Dalla Nakba a Gaza. Poesia e resistenza in Palestina

Con la sua opera poetica dal valore universale, Mahmud Darwish (1941-2008) è diventato il cantore della resistenza palestinese. Ma la poesia palestinese racchiude in sé una molteplicità di aspetti, stili e voci. Dalla Nakba del 1948 fino all’odierna Gaza, diverse generazioni di donne e uomini hanno scritto di un futuro di libertà e indipendenza.

Nablus, Palestina, 29 marzo 2021. L’immagine ritrae la poetessa Fadwa Tuqan con un verso di una sua poesia che recita: “Mi basta rimanere/ nell’abbraccio del mio paese/ per stargli vicino,/ stretta, come una manciata/ di polvere/ ramoscello di prato/ un fiore”.
Wikimedia Commons

A partire dal 1948, la poesia si afferma come il genere letterario per eccellenza nella Palestina occupata, non solo per il legame simbolico degli scrittori palestinesi a una forma di espressione antica e popolare del mondo arabo, ma come atto di resistenza alle regole dell’occupazione israeliana dopo quelle del Mandato britannico in Palestina (1917-1948). Di fronte alle misure di repressione delle forze coloniali, la poesia, più facile da trasmettere e ricordare, ha maggiori strumenti rispetto ad altri generi letterari per sfuggire alle maglie della censura.

È soprattutto attraverso veri e propri festival di poesia che la prima generazione di poeti post 1948 riesce a raggiungere un vasto pubblico rimasto in Palestina. Tra gli autori che prendono parte ai vari festival, ci sono i grandi nomi della poesia palestinese di questa generazione: Tawfiq Zayyad (1929-1994), Samih al-Qasim (1939-2014), Mahmoud Darwish (1941-2008), Salim Gubran (1941-2011) e Rashid Hussein (1936-1977). Cresciuti negli anni successivi alla Nakba del 1948, questi poeti sono quasi tutti di estrazione proletaria, impegnati per il miglioramento delle condizioni di vita degli operai e dei contadini. Un impegno sociale e politico che rende la poesia palestinese un genere tradizionalmente orientato a sinistra.

La formazione della maggior parte di questi poeti è in lingua araba o ebraica, nella Palestina occupata o all’estero. Solo la poetessa e saggista Fadwa Tuqan (1917-2003), autodidatta, inizia a scrivere poesie insieme a suo fratello Ibrahim Tuqan (1905-1941), anch’egli poeta. Molti insegnano in scuole gestite dalle autorità israeliane, istituzioni che, come i festival di poesia o altri eventi pubblici quali matrimoni e feste religiose, sono strettamente controllati dai servizi di sicurezza coloniali, che cercano di contenere il nazionalismo palestinese.

L’opera poetica di questi autori svolge un ruolo importante nella produzione e nella diffusione di idee dalla grande valenza politica. La loro partecipazione ai festival diventa infatti un gesto di resistenza. Scritte il più delle volte rispettando i codici della prosodia araba classica, le loro poesie, facili da cantare e ricordare, vengono declamate davanti a un pubblico numeroso, tagliato fuori dal resto del mondo arabo e dai palestinesi costretti all’esilio, traumatizzati dai massacri commessi dall’esercito israeliano. Le loro poesie esprimono il più delle volte speranze e sogni rivoluzionari di libertà e indipendenza, affrontando anche temi più forti, legati al sentimento di espropriazione o alla violenza fisica e simbolica subita.

È nel corso dei vari festival che si sviluppa il concetto di resistenza, del sumud o lo spirito di perseveranza di fronte alle avversità, concetto che diventa un tema centrale della poesia palestinese in particolare nell’opera di Tawfik Zayyad con la famosa poesia Hunā bāqūn “Resteremo qui”, di cui questo estratto risuona come un manifesto politico e poetico:

Resteremo qui
Noi custodiremo l’ombra del fico e degli olivi […]
Se saremo assetati spremeremo il deserto
E mangeremo polvere se avremo fame
Ma non ci muoveremo!
Qui abbiamo un presente, un passato e un futuro…1

Per aver preso parte ai festival, diversi autori come Tawfik Zayyad e Hanna Ibrahim (1927) vengono arrestati, messi in carcere o agli arresti domiciliari. Ma non rinunciano a comporre versi, esprimendo tutta la propria rabbia e indignazione. Lo dimostrano questi versi del carismatico poeta della resistenza Rashid Hussein che Mahmoud Darwish soprannominava Najm o la stella, a cui anche lo scrittore e critico letterario Edward Said rende un sentito omaggio nell’introduzione al suo libro sulla Palestina2:

