La sinistra araba tra passato e presente

“Marxismo arabo” o marxismo nel mondo arabo

Nel mondo arabo ci sono state diverse correnti di sinistra che, a vario titolo, si sono richiamate al marxismo, ma nessuna di queste è riuscita realmente a far radicare l’ideologia marxista nella regione mediorientale. Quella marxista è rimasta un’ideologia importata, europea e atea per società in cui la religione è parte integrante dell’identità culturale. Il presente articolo fa parte di un Dossier sui movimenti di sinistra nel mondo arabo.

Hassan Musa, Senza titolo, (Karl Marx), ca. 2012

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il fallimento delle esperienze di costruzione del socialismo nei primi anni ’90, i marxisti arabi si sono trovati ad affrontare un’enorme sfida intellettuale. Dopo accesi dibattiti sono emerse due correnti principali: la prima ha puntato il dito sul “fallimento” nell’attuazione del marxismo-leninismo e sul “complotto” ordito dai paesi imperialisti; l’altra, invece, ha fatto riferimento – senza negare il ruolo dei fattori esterni – a una crisi intellettuale generale che ha influenzato i marxisti di tutto il mondo. Per entrambi le correnti, è il momento di operare una rilettura della storia del marxismo nel mondo arabo, perché gli intellettuali non sono stati in grado di elaborare una versione della teoria marxista in sintonia con il contesto.

Un interesse limitato fino agli anni ‘20

Nel mondo arabo, il marxismo “è stato tradotto, ma non arabizzato”, per usare le parole di Samir Amin, secondo il quale la corrente marxista “non è riuscita a stabilire un nesso con le radici locali”. Tuttavia, secondo l’economista, la questione delle radici locali ha occupato un posto centrale in ogni tentativo di rielaborare in modo autonomo il marxismo. Va ricordato anche che lo stesso marxismo “originale” si basa su tre fonti europee, identificate da Engels e Lenin nella filosofia classica tedesca, nell’economia politica inglese e nel socialismo utopico francese. Allo stesso modo, la tradizione populista del movimento rivoluzionario russo è stata una delle fonti del marxismo messo in pratica da Lenin e dai suoi compagni nel caso specifico della Russia zarista.

Fino alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e alla creazione del Comintern nel 1919, gli arabi guardavano al marxismo con un interesse limitato, se si esclude l’opera di pochi intellettuali, come l’egiziano Salama Moussa (1887-1958), che tentava di conciliare i principi riformisti di George Bernard Shaw e le idee rivoluzionarie di Karl Marx. Nel 1920, lo scrittore e giornalista partecipò alla fondazione del Partito socialista egiziano, con l’obiettivo di sensibilizzare le coscienze, aprendo così la strada al socialismo. Ma in seguito, Moussa si opporrà però all’adesione del partito al Comintern e al cambio di nome in Partito Comunista Egiziano.

A partire dagli anni ’20, furono i partiti comunisti apparsi in diversi paesi arabi a introdurre il marxismo in tutta la regione. Partiti che, fin dall’inizio, si allinearono al “marxismo sovietico”, avendo interpretato le teorie di Marx attraverso il leninismo, quando quest’ultimo aveva già perso il suo spirito dialettico ed era diventato, per mano di Stalin, una dottrina sclerotizzata che aveva coinvolto ogni sezione del Comintern.

Contrariamente a quanto affermano alcuni analisti, l’allineamento dei partiti comunisti arabi a questa versione sovietica del marxismo non era indice di una “subordinazione” imposta da un “centro” forte a una “periferia” debole. In realtà, la questione si presenta molto più complessa. Sulla falsariga di molti gruppi comunisti nel mondo, i partiti arabi erano convinti, fino al fallimento dell’esperienza del “socialismo reale” (o del “socialismo realmente esistente”), che la versione sovietica rappresentasse, almeno a livello teorico oltre che pratico, il marxismo “autentico”.

A quel tempo, i partiti arabi erano influenzati dalla logica prevalente all’interno dell’Internazionale Comunista, che si basava principalmente sui seguenti postulati: in primo luogo, la Rivoluzione d’Ottobre, all’origine della creazione del primo Stato socialista al mondo, che aveva inaugurato una nuova era, quella della transizione dal capitalismo al socialismo a livello mondiale; in secondo luogo, la fondazione dell’Internazionale Socialista, dopo la Seconda guerra mondiale, che aveva accelerato la continua evoluzione degli equilibri internazionali a favore del socialismo, facendo precipitare il capitalismo in una crisi mondiale destinata ad aggravarsi nel tempo; infine, i successi dell’Unione Sovietica e i progressi nel campo del “socialismo reale” avevano rafforzato la dimensione sociale del movimento di liberazione nazionale in Asia e Africa, diventati parte integrante della rivoluzione socialista mondiale.

