Siria. Un terremoto dietro l’altro

Se la Turchia è la prima vittima della violentissima scossa di terremoto di magnitudo 7,8 che ha devastato l’intera regione, il sisma ha colpito duramente anche il nord della Siria. Con conseguenze ancor più disastrose, dovute a un decennio di repressione e guerra civile, oltre alle sanzioni che hanno colpito soprattutto la popolazione civile.

Ricerca di sopravvissuti sotto le macerie di un edificio ad Aleppo, 6 febbraio 2023
AFP

Dimenticata dalla comunità internazionale e dai media occidentali dopo lunghi anni di guerra le cui conseguenze continuano a farsi sentire, la Siria ha ricordato al mondo, in maniera brutale e tragica, la sua drammatica situazione, all’indomani del sisma che ha colpito il sud-est della Turchia con migliaia di vittime sul territorio siriano, in molte aree del nord compresa la già martoriata Aleppo, seconda città del paese. S’aggrava di ora in ora il bilancio delle vittime del terremoto che, al 9 febbraio, è di oltre 20.000 morti nei due Paesi. Secondo quanto dichiarato martedì 7 febbraio dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), potrebbero essere circa 23 milioni le persone coinvolte dalle conseguenze del sisma.

Le sanzioni saranno revocate?

Data la terribile situazione in cui versa la popolazione siriana, amplificata da questa catastrofe naturale, le autorità hanno fatto un nuovo appello affinché vengano revocate le sanzioni da parte dei paesi occidentali. “Di fronte alla tragedia che ha colpito la popolazione siriana, forse i governi dei paesi occidentali hanno la possibilità di revocare le sanzioni contro la Siria (...) Che Dio ci protegga!”, ha detto a Orient XXI il 6 febbraio Nabil Antaki, medico e operatore umanitario che dirige l’associazione dei Maristi Blu, presente ad Aleppo dall’inizio della guerra negli anni 2000.

La missione dei Maristi Blu è quella di dare risposta ai bisogni più urgenti della popolazione, accogliendo nelle loro classi soprattutto i bambini provenienti da famiglie svantaggiate di ogni confessione religiosa e organizzando corsi di formazione per adulti oltre a varie forme di sostegno. Negli ultimi anni, i loro appelli sono stati condivisi da molte Ong, chiese e personalità, ma senza esito.

Le sanzioni comportano una serie di misure economiche adottate dall’Unione europea (UE), dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia, dalla Svizzera e dalla Lega araba, perlopiù a seguito della repressione dei civili a partire dal 2011. Nell’agosto 2011, gli Stati Uniti hanno imposto un embargo sulle importazioni di petrolio e congelato i fondi e le attività finanziarie di alcune figure di spicco e quelle dello Stato stesso, oltre a una serie di misure che hanno avuto un forte impatto sulla popolazione siriana e sul prezzo dei beni di prima necessità e sui medicinali. Nel settembre 2011, anche l’Unione europea ha adottato a sua volta un embargo contro il settore petrolifero siriano.

Punire il regime di Al-Asad o il popolo?

Malgrado gli appelli di revoca immediata, mettendo in luce le sofferenze della popolazione locale, le sanzioni contro la Siria sono tuttora in vigore con ricadute negative sulla vita reale delle persone, benché siano difficili da valutare. Per l’Unione europea e l’opposizione siriana – oggi molto indebolita – si tratta in particolare di punire il regime di Bashar Al-Asad per le atrocità commesse contro il suo popolo, favorendo la realizzazione di un nuovo processo politico.

Agli occhi di Parigi e Washington, a favore della linea dura nei confronti di Damasco, il regime siriano rimane il principale responsabile della crisi umanitaria in Siria, dove 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria immediata mentre si preparano ad affrontare un rigido inverno senza petrolio, benzina ed elettricità, con una moneta nazionale in caduta libera (la lira siriana, trascinata in una spirale al ribasso, oggi vale la metà del suo valore rispetto all’autunno del 2002).

In questo braccio di ferro, Damasco rifiuta qualsiasi assistenza umanitaria esterna che non passi per le decisioni del governo. Una situazione di stallo che potrebbe durare ancora per anni, con Bashar al-Asad saldamente al governo e una popolazione stanca e abbandonata al suo destino, e con una comunità internazionale che si volta dall’altra parte e oggi ha ben altre priorità.

Tuttavia, di fronte a questa nuova catastrofe, “la Siria chiede agli Stati membri delle Nazioni Unite (...) il Comitato internazionale della Croce Rossa e altri gruppi umanitari ... di sostenere gli sforzi del governo siriano per affrontare il devastante terremoto”, ha dichiarato lunedì il ministero degli Esteri siriano in un comunicato stampa.

Ad Aleppo, la situazione è catastrofica

Intanto, il terremoto ha avuto subito effetti traumatici, e tante città come Aleppo con i suoi due milioni di abitanti hanno ancora un terribile ricordo dei traumatici bombardamenti degli anni 2012-2018. “La situazione è catastrofica, la gente ha trascorso quasi tutta la notte e il giorno di lunedì per strada. In molti hanno lasciato le loro case in pigiama, ci sono decine di abitazioni crollate”, ha detto al telefono a Orient XXI il dottor Antaki, che vive e lavora in un ospedale di Aleppo.

Citando fonti del ministero della Salute siriano, il medico riferisce che ci sono stati “circa 350 morti e migliaia di feriti” in città, e che il governo ha inoltre decretato la chiusura delle scuole pubbliche per trasformarle in rifugi per i terremotati, mentre “gli ospedali della città continuano ad accogliere vittime”.

Altri abitanti, invece, dicono di voler trascorrere le prossime notti in strada, nei rifugi, nelle chiese o nelle moschee. Il crollo dei palazzi e le crepe negli edifici pubblici e nei siti archeologici fanno temere altre scosse che potrebbero essere fatali. Tuttavia, come spesso accade, i danni maggiori sono stati riportati nei quartieri periferici e popolari della città millenaria.

Aleppo è nota soprattutto per la sua cittadella, danneggiata in alcune porzioni delle mura difensive per il forte impatto provocato dal terremoto. È un gioiello architettonico d’epoca medievale come il suo centro storico, classificato nel 2018 come patrimonio mondiale dell’UNESCO in pericolo, dopo anni di guerra civile. Infine, sono state colpite anche delle moschee, mentre un sacerdote è morto nel crollo della sua residenza.

Nel nord della Siria, il bilancio provvisorio supera le 3.000 le vittime, e dalle stime dell’agenzia ufficiale siriana e dei soccorritori nella zona in mano ai gruppi ribelli si contano, dall’inizio della giornata, oltre 3.000 feriti. A parte Aleppo, le città più colpite sono Hama e Latakia, così come la regione di Idlib, confinante con la Turchia, sotto il controllo dei ribelli islamisti. E per la prima volta, Damasco ha promesso aiuti alle migliaia di sfollati in una regione controllata dai ribelli, nonostante la scarsità dei mezzi a disposizione. Che sia una speranza in mezzo alle macerie?