Libia

La “stabilizzazione” sostenuta dalla comunità internazionale grava sulle spalle della popolazione libica.

Quest’anno si terranno le elezioni in Libia? Tutti ne parlano, ma nessuno - o quasi - ci crede già più. Per garantire il processo di “stabilizzazione”, la comunità internazionale tollera la spartizione del potere tra le élite corrotte, ignorando le aspirazioni della popolazione.

Tripoli, 11 febbraio 2022. Una manifestazione di protesta contro la Camera dei Rappresentanti per la richiesta di elezioni e rispetto della Costituzione. Sul cartello si legge «No al rinvio, sì alle elezioni».
AFP

Nel 2021, dopo che la mediazione delle Nazioni Unite aveva finalmente portato alla formazione di un governo unificato a febbraio (per la prima volta dal 2014), erano state annunciate elezioni parlamentari e presidenziali per il 24 dicembre. Era questa la seconda parte dell’accordo raggiunto dai membri del Forum di Dialogo politico libico (FDPL), riuniti sotto gli auspici della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). A partire dall’estate, però, le continue divergenze tra le principali parti rivali sulle basi costituzionali e sulle leggi elettorali erano un chiaro segnale che le elezioni non si sarebbero tenute nel 2021.

Il motivo della disputa era legato soprattutto a un’eventuale elezione presidenziale, la prima nella storia del paese, questione particolarmente delicata proprio in virtù della natura personalistica e autoritaria del regime prima del 2011. Non sembrava possibile trovare un accordo tra il capo della Camera dei Rappresentanti e le fazioni politiche vicine al governo di Tripoli sulla procedura e i tempi delle elezioni parlamentari e presidenziali1 o sui criteri di eleggibilità2 dei candidati alle presidenziali. La Unsmil aveva rinunciato al suo ruolo di mediazione, lasciando il compito nelle mani dei leader dei parlamenti libici rivali e decretando così il fallimento del processo pre-elettorale. La “speranza” della diplomazia occidentale era che si potessero tenere le elezioni come stabilito, senza fornire però alcuna risposta su un eventuale “piano B” nel caso in cui non si fosse trovato alcun accordo.

Personalità dell’ex regime, salafiti, leader dei gruppi armati

Non c’è stata alcuna elezione né nel dicembre 2021, né dopo. Ci sono però ancora le stesse divergenze su questioni fondamentali sulle modalità di voto – o per garantire il rispetto dell’esito da parte di tutte le fazioni dopo un’eventuale elezione. Il primo ministro nominato dal FDPL a capo del governo di unità nazionale, Abdul Hamid Dbeibeh, è saldamente al suo posto a Tripoli, e attinge generosamente alle casse dello Stato per costruire una vasta rete di alleanze che mette insieme personalità dell’ex regime e leader dei gruppi armati della rivoluzione del 2011, uomini d’affari, ex membri dei servizi segreti e personalità vicine al movimento religioso salafita. Tutti uniti da un obiettivo comune: approfittare della vicinanza al potere per consolidare la propri influenza e arricchirsi.

Dbeibeh e i suoi alleati non sono gli unici ad aver approfittato dell’impasse elettorale. A Bengasi, è ancora forte l’egemonia di Aguila Saleh sulla Camera dei Rappresentanti eletta nel 2014, un parlamento profondamente diviso e a ranghi ridotti che Saleh manipola a suo piacimento, ma che continua a conferirgli status e autorità, in Libia e all’estero. Khalifa Haftar e i suoi figli controllano le unità delle Forze armate arabe libiche dispiegate a sud e ad est del paese, con i soldi della Banca Centrale. Fazioni che hanno acquisito anche un ruolo centrale in numerose attività economiche, anche illecite, condotte in Libia e oltre frontiera. In un simile contesto, stupisce che le parti rivali abbiano così poca voglia di arrivare ad elezioni che potrebbero mettere in discussione la loro posizione e i loro profitti?