Sono venuto qui
senza passaporto
per ribellarmi contro di voi
ora massacratemi pure
forse allora sentirò che sto morendo
senza passaporto.3

 Discorso di Tawfiq Zayyad alla Giornata della Terra, 31 marzo 1979. (Wikimedia Commons)
Discorso di Tawfiq Zayyad alla Giornata della Terra, 31 marzo 1979. (Wikimedia Commons)

Col tempo, alcune poesie diventano canzoni popolari, conosciute da tutti nella Palestina occupata e nel mondo, come quella intitolata Carta d’identità, composta da Mahmoud Darwish, nel 1964:

Scrivi!
Sono arabo
Carta d’identità numero cinquantamila
Ho otto figli
e il nono nascerà dopo l’estate
Ti fa rabbia?4

Fino agli anni ’70, sono rarissime le antologie5 e le raccolte stampate e rappresentano, secondo il ricercatore Fahd Abu Khadra, solo una piccola parte delle poesie composte e pubblicate tra il 1948 e il 1958. Alcuni poeti utilizzano gli organi di stampa dei partiti politici per diffondere i loro scritti. Il Partito degli operai unificati (Mapam), infatti, sostiene e finanzia la rivista El Fajr (“L’Alba”), fondata nel 1958, che ha tra i suoi redattori il poeta Rashid Hussein. Ma dopo vari attacchi e tentativi di censura, la rivista viene vietata nel 1962.

I membri del Partito Comunista di Israele (originariamente noto come Rakah) rilanciano la rivista Al-Ittihad (L’Unione) nel 1948, fondata nel 1944, a Haifa, da una corrente del Partito Comunista. A partire dal 1948, Al-Ittihad dà spazio a poeti importanti come Rashid Hussein, Emil Habibi (1922-1996), Hanna Abu Hanna (1928-2022). Queste riviste svolgono un ruolo cruciale per la causa palestinese facendosi portavoce di una poesia di impegno e di lotta. A lungo sospettato di collaborare con le forze coloniali per il semplice fatto di essere rimasto in Palestina, è però Ghassan Kanafani (1936-1972), scrittore e intellettuale politico palestinese, a restituire a quegli autori il posto che meritano, coniando il termine “letteratura della resistenza”6. Una letteratura considerata da alcuni più come una letteratura “impegnata” che di lotta, che il poeta siriano Adonis (1930-) limita, a nostro avviso erroneamente, alla lotta armata.

Una poesia che riceve spesso critiche per il fatto di essere più politica che “letteraria”, come se un aspetto escludesse l’altro. È proprio Mahmud Darwish a chiarire questo tema:

Ma so anche, quando penso a chi critica la “poesia politica”, che ci sono cose peggiori come l’eccessivo disprezzo della politica, la sordità alle domande poste dalla realtà storica, o il rifiuto a partecipare implicitamente all’impresa della speranza.7

In ultimo, è importante sottolineare che le poesie di questo periodo non evocano solo la Palestina e la sua lotta per l’indipendenza, ma anche altre cause della lotta anticoloniale, in particolare quella del popolo algerino o degli indiani d’America. In una poesia scritta nel 1970, lo scrittore e traduttore Salem Jubran (1941-2011) chiama in causa Jean-Paul Sartre, schierato a favore della causa anticolonialista algerina, ma rimasto in silenzio sulla colonizzazione della Palestina:

A JEAN-PAUL SARTRE
Se un bambino venisse ucciso, e i suoi assassini gettassero
il suo corpo nel fango,
lei non proverebbe rabbia? Cosa direbbe?
Io sono un figlio della Palestina,
muoio ogni anno,
vengo ucciso ogni giorno,
ogni ora.
Avanti, guardi bene la varietà di nefandezze,
osservi ogni foto, ogni immagine
la meno orribile è quella del mio sangue che scorre.
Dica qualcosa:
Perché questa improvvisa indifferenza?
Allora, cos’è, non ha niente da dire?8

Un’altra figura spesso evocata è quella di Patrice Lumumba a cui viene reso un tributo dopo il suo assassinio da parte delle forze coloniali belghe. È ancora Rashid Hussein a declamare questi versi durante un festival di poesia:

L’Africa annega nel sangue, con la rabbia che l’assale, Non ha il tempo di piangere l’assassinio di un profeta, Patrice è morto...dov’è la sua fiamma ardente?... Si è spenta, ma ha rischiarato l’oscurità nel vangelo.9

Coltivare la speranza e rinnovare la lotta. La poesia delle nuove generazioni

Le generazioni di nuovi poeti che hanno seguito quella del ’48 e che si muovono oggi nello spazio letterario e poetico palestinese, hanno dato continuità ai temi della resistenza e della lotta di liberazione, con un nuovo respiro politico. Con il susseguirsi delle guerre, il peggioramento della situazione in Palestina, il perdurare nel tempo dei campi profughi e della colonizzazione – in violazione delle risoluzioni dell’ONU e del diritto internazionale – le tematiche che si trovano nelle poesie odierne si rivolgono alla situazione insostenibile di tutti i palestinesi, ovunque si trovino. Tra espropriazione, esilio forzato, condizioni precarie e disumane nei campi profughi, arresti arbitrari, massacri, fame, morte, dolore, i testi coltivano anche la speranza, facendo eco alla celebre poesia di Mahmud Darwish del 1986, E noi amiamo la vita:


E noi amiamo la vita
se troviamo la via per viverla.
Danziamo tra due martiri,
innalzando tra le viole
un minareto o delle palme.10

Anche se alcuni temi sono ricorrenti, assumono però una nuova dimensione, in particolare all’interno della diaspora palestinese che vive in Nord America, che scrive in inglese ed è in sintonia con le nuove lotte decoloniali ed ecologiste internazionali. Una poesia che è ancora poco conosciuta in Europa.

Tra le voci più note della poesia contemporanea palestinese della diaspora c’è Rafeef Ziadeh (1979) che, nel 2011, in risposta a un giornalista che le aveva chiesto di spiegare perché i palestinesi insegnassero l’odio ai loro figli, compone una poesia intitolata Noi insegniamo la vita, signore (“We teach life, sir”), recitandola a Londra in un video che diventerà popolarissimo:

Oggi, il mio corpo era un massacro trasmesso in TV.
Oggi, il mio corpo era un massacro che doveva stare dentro frasi ad effetto e un numero limitato di parole.
Oggi, il mio corpo era un massacro trasmesso in TV che doveva stare dentro frasi ad effetto e un numero limitato di parole pieno di statistiche per replicare con risposte ponderate.
E così ho perfezionato il mio inglese e imparato le risoluzioni ONU.
Eppure, mi ha chiesto: “Signora Ziadah, non crede che tutto si risolverebbe se solo smetteste di insegnare tanto odio ai vostri figli?”.
Pausa.
Cerco dentro di me la forza per essere paziente, ma la pazienza non è esattamente quello che ho sulla punta della lingua mentre le bombe cadono su Gaza.
La pazienza mi ha appena abbandonato.
Pausa.
Sorriso.
Noi insegniamo la vita, signore.
Rafeef ricordati di sorridere...
Pausa.
Noi insegniamo la vita, signore.11

La poesia riserva critiche anche all’Autorità Palestinese che, dopo gli Accordi di Oslo si è dimostrata fallimentare, gestendo i fondi assegnati in modo poco trasparente e non riuscendo a frenare l’ascesa di Hamas come lamentano molti poeti palestinesi, storicamente di sinistra. Ecco un esempio di poesia dall’umorismo corrosivo che non scende a compromessi, dal titolo Abbas’s State, scritta nel 2008 da Yousef al-Deek (1959):

Chi non rompe le scatole
O non vede come la scimmia si aggira furtiva,
Venga nello Stato di Abbas.
Uno Stato ormai addomesticato
dove non c’è autorità nell’“Autorità”
Se un ladro non si presenta in tribunale
al suo posto c’è il vicino o la moglie
perché il cinguettio degli uccellini sulle linee telefoniche
potrebbe suonare come “Hamas!”
Il nostro metro di giustizia si applica ad ogni creatura
rendendo la scimmia simile al suo padrone,
la canaglia… un poliziotto (...)
Grazia a Dio
dopo le umiliazioni... il travaglio... il torpore,
abbiamo partorito... un Capo di Stato
Oh, popolo: ora abbiamo uno Stato12.

