Egitto

Il Sindacato dei giornalisti rompe il muro di silenzio per Gaza

La guerra scoppiata a Gaza, dopo il 7 ottobre, ha avuto non poche ripercussioni sulla scena politica egiziana. La solidarietà con la Palestina ha mobilitato tutto il Sindacato dei giornalisti, che gioca a fare il guastafeste del regime, mentre sono in corso le elezioni presidenziali il cui esito sembra già scontato.

Manifestazione di protesta davanti al sindacato dei giornalisti contro il bombardamento di un ospedale a Gaza. Il Cairo, 18 ottobre 2023
Khaled Desouki/AFP

Dopo anni di assenza sulla scena politica, il Comitato popolare per il sostegno alla Palestina torna a rialzare la testa in Egitto. Fondato anni addietro da diversi movimenti e personalità politiche, il Comitato ha trovato nuovo vigore alla luce della guerra in corso a Gaza. Nelle piazze egiziane, la popolazione è tornata a manifestare in solidarietà con la Palestina, chiedendo sia l’immediata apertura del valico di Rafah che convogli di aiuti umanitari in direzione di Al-Arish, oppure invocando il boicottaggio delle merci o dei prodotti israeliani provenienti da paesi i cui governi sostengono la Stato di Israele. Il fenomeno è tale che anche le elezioni presidenziali, previste a dicembre e per le quali lo Stato ha mobilitato tutta la sua macchina di propaganda politica, sono state relegate in secondo piano.

L’attuale movimento di solidarietà in Egitto – con il sindacato dei giornalisti in prima linea – è ovviamente solo una delle componenti dell’ondata di solidarietà globale che ha portato alla mobilitazione centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Un’ondata che ha visto portuali e attivisti del movimento di solidarietà con la Palestina portare avanti uno sciopero e delle azioni di protesta contro la spedizione di merci e armi verso Israele, in particolare nei porti di Barcellona e Oakland negli Stati Uniti. Si sono verificati incidenti in vari porti della Svezia, del Sudafrica, del Canada e del Belgio, dove i sindacati dei portuali o degli operatori aeroportuali si sono rifiutati di effettuare il carico o lo scarico di navi o aerei carichi di armi destinate a Israele, con scene che ricordavano i movimenti di protesta durante la guerra del Vietnam. Alla luce dell’eccessiva cautela che regnava prima nei movimenti di solidarietà egiziani, il ruolo essenziale che oggi riveste il sindacato della stampa emerge con particolare forza.

Si ritorna a manifestare

Il sindacato è diventato infatti il cuore pulsante del movimento di solidarietà nei confronti di Gaza. All’inizio dei bombardamenti seguiti all’attacco del 7 ottobre, la loro sede è diventata un avamposto per i partiti che si sono mobilitati a sostegno e in segno di solidarietà, oltre a protestare per la chiusura del valico di Rafah. Senza tralasciare il compito primario del sindacato come associazione di categoria responsabile della difesa dei giornalisti, incarico che porta avanti da due mesi, criticando le posizioni filoisraeliane adottate dai media internazionali, o sostenendo una copertura giornalistica più obiettiva della guerra in corso a Gaza.

Una posizione che rappresenta un punto di svolta importante, dopo i passi indietro degli ultimi anni. Il sindacato è diventato così un luogo di ritrovo grazie all’appello rivolto a giornalisti e attivisti a manifestare davanti alla sua sede per esprimere solidarietà nei confronti della Palestina.

Al sit-in di protesta del 18 ottobre scorso, che ha riunito migliaia di manifestanti provenienti da tutto il mondo dei movimenti, c’è stata una grande partecipazione – la più imponente da anni –, malgrado tutti gli ostacoli che incontrano le manifestazioni non organizzate su iniziativa del regime. Sull’onda di questa manifestazione, dopo la preghiera del venerdì del 20 ottobre, sono state organizzate diverse marce di protesta dalla moschea di Al-Azhar e da altre moschee del Cairo e di altri governatorati. Partendo dai luoghi di culto, il percorso del corteo ha portato i manifestanti fino a piazza Tahrir.