La rabbia della popolazione

Come stupirsi inoltre della rabbia dei cittadini libici nei confronti di chi detiene il potere da quasi un decennio, e che, a giusta ragione, viene visto come il principale responsabile del profondo deterioramento delle loro condizioni di vita, dell’insicurezza generale e della mancanza di prospettive per i più giovani, in un paese ricco di petrolio e gas, ma dove mancano i principali servizi e beni pubblici (energia elettrica, sanità, istruzione e, sempre più spesso, carenza idrica). Nell’estate del 2022, nella maggior parte delle grandi città del paese, ci sono state grosse manifestazioni di protesta contro istituzioni e leader di ogni schieramento politico, senza alcuna distinzione. La gioventù libica (più del 30% della popolazione ha meno di 14 anni) ha avuto un ruolo importante in questo movimento di rabbia popolare. “Il popolo vuole le elezioni”, cantavano le folle. Ma il movimento si è rivelato piuttosto effimero. Anche se i libici continuano a chiedere le elezioni più perché lo vedono come un modo per sbarazzarsi di élite parassitarie che stanno gradualmente erodendo ciò che resta dello Stato libico che per vera convinzione nella “democrazia”.

Perché è anche di questo che si tratta. Di uno Stato libico che, invece di essere costruito, consolidato e reso più efficace e legittimo dopo la morte di Muammar Gheddafi, si frammenta ogni giorno di più, diventando a poco a poco una rete di stampo mafioso-clientelare che ha colonizzato le istituzioni a ogni livello e settore – collaborando o scontrandosi a seconda del contesto e delle opportunità. Proprio mentre migliaia di libici esprimevano il loro averne fin sopra i capelli delle élite al potere, nell’estate del 2022 è stato raggiunto un tacito accordo tra Khalifa Haftar e Abdul Hamid Dbeibeh che ha portato alla nomina di un nuovo direttore, vicino al generale, a capo della compagnia petrolifera NOC (National Oil Corporation) in cambio della revoca del blocco parziale delle principali infrastrutture energetiche esercitato dalle milizie di Haftar. Cosa che garantisce entrate regolari – e cospicue – derivanti dalla vendita di petrolio nelle casse dello Stato. Un “buon” accordo per tutti i principali attori libici e internazionali. Il governo di Tripoli si è assicurato così la disponibilità di ingenti risorse finanziarie per continuare a mantenere il potere. Al clan Haftar è stato, invece, garantito il finanziamento delle sue milizie e della sicurezza. I paesi occidentali, con gli Stati Uniti in testa, possono dormire sonni tranquilli: il petrolio libico continuerà ad affluire sui mercati internazionali.

Il fallimento delle Nazioni Unite

Con la nomina di Abdoulaye Bathily nel ruolo di Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nel settembre 2022, la questione delle elezioni è tornata però al centro del dibattito. Il mediatore ONU e i diplomatici occidentali hanno unanimemente ricordato la necessità di rinnovare la legittimità delle istituzioni politiche. Tuttavia, è stato solo nel febbraio 2023, che Abdoulaye Bathily ha presentato al Consiglio di sicurezza le linee guida della sua “proposta” per consentire elezioni presidenziali e parlamentari entro fine anno. Una proposta dai contorni un po’ vaghi, ma che ha destato sorpresa: il mediatore dell’ONU sembrava deciso a prendere in mano il piano e soprattutto a non lasciare che i principali contendenti continuassero ad ostacolarlo. In particolare, la proposta di Bathily di costituire un panel di alto livello composto dalle diverse componenti della società libica, fino ad allora assenti dalle discussioni sulle modalità del voto, sembrava pensata per fare pressione sulle fazioni rivali.

Ma la speranza di una nuova strategia per uscire dalla crisi è stata di breve durata. Ai primi segni di una maggiore pressione nei loro confronti, i capi dei due parlamenti rivali si sono immediatamente rimessi in azione. Con un obiettivo comune: mantenere lo status quo. Alla vigilia del primo discorso pubblico di Aboulaye Bathily, Aguila Saleh ha annunciato l’approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti di un 13º emendamento alla Dichiarazione costituzionale del 2011 per presentare le nuove istituzioni politiche (2 camere, presidenza) e le loro prerogative. L’Alto Consiglio di Stato ha subito annunciato la convalida dell’emendamento. A seguire, i funzionari di entrambe le camere hanno trovato un accordo su un Comitato libico misto, detto “6+6”, incaricato di trovare un accordo sulla legge elettorale, che deve includere le condizioni di eleggibilità del presidente. Il rappresentante delle Nazioni Unite ne ha dunque preso atto. E la farsa è andata avanti. Perché è ormai chiaro che nessuno dei protagonisti vuole un vero accordo.