Tra questi nuovi poeti contemporanei troviamo anche Remi Kanazi (1981), poeta e attivista palestinese cresciuto negli Stati Uniti. In uno stile teso e moderno, Kanazi attinge al linguaggio degli hashtag e dei social, ispirandosi alla ritmica incisiva dell’hip-hop e riprendendo, forse anche inconsciamente, i codici della poesia araba dei suoi predecessori che declamavano i loro versi durante i festival di poesia. Ecco due esempi della sua poesia dal forte impatto. Il primo è un estratto dalla poesia intitolata Out of season13:

non è stagione per i tuoi proverbi
nient’altro che aneddoti
racconti di una terra
senza un popolo (...)
non ti interessa la pace
vuoi solo pezzi
questo puzzle
non avrà un lieto
fine per
te

Il secondo estratto è intitolato Nakba:

lei non aveva dimenticato
noi non abbiamo dimenticato
noi non dimenticheremo
nelle vene radici
di ulivi
torneremo
non è una minaccia
né desiderio
speranza
o sogno
è una promessa

Il tema della terra attraversa ovviamente l’intera poesia palestinese poiché è al centro della colonizzazione di cui la popolazione è vittima dal 1948. È un tema affrontato anche dai poeti della diaspora ma da una prospettiva sensibilmente diversa. Non si tratta più di tornare alla catastrofe del 1948 per rimpiangere un’espropriazione riprendendo un linguaggio capitalista, e quindi colonialista, o un espresso desiderio di riappropriarsi delle terre. Si tratta ormai di pensare alla Nakba come una catastrofe, il luogo di una frattura ecologica che ha colpito la Palestina nel 1948, ma sta colpendo l’intero pianeta. Nel suo omaggio a Mahmud Darwish, Nathalie Handal (1969) immagina cosa direbbe il poeta nel suo linguaggio poetico e universale:

Gli chiedo se ora vive vicino al mare.
Risponde: “Non c’è acqua, solo dell’acqua, nessun canto, solo il canto, non c’è una versione dell’aldilà per me, nessuna vista sul monte Carmelo, solo sul Carmelo, non c’è nessuno che l’ascolti.14

Naomi Shihab Nye (1952), invece, decentra l’umano per restituire forza e valore al discorso ambientalista. Nella poesia Even at war, Nye scrive:

Fuori, le arance riposano, le melanzane,
i campi di salvia selvatica. Un ordine
del governo dice:
“Non potrete più raccogliere quella salvia
che dà identità e sapore alla vostra vita”.
E tutte le mani sorridono.15

Naomi Shihab Nye associa le arance, le melanzane e la salvia a coloro che dormono ignari di un imminente raid dell’esercito israeliano. E se le mani sorridono, è forse per dispetto o per sfidare le autorità coloniali e le loro decisioni arbitrarie. Non c’è alcuna iperbole qui, le autorità israeliane hanno infatti vietato ai palestinesi del 1948 di raccogliere molte erbe aromatiche, in particolare lo zaatar, per riservare la coltivazione e la vendita ai coloni israeliani.

 Un uomo passa davanti a un cartello che cita il poeta Ghassan Kanafani a Hebron, nella Cisgiordania occupata, l'8 marzo 2023, durante uno sciopero generale di protesta contro l'esercito israeliano il giorno dopo un raid a Jenin (HAZEM BADER/AFP)
Un uomo passa davanti a un cartello che cita il poeta Ghassan Kanafani a Hebron, nella Cisgiordania occupata, l’8 marzo 2023, durante uno sciopero generale di protesta contro l’esercito israeliano il giorno dopo un raid a Jenin (HAZEM BADER/AFP)

Gaza, poesia e genocidio

È dall’ottobre 2023 che la poesia palestinese è in lutto, eppure continua a resistere. Non si contano più i villaggi e le zone devastate dopo oltre 3 mesi di guerra, a cui bisogna aggiungere tutte le guerre e gli attacchi inflitti alla Striscia di Gaza dal 1948. Alla fine del Secondo conflitto mondiale, il filosofo Theodor Adorno aveva affermato che era impossibile scrivere poesia dopo Auschwitz. Un aforisma diventato famoso, ma si dimentica però che Adorno è tornato sulle sue parole, ritenendo che di fronte all’inumano, all’impensabile, la letteratura ha il dovere di resistere.

