Focus Gaza-Israele

Il dilemma di Hezbollah di fronte alla guerra su Gaza

Dal 7 ottobre 2023 Hezbollah e l’Esercito israeliano si scontrano sul confine. Mentre la popolazione libanese teme una nuova guerra simile a quella del 2006, il Segretario generale del movimento, Hassan Nasrallah, è uscito dal silenzio per definire la strategia della sua organizzazione rispetto alla guerra contro Gaza.

Sostenitori di Hezbollah mostrano un ritratto di Hassan Nasrallah durante il suo discorso televisivo nella periferia sud di Beirut, 3 novembre 2023.
Ahmad Al-Rubaye/AFP

Il Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha rotto il silenzio il 3 novembre scorso. Ci si aspettava che reagisse dopo l’operazione «Diluvio di Al-Aqsa» condotta da Hamas il 7 ottobre, ma fino ad ora aveva permesso di esprimere il proprio punto di vista sulla situazione a Gaza e nel Libano meridionale solo allo sheikh Hashem Safieddine, presidente del Consiglio esecutivo di Hezbollah, e a Naïm Qassem, vice segretario generale del movimento. In un discorso molto atteso, Nasrallah ha tenuto a chiarire il suo posizionamento e la sua strategia. Rigettando le speculazioni occidentali sulla partecipazione iraniana all’attacco, il leader del partito sciita libanese ha precisato che si è trattato invece di una “decisione palestinese al cento per cento”, della quale neanche lui era al corrente.

Sull’apertura di un secondo fronte sul confine libanese, oggetto di tutte le attese, è rimasto molto enigmatico. Ha precisato che Hezbollah è entrato in guerra dopo l’8 ottobre per sostenere l’alleato a Gaza, attirare verso il nord una parte dell’Esercito israeliano e così facendo alleggerire la pressione su Gaza. “Quello che accade alla frontiera può sembrare poca cosa ad alcuni. Ma non è così”, ha affermato.

Il ricordo doloroso del 2006

Al momento i combattimenti restano molto localizzati, con scaramucce, infiltrazioni, attacchi alle postazioni di osservazione. Il partito di Nasrallah sta prendendo di mira soprattutto le Fattorie di Shebaa, un territorio libanese occupato militarmente dalle forze israeliane dal giugno del 1967. Nonostante le vittime registrate dalle due parti della frontiera israelo-libanese (56 perdite per Hezbollah, meno di 10 tra gli israeliani), i due belligeranti si stanno limitando a risposte molto ridotte, in modo da mantenere un equilibrio di deterrenza. I villaggi frontalieri libanesi e israeliani sono stati comunque evacuati, soprattutto dopo che Amnesty International ha accusato l’Esercito di Tel Aviv di utilizzare deliberatamente il fosforo bianco su zone civili e agricole.

Certo, Nasrallah ha avvertito: “Un’escalation sul fronte libanese dipende da due cose: l’evoluzione della situazione a Gaza e il comportamento del nemico sionista in Libano”. Nonostante la retorica bellica, gli ultimi incontri tra lo sheikh Saleh Al-Arouri, vice capo dell’ufficio politico di Hamas e Ziad Al-Nakhala, Segretario generale del Movimento della Jihad Islamica in Palestina, così come gli avvertimenti della diplomazia iraniana, nel suo posizionamento politico Hezbollah ha dovuto tenere conto della situazione interna libanese.

Dalle Forze Libanesi di Samir Geagea, al Partito socialista progressista di Taymur Jumblatt, passando per la Corrente patriottica libera di Gebran Bassil, fino al Primo ministro uscente, Najib Mikati, tutta la classe politica libanese teme un’escalation, e si rivolge ad Hezbollah facendo appello alla responsabilità.

Nabih Berri, presidente del Parlamento libanese, dirigente di Amal e alleato di Hezbollah, funge da intermediario tra quest’ultimo e gli emissari stranieri. Il leader del “Partito di dio” d’altronde ha fatto sapere che le cancellerie arabe avevano preso contatti con lui dopo l’inizio delle ostilità a Gaza per evitare un’escalation regionale. Indipendentemente dal consenso politico, il ricordo della guerra dell’estate 2006 è vivido per tutta la società libanese. In risposta ad un’operazione speciale di Hezbollah mirata a prendere in ostaggio alcuni soldati israeliani alla frontiera, l’Esercito israeliano aveva bombardato tutti i centri vitali del paese – centrali elettriche, ponti, l’aeroporto, il comparto industriale – paralizzandone l’economia.