I partiti comunisti si erano resi conto che la battaglia da combattere, per gli arabi, era quella contro l’imperialismo e i suoi piani strategici nella regione – in particolare il progetto sionista –, contro la dipendenza dai centri capitalisti mondiali e per l’avvento del progresso. Erano questi gli obiettivi inclusi nel concetto di “rivoluzione democratica nazionale” che era stato adottato. E anche se il socialismo non figurava tra i loro obiettivi diretti, i partiti ritenevano che la specificità della rivoluzione rientrasse nel “segno distintivo dell’epoca”, caratterizzata dalla transizione dal capitalismo al socialismo su scala mondiale. È stato quindi sotto un punto di vista sociale che hanno interpretato il concetto di progresso, convinti che le misure adottate dalle borghesie nazionali “progressiste” alleate con l’Unione Sovietica avrebbero portato all’adesione della classe operaia e alla creazione di nuovi rapporti di produzione. La loro convinzione era che la nazionalizzazione, la riforma agraria, la massiccia industrializzazione e l’educazione delle masse avrebbero creato le condizioni per la transizione verso il socialismo.

Una scarsa autonomia

Con l’eccezione di alcuni pensatori come Samir Amin, Mahdi Amel (vero nome Hassan Hamdan), Yassin Al-Hafez, Elias Morqos o Abdallah Laroui, gli arabi non sono stati sostanzialmente in grado di elaborare una teoria del marxismo in maniera autonoma, a causa del loro allineamento con il marxismo sovietico.

Un’incapacità che si spiega con il fatto che il marxismo portato avanti dai comunisti arabi aveva rotto con le idee dell’Illuminismo sui valori della modernità e i mezzi per realizzarla. Idee sostenute da due correnti: i riformisti religiosi e i liberali laici. Per entrambi, l’arretratezza delle società arabe era dovuta da un lato all’ignoranza, che impediva di riconoscere l’essenza della religione, provocando l’ascesa del fanatismo; dall’altro, al dispotismo, soprattutto politico, che aveva portato all’ingiustizia, alla corruzione e alla persecuzione degli intellettuali. Riformatori e laici erano altresì convinti della dimensione universale di una modernità nata in Occidente e che si nutriva dell’“averroismo latino”1.

Ansiosi di recuperare il ritardo del mondo arabo, questi pensatori predicavano perciò i valori che avevano permesso all’“Altro” di progredire e fondare delle società moderne: la libertà individuale, il sapere razionale, la giustizia come “fondamento del governo e delle relazioni tra le persone”, l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, il nazionalismo che unisce i popoli nella fedeltà alla patria indipendentemente dalla religione, confessione e rito, la separazione tra religione e Stato, amore per il lavoro e la fatica, “fonti di ricchezza” per la società... Oltre a diffondere tali valori, i fautori delle due correnti avevano avuto parte attiva nella lotta contro l’analfabetismo, a favore della diffusione di una educazione moderna. Impegnati a svecchiare la lingua araba in modo da renderla capace di assimilare la terminologia moderna, i pensatori arabi avevano redatto anche i primi dizionari ed enciclopedie della lingua araba, giocando un ruolo pionieristico nella fondazione dei giornali e nella costituzione delle associazioni socioculturali.

Riappropriarsi dei valori della modernità

Ma la rivoluzione culturale avviata dai fautori dell’Illuminismo è rimasta incompiuta. I valori della modernità che avevano divulgato sono rimasti lettera morta, non avendo trovato un punto di riferimento all’interno di società in cui gli aspetti esteriori della modernizzazione straniera erano estranei. Va anche detto che il colonialismo europeo presente nella gran parte dei paesi arabi non aveva alcun interesse a far entrare le società tradizionali nella modernità. Da parte loro, i commercianti e i proprietari terrieri, al comando del movimento nazionale per l’indipendenza, non avevano il coraggio di intraprendere una strada che rischiava di mettere a rischio i rapporti tradizionali che garantivano i loro interessi di classe e la loro supremazia sociale, limitandosi a introdurre solo alcune misure di modernizzazione sulla costruzione politica dello Stato.

Quanto alle classi medie (funzionari, insegnanti e dipendenti pubblici) salite al potere dopo l’indipendenza, non hanno compreso che il consolidamento dell’indipendenza politica, l’introduzione di qualche tocco di modernità nella struttura socioeconomica e l’adozione di una “laicità” ambigua non sarebbe bastata a garantire il progresso. Con l’adozione parziale dei valori della modernità, le classi medie hanno svuotato quei valori del loro significato effettivo. Nel concetto di libertà, hanno visto solo la libertà delle nazioni e in quello d’uguaglianza un mezzo per porre fine alle disparità sociali tra le classi, e non una base per costruire uno Stato con le sue istituzioni dove tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.

