Musica

Il ritorno delle dive arabe

Che fine hanno fatto le dive americane ed europee? Chi sono oggi le eredi di Maria Callas o di Aretha Franklin? Ci sarebbe materia per un dibattito musicale. Eppure, quando si parla di mondo arabo, queste stesse domande assumono un significato diverso. La ragione? L’Islam, naturalmente.

Installazione all’interno della mostra “Dive” all’Institut du monde arabe di Parigi (19 maggio-26 settembre 2021)
Stéphane de Sakutin/ AFP

Che fine hanno fatto le dive americane ed europee? Chi sono oggi le eredi di Maria Callas o di Aretha Franklin? Ci sarebbe materia per un dibattito musicale, tirando in ballo le grandi figure attuali della musica occidentale o la nozione stessa di diva, rilanciata da Beyoncé, oltre all’evoluzione degli stili e delle influenze musicali. Eppure, quando si parla del mondo arabo queste stesse domande vengono affrontate da una prospettiva completamente diversa.

Nel documentario Salam co-diretto da Mélanie Georgiades, vero nome dell’ex rapper Diam’s1 viene raccontata la sua rinuncia alla carriera dopo aver scelto di convertirsi all’Islam e indossare il velo. È lei stessa, nel film, a raccontare la sua ricerca di pace interiore trovata grazie alla religione. In concomitanza dell’uscita del documentario, alla domanda se Mélanie voglia che i suoi figli intraprendano una carriera musicale, l’ex cantante ha risposto di no, preferendo – ha detto – tenerli lontani da “passioni” che possono essere “molto distruttive”. La sua idea di voler tenere i suoi figli lontani dall’ascolto della musica è stata molto criticata2, con frequenti riferimenti ad un passato glorioso nel quale alcune dive arabe come Oum Kalthoum3 o Cheikha Rimitti4 erano protagoniste della scena musicale. La constatazione generale sembra essere quella che nel mondo arabo - dimenticato dagli dei - non solo non ci siano più dive, ma non se ne conservi neanche il ricordo.

È vero che «la voce delle donne si è spenta»?

Che rapporto c’è tra queste dive d’altri tempi e le presunte scelte educative di Diam’s/Mélanie Georgiades, giovane donna di origine cipriota il cui repertorio è - se si esclude un certo pubblico magrebino - sconosciuto nel mondo arabo? Come si spiega questa trasformazione? La risposta sembra essere semplice: l’Islam, ovviamente. Come se l’influenza della religione nell’area avesse contribuito a far spegnere la voce di queste donne.

Non sarebbero quindi solo le dive della statura di Fairuz5 o Asmahan6 ad essere scomparse dal mondo arabo, ma tutte le voci femminili, se si escludono Souad Massi7 e poche altre. Sparita quindi l’industria musicale che ha segnato l’età d’oro del pop commerciale arabo, i festival, l’industria dei videoclip o i talent show panarabi che ogni stagione riuniscono un pubblico cha va dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico.

Se si è alla ricerca di “donne che cantano anche l’amore, la pace e il femminismo”8, ne abbiamo un’infinità da consigliare nell’attuale panorama musicale arabo. In realtà, non hanno mai smesso di presentarsi sulla scena nuove cantanti: se al pop commerciale arabo non sono mai mancate le muse - dalle egiziane Ruby e Sherine Abdel-Wahab alle libanesi Nancy Ajram e Haifa Wehbe - la scena alternativa non è da meno.

Certo, le scelte musicali sono meno tradizionali di quelle di Fairuz o Asmahan, tra la dj tunisina Dina Abdelwahed, la sudanese Alsarah, leader del gruppo Alsarah and the Nubatones, le egiziane Maryam Saleh o Dina El Wedidi, lo stile anticonformista e molto politico delle libanesi Michelle e Noel Keserwany, o anche la scena hip-hop femminile palestinese, dove la dabka9 sposa l’elettronica. Che le si perdoni allora di essere al passo con i tempi, di appartenere a una nuova generazione.

Quanto alle “eredi” di Oum Kalthoum e Ward , le “nuove dive”, esistono ancora. Non c’è bisogno di tornare a Majida El Roumi (il padre di Majida, Halim, è stato uno dei mentori di Fairuz) o a Julia Boutros, diventate delle star regionali negli anni ’80, e i cui concerti sono ancora oggi eventi imperdibili. La grazia di queste cantanti con testo e voce la si può ritrovare oggi nel repertorio di Faia Younan, che ha persino rivisitato poesie cantate in arabo classico, o di Lena Chamamyan, che alterna il repertorio siriano con quello armeno.

Per non parlare di chi, come Rima Khcheich, continua a far rivivere il patrimonio musicale levantino e non esita a mescolarlo con accenti jazz. È vero che queste artiste non vivono più nel mondo arabo per vari motivi, tra cui le guerre che hanno colpito la regione. Ma sono bene o male il prodotto di queste società, di questa cultura, per quanto islamica possa essere.