Oltre al sit-in, la sede del sindacato ha ospitato diverse azioni di solidarietà con la Palestina, come la conferenza organizzata nei primi giorni dei bombardamenti israeliani per criticare la parzialità dei media occidentali. È stata poi organizzata una seconda conferenza per rendere un omaggio postumo ai giornalisti assassinati a Gaza, senza dimenticare la giornata di solidarietà dell’11 novembre con varie tavole rotonde dedicate alla questione palestinese. Inoltre, la sede del sindacato è diventata anche un centro di raccolta fondi per Gaza, con l’obiettivo di far partire un convoglio per il valico di Rafah, in coordinamento con altri sindacati di categoria, come quelli dei medici, avvocati o commercianti. Anche l’iniziativa “Una carovana per la coscienza del mondo” sarebbe dovuta partire dal Cairo per raggiungere il valico di Rafah, rompendo così l’assedio imposto a Gaza. Un tentativo che però non è andato a buon fine, malgrado il sostegno espresso, sia a livello locale che internazionale, per l’impossibilità di ottenere da parte dello Stato le necessarie autorizzazioni.

La confisca della sede

Dal 2013, in Egitto è stata repressa ogni forma di azione politica non promossa dall’attuale regime, mentre la vita pubblica è stata segnata dallo slogan della “guerra al terrorismo”, al punto che qualsiasi forma di dissenso viene accusata di sostenere il terrorismo. La svolta repressiva non ha risparmiato neanche il sindacato dei giornalisti, che però l’ha subita in maniera graduale, riuscendo inizialmente a svolgere almeno in parte il proprio lavoro. Dopo la legge emanata dal governo nel novembre 2013, che ha ridotto ulteriormente il diritto alla protesta pacifica, il sindacato è diventato a quel punto l’ultimo spazio di protesta. Con la nuova legge-bavaglio, chi osava ancora manifestare senza autorizzazione – decisione presa arbitrariamente a discrezione delle forze di polizia – rischiava una pena detentiva fino a tre anni. Così, l’8 aprile 2016, c’era solo la sede del sindacato ad ospitare la manifestazione non autorizzata contro l’accordo di ridefinizione dei confini marittimi tra Egitto e Arabia Saudita, con il quale l’Egitto rinunciava alla sovranità sulle isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso.

Risale all’inizio di maggio 2016, il caso dei due giornalisti, accusati di far parte di un piano per destabilizzare il paese e diffondere il caos, che si erano rifugiati nella sede centrale del Sindacato. I due giornalisti sono poi stati arrestati dopo un blitz della polizia all’interno dei locali. È un evento che ha segnato una svolta sia per il Sindacato che per l’intera vita politica egiziana. In seguito, la polizia ha arrestato anche il presidente del Sindacato dei giornalisti egiziani, Yehia Qalash, chiudendo ogni possibile spazio di protesta.

Il particolare ruolo che il sindacato dei giornalisti ha avuto storicamente nella sfera pubblica egiziana ne ha fatto un bersaglio per il regime, che è arrivato al punto di confiscarne la sede. E così l’edificio ha subito dei lavori di ristrutturazione dal 2018 all’inizio del 2023. L’organizzazione è passata poi sotto la tutela del regime a cui erano legati dei dirigenti e una parte dei consigli d’amministrazione.

I venti di cambiamento

Il cambiamento risale al primo trimestre del 2023 con le ultime elezioni sindacali, che hanno portato a una svolta radicale. Il candidato appoggiato dal governo alla guida del Sindacato ha perso contro il candidato dell’opposizione Khaled Al-Balchi. Una vittoria dalla forte valenza politica dal momento che il candidato eletto è proprio uno dei due giornalisti arrestati nel 2016 nella sede del sindacato.

Inoltre, è la prima volta che a vincere le elezioni è un giornalista indipendente non affiliato ai grandi gruppi di stampa sotto il controllo governativo, che naturalmente offrono un buon bacino di voti ai candidati delle loro fila. Altro dato rilevante è che il nome di Al-Balchi risultava schedato tra gli oppositori appartenenti alla sinistra radicale.