Israele aveva sganciato 3000 granate al giorno sul Libano, inclusa Beirut. Oltre a neutralizzare le capacità militari del movimento sciita, il Gabinetto di sicurezza guidato dall’allora Primo ministro Ehud Olmert voleva mettere con le spalle al muro il governo libanese di Fouad Siniora per la sua neutralità rispetto ad Hezbollah.

Al di là delle importanti perdite civili provocate dai raid israeliani – almeno 1.200 vittime, in gran parte civili, e oltre 4.000 feriti – il paese fu investito dalla fuga di circa 1 milione di persone, e i costi per la ricostruzione superarono allora i 2,8 miliardi di dollari (2, 6 miliardi di euro). In tutto il Medio Oriente, Hezbollah fu rappresentato come “benedetto da una vittoria divina” sulle forze israeliane, ma il conflitto ha comunque riacceso le divisioni interne allo spettro politico libanese, in particolare sulla questione dell’arsenale militare del gruppo.

Oggi, e in particolare dopo il 2019, il Libano si trova in una situazione economica catastrofica, e dopo l’uscita di scena di Michel Anoun non ha più un Presidente da un anno. Anche se la maggioranza della popolazione sostiene la causa palestinese, l’apertura di un secondo fronte contro Israele resta altamente impopolare, in modo trasversale a tutte le comunità religiose.

Un intervento di Hezbollah renderebbe inoltre nullo l’accordo di demarcazione dei confini marittimi con Israele. Firmato il 27 ottobre 2022, permette al Libano di sperare in benefici economici derivanti dalle trivellazioni di gas offshore nel giacimento di Cana, al largo delle sue coste.

Relazioni che risalgono al 1992

Oltre all’importanza dell’equazione libanese, è il rapporto con Hamas a fornire una visione della percezione che Hezbollah ha del conflitto. Pur facendo parte dell’«asse della resistenza» guidato da Teheran, i due partiti islamisti non sono allineati sulla stessa agenda politica e difendono soprattutto i propri interessi.

Il 10 aprile 2023, mentre il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismaïl Haniyeh, era a Beirut, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in grande difficoltà sul fronte politico interno, aveva assicurato che non avrebbe “permesso ai terroristi di Hamas di stabilirsi in Libano”, e promesso di “ricostruire la sicurezza” nel suo paese agendo “su tutti i fronti”. In un recente discorso politico, Nasrallah aveva effettivamente sottolineato l’importanza di una “unità dei fronti” contro Israele. Questa confederazione di milizie è oggetto di molte fantasie, ma non è strutturata e non forma un blocco omogeneo.

Dopo aver svolto un ruolo attivo nella creazione di Hezbollah negli anni ’80, Teheran si è interessata alle varie fazioni palestinesi. Anche se la Repubblica islamica non ha partecipato alla creazione di Hamas nel 1987, negli anni ’90 i Guardiani della rivoluzione hanno iniziato a inviare armi e denaro al movimento di Gaza. Una prima delegazione del movimento palestinese ha visitato Teheran nel 1991, per poi aprire lì un suo ufficio politico. Inoltre, i combattenti di Gaza sono stati addestrati in campi militari in Iran e in Libano.

I primi contatti ufficiali tra le milizie islamiste risalgono al 1992 e all’espulsione di centinaia di palestinesi di Hamas e della Jihad Islamica - tra cui Ismaïl Haniyeh- nel campo di Marj El-Zohour, nel sud del Libano.

Le relazioni si sono poi rafforzate in seguito alla chiusura dell’ufficio del partito islamista in Giordania nel 1999. Khaled Meshal, allora capo di Hamas nella Striscia di Gaza, si è trasferito a Damasco. Nel 2000 il movimento gazawi ha aperto il suo ufficio a Beirut. I vari gruppi hanno poi moltiplicato i contatti e la cooperazione sotto la guida di Teheran.

