media hanno ripreso le dichiarazioni dell’esercito senza però verificarle. Ora l’ospedale Al-Shifa è ridotto ad un cumulo di macerie. Inoltre, gli israeliani hanno distrutto anche il principale ospedale nel nord della Striscia, il Kamal Adwan. L’unico ancora funzionante è l’ospedale battista Al-Ahly di Gaza City, ma solo in minima parte. In realtà, non riesce a curare nemmeno le malattie stagionali. Anche l’ospedale Nasser di Khan Younis è stato attaccato con lo stesso pretesto. Oggi è senza energia elettrica, né generatori.

Il vero scopo di tutto questo era quello di distruggere il sistema sanitario, come gli israeliani avevano già fatto con il sistema educativo. Distruggere i pilastri che sorreggono l’intera società. Sabato, a Deir El-Balah, l’aviazione israeliana ha raso al suolo la sede della più grande industria farmaceutica di tutta la Striscia di Gaza.

Quello che spero è che Adam alla fine possa essere operato e che Amal non debba partorire in una tenda.