La complicità occidentale

Le posizioni degli attori occidentali sono forse molto diverse? Anche se tutti continuano a insistere sulla necessità delle elezioni, l’interesse generale è, in realtà, quello di preservare e consolidare un’apparente stabilità. In fin dei conti, il cessate il fuoco deciso nell’ottobre 2020 resiste, il petrolio abbonda, alle aziende di tutta la regione vengono assegnati importanti contratti. Perché rischiare di sconvolgere questo equilibrio precario, in cui tutti sembrano trovare il proprio tornaconto?

Gli sforzi diplomatici si stanno concentrando al momento su come consolidare gli accordi informali tra le parti rivali. La priorità non è più quella di garantire elezioni che permetterebbero di fondare le basi di un nuovo sistema politico considerato legittimo e rappresentativo dalla popolazione libica. No, la questione principale è “stabilizzare” il paese e la regione il prima possibile. Come? Concludendo un nuovo “patto” (formale o informale) tra i principali rivali, quelli che hanno preso il comando di numerose bande criminali che controllano ogni giorno di più le istituzioni politiche e di sicurezza, nonché i principali meccanismi dell’economia lecita e illecita. In questo contesto, anche se alla fine si riuscissero a organizzare delle elezioni sulla base di un simile accordo (cosa alquanto improbabile), a cosa servirebbero?

In realtà, la priorità data alla “stabilizzazione” del paese consolida ogni giorno un po’ di più l’influenza di chi ha stravolto ciò che restava dello Stato per tutelare i propri interessi personali. La società libica non ha più alcun ruolo nella costruzione del futuro del paese e, cosa ancor più grave, la gioventù non riesce a immaginare il proprio avvenire in una Libia frammentata, impoverita e depredata dalle élite corrotte. In queste condizioni, la tanto ambita “stabilizzazione” può essere duratura o porre le basi per una soluzione a lungo termine al conflitto libico, in grado di garantire stabilità e sicurezza all’intera regione? Ci sono forti motivi per dubitarne.