Per Samir Amin, il progetto del futuro socialismo doveva basarsi sulle conquiste del capitalismo, sia in campo materiale che in termini di libertà individuale e democrazia politica, dando a questi concetti moderni un contenuto più ampio e generale. I cambiamenti avvenuti nei primi anni ’90, coincisi con il fallimento dei progetti di sviluppo arabi, dimostrano che le condizioni per il socialismo possono essere raggiunte solo all’interno della matrice del capitalismo e non in rottura con esso. Il socialismo è un progetto per lo sviluppo della modernità, qualunque sia la sua forma e il suo modus operandi. La “postmodernità” sarebbe quindi l’utopica “società comunista” immaginata da Karl Marx. Secondo Abdallah Laroui, invece, i compiti che storicamente spettano alle borghesie nazionali, in particolare l’assimilazione dei concetti moderni diffusi dai pensatori dell’Illuminismo arabo, rimarranno attuali finché non saranno portati a termine, poiché qualsiasi ritardo non farebbe altro che indebolire l’intera società araba.

Nella fase attuale, i marxisti arabi che aspirano al socialismo devono quindi attribuire un ruolo importante alla diffusione dei valori della modernità. Tra questi: il ricorso all’autonomia della ragione e alla diffusione della laicità. Una laicità che non dev’essere intesa né come ostilità alla religione, né una credenza, né un’ideologia volta alla salvezza, ma un insieme di principi razionali in grado di organizzare la società. I marxisti arabi hanno sempre mostrato rispetto per i credenti, non pronunciandosi mai contro le credenze religiose. Ma in questi tempi di strumentalizzazione politica della religione e di confusione tra piano religioso e temporale, i marxisti arabi hanno l’obbligo di ribellarsi contro un fenomeno che rischia di rivelarsi dannoso per tutta la società. Devono promuovere la secolarizzazione dello Stato arabo moderno a cui aspirano... fermo restando che, nonostante il suo carattere universale, la laicità non si manifesta allo stesso modo in tutti i paesi, ma varia a seconda delle situazioni concrete e dei contesti storici.

Nella loro aspirazione al socialismo, i marxisti arabi devono consolidare questi valori e comprendere che la concezione complessa e multidimensionale della democrazia non si riduce solo agli aspetti politici, ma include anche quelli economici e sociali. Questo perché la democrazia resta monca quando non è legata al progresso sociale, proprio come le conquiste sociali non legate alla democrazia politica sono reversibili, come del resto si è già constatato in molti paesi arabi.

Una chiave di lettura sempre attuale

Dobbiamo anche tenere presente che la lotta araba comporta una dimensione nazionale, con la lotta per la liberazione dei territori arabi occupati e una soluzione giusta della causa palestinese, la liquidazione della presenza militare straniera, la garanzia della sovranità dei popoli sulle loro ricchezze naturali e la creazione di un’unione democratica tra gli Stati interessati. I marxisti arabi devono quindi stabilire un legame dialettico tra l’obiettivo di un cambiamento sociale democratico da un lato e quello della liberazione nazionale dall’altro. Perché è la debolezza interna delle società che, secondo Yassin al-Hafez, ha permesso e favorito l’ingerenza straniera, l’aggressione, l’occupazione dei territori e il controllo sulle ricchezze nazionali. Una nazione libera e sovrana ha bisogno di un cittadino libero che si senta sovrano in patria. Questa dimensione patriottica e nazionale della lotta non è in contraddizione con l’adesione all’internazionalismo, poiché quest’ultimo implica la solidarietà tra tutti coloro che lottano per un mondo nuovo, un mondo che non conosca più sfruttamento, schiavitù, egemonia o inquinamento ambientale.

La crisi intellettuale globale che ha investito i marxisti a livello mondiale non significa che la critica marxista del sistema capitalista abbia perduto la sua rilevanza e la sua attualità. In ultima analisi, il marxismo è un campo scientifico e filosofico, critico e liberatorio che ha permesso di comprendere i meccanismi dello sfruttamento capitalista. Un campo che resta aperto a nuovi contributi capaci di recepire i nuovi fenomeni che stanno interessando il nostro pianeta. Come la globalizzazione sempre più rapida che si inserisce in un contesto in cui si acuiscono le forti disuguaglianze di sviluppo tra Nord e Sud. Un fenomeno che differisce, nelle sue condizioni e nei suoi meccanismi, dalla concezione marxista della Storia, una Storia che, sotto l’azione del capitalismo, si sta standardizzando su scala mondiale. Le tesi classiche sull’imperialismo che ci hanno lasciato Lenin, Bucharin e Rosa Luxemburg oggi non risultano più attuali di fronte ai nuovi aspetti del dominio mondiale (supremazia tecnologica, controllo del debito, dipendenza finanziaria); così come le profonde trasformazioni avvenute nella struttura sociale delle classi lavoratrici, la scienza diventata forza motrice della produzione, la rivoluzione informatica e l’automatizzazione hanno radicalmente mutato il concetto delle forze sociali portatrici del progetto di un’alternativa socialista rivoluzionaria.

1Un riferimento al filosofo di Córdoba, il cui pensiero ha avuto un ruolo importante nella vita intellettuale europea dal XIII al XV secolo.