Tra gli oltre 30.000morti e 68.000 feriti fino ad oggi, anche la letteratura palestinese ha perso alcuni dei suoi esponenti. Come Refaat Alareer (1979-2023), poeta e professore di letteratura all’Università islamica di Gaza, che aveva scelto di scrivere in lingua inglese per far conoscere meglio la causa palestinese all’estero. È stato ucciso in un attacco israeliano su Gaza nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 2023. Il 1° novembre aveva scritto una poesia dal titolo “If I die”, tradotta e pubblicata nella sua interezza da Orient XXI, di cui riportiamo alcuni versi:

Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia un racconto!16

Poche settimane prima, il 20 ottobre 2023, era stata uccisa Hiba Abu Nada (1991-2023), poetessa e scrittrice di 32 anni, nella sua casa a sud di Gaza. Ecco alcuni versi da una poesia scritta il 10 ottobre, pochi giorni prima della sua morte:

Ti proteggerò
se sarai ferito o soffrirai
con le sacre scritture ho custodito
dal fosforo il sapore delle arance
e dal fumo tossico le tinte delle nubi
ti proteggerò
un giorno la polvere si disperderà
e rideranno i due innamorati morti
mano nella mano.17

È la poesia tragica di una donna sotto assedio che offre riparo. Vi ritroviamo il tema della perseveranza ma anche della generosità e dell’amore per la vita nonostante le avversità, le violenze subite, il genocidio in corso e la morte imminente.

La rivista letteraria Fikra (“Idea”), con sede a Ramallah e fondata nel 2022, oggi dà voce agli autori palestinesi che scrivono in arabo e inglese. Dall’inizio delle violenze perpetrate contro la popolazione civile di Gaza, la rivista ha pubblicato le poesie di Massa Fadah e Mai Serhan. La poesia di Serhan, intitolata Tunnel, è un atto d’accusa contro l’Occidente e la sua ipocrisia nei confronti della causa palestinese:

Piers Morgan18 continua a chiedere:
“Qual è una risposta proporzionata?”
Digli che dipende. Se fosse una casa
di salici e noci, sarebbe al sicuro dai proiettili, un ricordo.
Se fosse una parola
sarebbe un verso epico, non ci sono
parole per un bambino che non sopravvive alla famiglia,
solo un acronimo, un’anomalia.
Digli che, se fosse un bambino, non dovrebbe
tormentare i suoi sogni, il bambino non
non sarebbe mai dovuto nascere da una madre, ma
dalla terra. Quel bambino è un seme, ricordaglielo,
il seme si trova sottoterra, è qualcosa di ostinato,
più profondo di un tunnel.19

Altre piattaforme, come quella dell’Ong Action for Hope, cercano di dare voce ai poeti palestinesi, che, sotto le bombe o costretti a fuggire, continuano a scrivere e a inviare testi sconvolgenti pieni di verità e coraggio. Attraverso l’iniziativa “Qui, Gaza” (“This is Gaza”), gli attori leggono testi in arabo sottotitolati in inglese o francese. È stato pubblicato online un libretto di poesie in arabo e inglese per dare alla poesia palestinese una maggiore diffusione e raggiungere così un pubblico arabofono e anglofobo.

La poesia rifiuta sempre di rassegnarsi all’orrore, ma anche a tutti i dettami, quelli della lingua, della forma, della propaganda e dei discorsi dominanti. È sempre stata questa la sua forza a prescindere dalle epoche e dalle latitudini. La poesia ha resistito ai fascismi, ai colonialismi e agli autoritarismi, pagando il suo impegno con la morte, l’esilio o il carcere. Da Robert Desnos (1900-1945), morto in un campo di concentramento, a Federico Garcia Lorca (1898-1936), giustiziato dalle forze franchiste, da Nâzim Hikmet (1901-1963), che trascorse 12 anni nelle carceri turche, a Kateb Yacine (1929-1989), imprigionato a 16 anni dalla Francia coloniale in Algeria, da Joy Harjo (1951), che celebra le culture native americane, a Nûdem Durak (1993) che canta la causa curda, in prigione dal 2015 con una condanna fino al 2034, ovunque prevalga l’oscurantismo, la poesia risponde e si immola.