Un’alleanza non omogenea

Questa relazione, tuttavia, è andata deteriorandosi durante le “primavere arabe” e in particolare con la rivoluzione in Siria. Se la Jihad Islamica si è allineata infatti sull’agenda politica di Teheran a partire dal 2012, Khaled Meshal, divenuto capo dell’ufficio politico di Hamas in esilio, ha lasciato Damasco per Doha, tra i principali sostenitori delle rivolte arabe. Ha ufficialmente sposato la causa dei ribelli siriani durante un discorso in Turchia nel settembre 2012. Rivolgendosi personalmente al Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, lo ha ringraziato per il suo sostegno al popolo siriano.

L’ascesa di Mohamed Morsi, membro dei Fratelli Musulmani in Egitto, ha rafforzato le speranze di Hamas di riuscire a portare un vento rivoluzionario islamista sunnita nella regione. Nello stesso anno, lo sceicco Hamad Ben Khalifa Al-Thani è stato il primo capo di Stato a visitare Gaza da quando Hamas ha preso il controllo nel 2007, impegnandosi a fornire 400 milioni di dollari (374 milioni di euro) in aiuti. Visti i cambiamenti regionali del nuovo decennio, Hamas è stata sempre più sotto il controllo del Qatar per ragioni pragmatiche e ideologiche.

Secondo alcune fonti vicine ad Hezbollah e al governo siriano, le Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio armato di Hamas, avrebbero partecipato in modo attivo alla guerra in Siria a fianco dei ribelli e dei gruppi jihadisti1. In particolare, diversi miliziani avrebbero supervisionato l’addestramento dell’esercito di Khalid Ibn Al-Walid e della brigata Al-Farouq prima di combattere contro Hezbollah e l’esercito lealista siriano durante la battaglia di Al-Qusayr al confine libanese nel maggio 2013. E avrebbero anche condiviso le proprie competenze nella costruzione di tunnel. Nello stesso anno, la predicazione dell’imam Youssef Al-Qaradawi nella moschea di Al-Doha, alla presenza di Khaled Mechal, ha provocato le ire di Teheran e del partito sciita libanese. Lo sceicco egiziano ha definito le milizie libanesi «partito di Satana» e la Repubblica islamica «alleata del sionismo». Di conseguenza, l’Iran ha dimezzato gli aiuti finanziari ad Hamas e gli uffici del movimento palestinese a Beirut sono stati chiusi.

La radicalizzazione dell’opposizione siriana e la conquista di Yarmouk, il più grande campo profughi palestinesi in Siria, da parte dell’organizzazione dello Stato Islamico (Isis) hanno spinto Hamas a riavvicinarsi a Teheran ed Hezbollah. La convergenza di interessi – prima fra tutte la lotta contro Israele – ha preso il sopravvento sulle divergenze passate.

Inoltre, visto il fallimento della Fratellanza Musulmana in Medio Oriente, dalla Tunisia all’Egitto passando per la Turchia, il movimento islamista ha infine ripreso la via di Damasco nell’ottobre 2022, grazie alla mediazione del partito di Hassan Nasrallah. In sintesi, il partito sciita agisce sia come intermediario politico per rafforzare i legami dell’«asse della resistenza» sia come consigliere militare delle altre milizie.

I due gruppi sono in costante contatto attraverso l’ufficio di Hamas a Beirut, diretto da Ali Barakeh, in esilio nella capitale libanese da diversi anni. I leader delle fazioni palestinesi hanno accesso a Beirut e coordinano le loro azioni. Tuttavia, Hamas e Hezbollah non sono due facce della stessa medaglia: uno opera secondo una specifica agenda palestinese, mentre l’altro è parte integrante della scena politica libanese.

Lo scenario dell’apertura di un secondo fronte da parte di Hezbollah dipenderà quindi da diverse condizioni.

Per una questione di pragmatismo politico, non sta usando tutte le sue leve di pressione contro l’esercito israeliano, sta contenendo l’escalation di violenza e si sta limitando, per il momento, a un ruolo di sostegno e di consulenza militare e strategica ai vari gruppi di Gaza. L’organizzazione di Nasrallah tiene soprattutto in considerazione l’opinione libanese, decisamente sfavorevole all’allargamento del conflitto. Ma eventuali pressioni da parte di Teheran e l’evoluzione della situazione a Gaza potrebbero cambiare le carte in tavola, provocando un aumento degli scontri sul fronte nord, dagli esiti incerti.

1Cfr. Leila Seurat, Le Hamas et le monde, CNRS éditions, 2015.