Cantare indossando il velo

Insomma, stiano tranquilli i detrattori dell’Islam: in questo mondo arabo non immune dalla globalizzazione, programmi come “The Voice” ospitano giovani e meno giovani che continuano a tramandare la memoria di queste dive, facendo scoprire il loro repertorio meno noto, perché spesso sono le loro canzoni quelle che i/le candidati/e scelgono di interpretare, per esaltare le loro esibizioni e suscitare l’ammirazione della giuria. Nel 2015 è stata addirittura una cantante giordana con il velo, Nedaa Sharara, a vincere l’edizione araba di “The Voice”, andata in onda sul canale panarabo MBC. Durante le audizioni al buio, ha fatto ruotare tre delle quattro sedie dei membri della giuria con l’esecuzione di Fat El Maad, un canzone di Oum Kalthoum

A dire il vero, il caso di Diam’s/Mélanie Georgiades dovrebbe essere paragonato, con le dovute distinzioni, alla carriera di un altro artista: il cantante inglese Cat Stevens, protagonista della musica folk negli anni ‘70, a cui si devono in particolare successi mondiali quali Lady d’Arbanville, Wild World o Father and Son. Nel 1977, Steven Demetre Georgiou abbandonerà il suo vero nome, la sua identità civile e la sua carriera per diventare Yusuf Islam, dedicandosi a opere filantropiche. Una parentesi durata circa trent’anni e chiusa nel 2010 quando riprende la chitarra e il suo repertorio, pubblicando nuovi album sotto il nome di Yusuf/Cat Stevens ed esibendosi nuovamente sulla scena internazionale, sempre con il suo fedele compagno Alun Davies. Le ragioni della conversione del cantante londinese come quelle di Diam’s, la loro evoluzione, la loro ricerca e il loro bisogno di pace interiore che hanno generato questo rapporto con la religione vanno comprese nel loro percorso personale. Una cosa è certa: Yusuf/Cat Stevens è lontano mille miglia da Algeri, dal Cairo o da Beirut, e nulla a che fare con il mondo arabo.

«Chi è quel tizio che si è fatto fotografare accanto a Fairuz?»

Che piaccia o meno, nel mondo arabo il ricordo di queste dive del passato è ancora vivo. Dal Marocco allo Yemen, ci sono ancora oggi milioni di arabi che iniziano la loro giornata ascoltando Fairuz, tant’è vero che la domanda “Cosa ascolta di mattina, Fairuz?” è diventata una battuta diffusa. Quando Emmanuel Macron, durante sua visita a Beirut nel 2020, è andato a rendere omaggio alla grande cantante libanese, il popolo della rete si è chiesto divertito su Twitter: “Chi è quel tizio che si è fatto fotografare accanto a Fairuz?”, sottolineando chi, tra i due, si sarebbe dovuto sentire onorato per l’incontro. Nel novembre del 2014, l’intera stampa araba ha festeggiato unanime gli 80 anni di colei che è affettuosamente soprannominata . soprannominata Jaret el amar (la vicina della luna), citando una sua canzone.

Ovunque, in TV, sui canali YouTube o Instagram che sono divenuti campi di sperimentazione per ogni sorta di cover e produzione musicale; così come nelle case, nei bar o nelle automobili, queste voci sono sempre presenti e il loro repertorio si trasmette di generazione in generazione. Rimangono un punto di riferimento per una produzione musicale che, come ovunque del resto, si evolve, si rinnova e va di pari passo con i tempi, perché non vive isolata. Prova del fatto che fare crociate contro il velo e chi lo indossa non impedisce di nascondere la propria faccia.

1Mélanie Georgiades (Nicosia, 27 luglio 1980), meglio nota come Diam’s è una ex rapper francese di origine cipriota. Il 30 settembre 2012 ha annunciato la fine della sua carriera per convertirsi all’Islam. Tra i suoi singoli: Cœur de bombe, La Boulette o Jeune demoiselle. Ndt

2Il riferimento è all’intervento “Dove sono finite le dive arabe?” dell’umorista francese Sophia Aram nel programma radiofonico France Inter del 30 maggio 2022, in cui prende di mira le scelte di Mélanie Georgiades, spunto per la scrittura di questo articolo. Cfr: https://www.youtube.com/watch?v=wV1RWEIxqt4. Ndt

3È stata una cantante, musicista e attrice egiziana, tra le più celebri e amate in Egitto e in tutto il mondo arabo. I suoi album sono ancora oggi tra i più venduti al mondo. Ndt

4Nome d’arte di Saadia El Ghizania (Tessala, 8 maggio 1923 - Parigi, 15 maggio 2006), è stata una cantante algerina. Ndt

5Fairuz (1934), pseudonimo di Nouhad Haddad, è una cantante libanese. Rappresenta, insieme alla cantante egiziana Oum Kalthoum, il nome di maggior rilievo della musica araba nel XX secolo. Ndt

6Amal al-Atrash, meglio nota come Asmahan (1912-1944) è stata una cantante e attrice siriana. Ndt

7Souad Massi (Algeri, 23 agosto 1972) è una cantautrice e musicista algerina di origine berbera. Ndt

8Come affermato da Sphie Aram nella summenzionata trasmissione radiofonica. Ndt

9Danza folkloristica diffusa in Siria, Palestina, Libano, Giordania, Iraq, tradizionalmente eseguita in occasione di matrimoni, banchetti e feste occasionali.