Oggi tremiamo per la sorte del giovane poeta di Gaza, Haidar Al Ghazali, che, come molti altri abitanti della Striscia, si addormenta ogni notte con la paura di non svegliarsi il giorno dopo, autore di queste drammatiche righe:

Sono le quattro e un quarto del mattino, vado a dormire e preparo il mio corpo all’eventualità che un razzo d’improvviso lo faccia esplodere, preparo i miei ricordi, i miei sogni; in modo che diventino una notizia dell’ultima ora o un numero in un dossier, fa’ che il razzo arrivi mentre dormo in modo che non senta dolore, ecco il nostro ultimo sogno in tempo di guerra e una fine molto patetica per i nostri grandi sogni. Cerco di allontanare quest’intima paura andando a letto con una domanda: chi ha mai detto alla gente di Gaza che chi dorme non soffre?20

1Si veda Isabella Camera d’Afflitto, Cento anni di cultura palestinese, Carocci, 2007. Si veda inoltre il libro a cura di Simone Sibilio, Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese, Edizioni Q, Roma, 2013

2Edward W. Said, La questione palestinese, Il Saggiatore, Milano, 2011

3Rashid Hussein, Al-Amal al-shiriyya (Opera poetica completa), Kuli Shay’, 2004. Traduzione dall’arabo a cura dell’autrice. La traduzione in italiano a cura del traduttore

4Mahmud Darwish, Carta d’identità, trad. it. di Ramona Cruciani in ID, Una trilogia palestinese, Feltrinelli, 2014

5Tra le antologie in italiano segnaliamo: In un mondo senza cielo. Antologia della poesia palestinese, a cura di Francesca Maria Corrao, traduzioni di Simone Sibilio e Fulvia de Luca, Giunti, 2007; AA.VV., Versi della resistenza palestinese, traduzione e cura di Wasim Dahmash, Roma, E.A.S.T., 1972; AA.VV., La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, a cura di Wasim Dahmash, Roma, il manifesto libri, 1988 (II ed. 2002); AA.VV., Qui finisce la terra. Antologia di scrittori palestinesi in Israele, a cura di Isadora d’Aimmo, Napoli, Il Sirente, 2012

6Sul concetto di “letteratura come resistenza” si veda Isabella Camera d’Afflitto, Cento anni di cultura palestinese, Carocci, 2007.

7Mahmud Darwish, La Terre nous est étroite et autres poèmes, a cura di Élias Sanbar, Gallimard, 2023.

8The Tent Generation, Palestinian Poems, a cura di Mohammed Sawaie, Banipal Books, Londra, 2022. Traduzione nostra

9Rashid Hussein, Al-Amal al-shiriyya (Opera poetica completa), Kuli Shay’, 2004. Traduzione nostra

10In La saggezza del condannato a morte e altre poesie, a cura di Tareq Aljabr e Sana Darghmouni, riadattamento dei testi poetici di Emiliano Cribari, emuse, Milano 2022, p. 15.

11La poesia fa parte di una raccolta dal titolo We Teach life, Sir, 2015. https://www.rafeefziadah.net/js_alb...

12Yousef al-Deek, Abbas’s State in The Tent Generation. Palestinian Poems, a cura di Mohammed Sawaie, Banipal Publishing, 2022. Traduzione nostra

13Remi Kanazi, Before the Next Bomb Drops: Rising. Up from Brooklyn to Palestine, Haymarkets Books, 2015. Traduzione nostra.

14Nathalie Handal, Love and Strange Horses, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh 2010, p 8. Traduzione nostra.

15Naomi Shihab Nye, 19 varieties of gazelle: poems of the Middle East, Greenwillow Books, 2002. “Outside oranges are sleeping, eggplants, /fields of wild sage. An order/from the government said, /You will no longer pick this sage/that flavors your whole life. /And all the hands smiled”.

16Si veda anche la versione di Simone Sibilio in ID., Gaza, sopravvivere all’orrore in poesia, Micromega, 15 febbraio 2024 https://www.micromega.net/gaza-sopr...

17Trad. it. di Simone Sibilio, Gaza, sopravvivere all’orrore in poesia, Micromega, 15 febbraio 2024 https://www.micromega.net/gaza-sopr...

18Giornalista e personaggio televisivo britannico. [NdT].

20Testo scritto il 27 ottobre 2023, dopo l’interruzione di tutti i mezzi di comunicazione, e l’autore non pensava che avrebbe raggiunto i suoi destinatari. Pubblicato online da Action for Hope. Traduzione nostra