Le elezioni hanno avuto un impatto concreto e immediato sull’attività del sindacato, con una maggiore attenzione ai problemi dei giornalisti. Inoltre, il sindacato ha svolto un ruolo essenziale nel sostenere gli scioperi e le proteste che hanno avuto luogo in numerose agenzie di stampa, come la BBC araba, la sede della Reuters al Cairo e il quotidiano Al-Wafd. Oltretutto, il sindacato è stato in prima linea nelle negoziazioni sia con i datori di lavoro che con lo Stato, in particolare per quanto riguarda lo statuto dei giornalisti, ottenendo notevoli miglioramenti. Grazie al maggior impegno nella sfera pubblica, il sindacato è stato anche in prima linea al momento dello scoppio della guerra contro Gaza. Tuttavia, l’indebolimento delle strutture dei tradizionali spazi di sostegno alla Palestina ha impedito la diffusione, la crescita e la continuità del movimento di solidarietà.

Tra il 1970 e il 2013, i tradizionali spazi di solidarietà con la Palestina erano disseminati all’interno dei sindacati di categoria – come quelli dei giornalisti, degli avvocati, degli ingegneri, dei medici – ma anche delle università egiziane. La questione palestinese è stata a lungo il principale motore del movimento studentesco. Il movimento di solidarietà si è diffuso poi nei quartieri del Cairo e in altre città egiziane, e fra i partiti politici dell’opposizione. Una varia e larga diffusione che ha assicurato al movimento un notevole grado di flessibilità e varietà nelle sue modalità di azione, consentendone la presenza in ogni ambiente sociale, conferendogli inevitabilmente un impatto più forte.

Tuttavia, la maggior parte di questi spazi tradizionali sono scomparsi o, per lo meno, si sono notevolmente indeboliti. Nelle università egiziane, un tempo al centro del movimento studentesco, non c’è stata alcuna iniziativa degna di nota, a parte qualche tentativo in alcune università private che sfuggono in parte al controllo dei servizi di sicurezza, come l’Università americana del Cairo. Nelle sedi di partito, la solidarietà si è manifestata soprattutto attraverso le riunioni del Comitato Popolare e una raccolta fondi.

Liberarsi dal controllo statale

In sostanza, il movimento di solidarietà con la Palestina ha messo in luce i mali che da un decennio colpiscono la vita politica egiziana. Va detto che il pugno di ferro imposto dal regime ha isolato i partiti politici dalla loro base. Li ha confinati nelle loro sedi, ha poi paralizzato quasi completamente il movimento studentesco oltre a vietare qualsiasi azione collettiva all’interno dei sindacati di categoria.

Oltre al controllo dell’apparato di regime, non si può ovviamente trascurare il vuoto lasciato dal movimento dei Fratelli Musulmani, messi fuori legge dalla vita politica e pubblica del Paese, che avevano però un’influenza significativa – in alcuni casi un vero strapotere – all’interno dei sindacati, delle università, delle città e dei quartieri. Al di là delle numerose manovre opportuniste, reazionarie o riformiste, è chiaro che il vuoto lasciato dai Fratelli Musulmani ha avvantaggiato solo le forze ancor più opportuniste, reazionarie e dispotiche.

Il cambiamento avvenuto all’interno del sindacato dei giornalisti e il suo ruolo trainante nella solidarietà con la Palestina sono stati preceduti dai tentativi di altri sindacati, come quelli degli avvocati, degli ingegneri o dei medici, di liberare l’azione sindacale dal controllo dell’apparato statale, un tentativo che per certi versi ha avuto successo. Ciò dimostra quindi che il cambiamento in atto all’interno del sindacato non è un fenomeno isolato dai cambiamenti che si stanno verificando in altri luoghi della società, anche se a un ritmo più lento. Se il Sindacato da solo è riuscito a dare un segnale di rinascita all’interno della sfera pubblica, nulla vieta di pensare che ci potrebbero essere altri cambiamenti in grado di dare una svolta ancora più radicale all’attuale situazione.