CRONOLOGIA: Dalla caduta di Gheddafi allo stallo politico del paese

  • Maggio-ottobre 2011. Rivolta contro il regime di Gheddafi. Intervento militare internazionale e guerra civile libica. Assassinio di Gheddafi e caduta del regime.
  • Luglio 2012. Elezioni parlamentari per il Congresso Generale Nazionale (CGN)
  • Febbraio 2014. Elezione di un’Assemblea Costituente incaricata di redigere una costituzione per il Paese. Maggio 2014. A Bengasi, Khalifa Haftar e le sue forze lanciano l’operazione militare “Dignità”, con l’obiettivo di eliminare le fazioni islamiste e ristabilire l’ordine.
  • Giugno 2014. Elezioni parlamentari per la Camera dei Rappresentanti.
  • Estate 2014. Scontro militare tra fazioni armate a Tripoli e inizio della seconda guerra civile. Insediamento della nuova Camera dei Rappresentanti a Tobruk contestata da una parte dei nuovi eletti e dai membri del CGN eletto nel 2012. Divisione delle istituzioni politiche tra 2 parlamenti e 2 governi rivali, rispettivamente stabiliti a Tripoli e Al-Bayda/Tobruk.
  • 2015. Processo di mediazione delle Nazioni Unite per portare a un cessate il fuoco e alla riunificazione delle istituzioni politiche (“Dialogo politico libico”)
  • Dicembre 2015. Firma dell’Accordo politico libico sotto l’egida delle Nazioni Unite e formazione del Governo di Accordo Nazionale (GAN) guidato da Fayez al Sarraj. L’accordo prevede di mantenere la Camera dei Rappresentanti (eletta nel 2014) come autorità legislativa e la creazione di un Alto Consiglio di Stato (dal parlamento eletto nel 2012) come autorità consultiva.
  • Aprile-ottobre 2016. Campagna militare libica e internazionale contro l’organizzazione dello Stato Islamico (OEI) con sede a Sirte e presa di potere della città da parte di forze alleate al GAN.
  • Luglio 2017. Bengasi sotto il controllo di Khalifa Haftar e delle sue Forze armate arabe libiche (FAAL). L’Assemblea costituente adotta il progetto finale di costituzione, ma ci sono contestazioni perché non soggetto a un referendum popolare.
  • 2017-2018. Nomina di Ghassan Salamé come Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia e annuncio di un nuovo piano d’azione per porre fine al conflitto. Si moltiplicano le iniziative di mediazione parallela (Francia, Italia)
  • Aprile 2019. Inizio previsto della Conferenza nazionale libica a Ghadames sotto l’egida delle Nazioni Unite. Khalifa Haftar e le sue forze lanciano un’offensiva militare su Tripoli. Inizio della terza guerra civile Internazionalizzazione del conflitto e presenza militare straniera (turchi, russi e mercenari siriani e africani) sul territorio libico.
  • Gennaio 2020. Conferenza di Berlino sulla Libia per cercare di trovare un accordo tra i principali Stati stranieri coinvolti nel conflitto.
  • Ottobre 2020. Conclusione di un accordo di cessate il fuoco tra le fazioni libiche: il paese è de facto diviso in due zone di influenza, turca e russa.
  • Novembre 2020. Al via il Forum del Dialogo politico libico (FDPL) sotto l’egida delle Nazioni Unite. Marzo 2021. Insediamento del Governo di Unione Nazionale (GUN), primo governo unificato dal 2014, guidato da Abdul Hamid Dbeibeh. Vengono annunciate elezioni presidenziali e parlamentari previste per il 24 dicembre 2021.
  • Settembre 2021. Il capo della Camera dei Rappresentanti annuncia l’adozione di leggi elettorali, ma la legalità della procedura e il contenuto dei testi presentati sono fortemente criticati dalle fazioni avversarie. 2021-2022. Continue divergenze tra fazioni libiche sulle leggi elettorali e sulla base costituzionale (in assenza di una Costituzione permanente).
  • Febbraio 2022. La Camera dei Rappresentanti contesta l’autorità di Adbul Hamid Dbeibeh e nomina Fathi Bashagha alla carica di capo del Governo di Stabilità Nazionale (GSN). Nuova divisione delle istituzioni politiche tra i due governi rivali.
  • Estate 2022. Manifestazioni popolari in diverse città del paese contro le élite politiche per combattere il degrado delle condizioni di vita con la richiesta di elezioni.
  • Settembre 2022. Nomina del senegalese Abdoulaye Bathily come Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia.
  • Febbraio 2023. Abdoulaye Bathily propone il piano di un “panel di alto livello” per elaborare un quadro giuridico e una road map per organizzare elezioni nel dicembre 2023. La Camera dei Rappresentanti e dell’Alto Consiglio di Stato approva un controverso 13° emendamento alla Dichiarazione costituzionale provvisoria del 2011. L’accordo viene contestato.
  • Marzo 2023. Nomina da parte della Camera dei Rappresentanti e dell’Alto Consiglio di Stato di un Comitato libico misto, detto “6+6”, incaricato di preparare le leggi elettorali.

1Lo schieramento che riunisce il capo della Camera dei Rappresentanti e i suoi alleati è generalmente favorevole alla concomitanza delle elezioni, mentre le fazioni politiche vicine al governo di Tripoli, preoccupate dai rischi di deriva autoritaria, vogliono prima organizzare le elezioni parlamentari con il rinvio delle presidenziali, dopo aver definito un quadro costituzionale che limiti precisamente i poteri del presidente.

2I maggiori punti di contrasto riguardano la possibilità o meno di candidare chi ha nazionalità diversa da quella libica (Khalifa Haftar ha la doppia cittadinanza, libica e statunitense) o chi ha subito condanne penali (Saif Al-Islam Gheddafi, il figlio dell’ex dittatore, è stato condannato in contumacia da un tribunale libico ed è oggetto di un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale).