Società

Le donne siriane e la dura lotta per l’uguaglianza

All’indomani della guerra, le donne siriane hanno assunto quasi da sole il gravoso compito di tenere insieme un’economia disgregata e un tessuto sociale dilaniato. Presenti sul mercato del lavoro, anche in settori tradizionalmente riservati agli uomini, giocano oggi un ruolo fondamentale in un paese tutto da ricostruire.

Operaie in una fabbrica di gelati nel quartiere di Adra, alla periferia nord-est di Damasco (agosto 2018)
Andrei Borodulin/AFP

Le lotte delle donne siriane non sono una novità ma sono in rapida evoluzione. Gli ultimi dieci anni di guerra hanno scombussolato le norme sociali e sovvertito le dinamiche di genere. Dai racconti delle donne di Damasco e dintorni emergono chiaramente i bruschi cambiamenti che hanno interessato l’intero paese. All’indomani della guerra, le donne hanno assunto quasi da sole il gravoso compito di tenere insieme un’economia disgregata e un tessuto sociale dilaniato. Una responsabilità nuova e di per sé pesante, che va a sommarsi alle tradizionali forme di discriminazione e sfruttamento profondamente radicate che tuttora gravano sulle donne. Ciononostante, alcune di loro sono riuscite a trarre beneficio da questa situazione, guadagnando dei livelli autonomia e autorità senza precedenti, una conquista che oggi si cerca di consolidare in una Siria che avanza verso un futuro nuovo e incerto.

Una nuova leva in città

“Nella mia città, il mercato ortofrutticolo è tutto in mano alle donne”, spiega un’attivista della periferia est di Damasco. Le donne hanno sempre fatto parte della forza lavoro cittadina, ma da qualche anno a questa parte hanno assunto compiti più importanti e più diversificati che mai. “Fanno di tutto: gestiscono le vendite, smistano le verdure, vanno persino dai grossisti a rifornirsi e trasportano pesanti casse. Prima questo era un lavoro da uomini”.

L’improvvisa scomparsa della popolazione maschile avvenuta in Siria negli ultimi anni ha prodotto una femminilizzazione degli spazi pubblici e dei luoghi di lavoro. “Gli uffici governativi sono pieni di impiegate statali adesso”, osserva una ricercatrice, ironizzando sul fatto che la cosa non ha giocato a suo favore: “Quando ci sono scartoffie da sbrigare, mio marito riceve sempre un trattamento migliore, immagino che sia per via dei giochi di seduzione’’. Un impiegato del Ministero degli Affari sociali e del Lavoro ha descritto lo stesso fenomeno in cifre:

Una volta, un servizio del governo ha pubblicato 80 offerte di lavoro e ha ricevuto 3500 domande, di cui solo 60 provenienti da uomini. Un’altra volta invece ero in visita in una scuola nel centro di Damasco e ho visto 40 insegnanti donne accanto a 2 uomini. Uno dei due aveva cinquant’anni [e quindi aveva superato l’età della coscrizione] e l’altro era l’unico figlio maschio della sua famiglia [e quindi esonerato dalla coscrizione].

Se questi esempi danno un’idea delle trasformazioni in corso, la portata reale del cambiamento sfida qualsiasi quantificazione esatta. In un rapporto del 2022, la Banca Mondiale ha stimato che la presenza femminile sul mercato del lavoro siriano è raddoppiata dal 2011, passando dal 13 al 26%. Il numero reale potrebbe tuttavia essere ancora più alto, se si considera la prevalenza del lavoro informale e la difficoltà di ottenere dati precisi. Una trasformazione che non si esprime solo in termini numerici perché bisogna tener conto anche dell’estrazione sociale delle donne che entrano nel mercato del lavoro e dei tipi di mestieri che svolgono. “In passato, le donne sposate della mia città natale in genere non lavoravano”, racconta una madre e vedova di Daraya, zona ribelle alla periferia di Damasco rasa al suolo dall’artiglieria siriana. “Tutto è cambiato da quando abbiamo perso i nostri mariti, lasciato le nostre case, e ci siamo ritrovate a dover provvedere da sole ai nostri bisogni”.

Uno degli effetti di questa situazione è che le donne svolgono ormai mestieri che un tempo sarebbero risultati insoliti o addirittura tabù. In un’altra zona alla periferia di Damasco, una donna si è lanciata in un’impresa tanto triste quanto faticosa: lustrare scarpe sui marciapiedi. Avendo difficoltà a trovare clienti tra i passanti uomini, ha messo un cartello in cui li invita a non aver paura a farsi lucidare le scarpe da una donna. Lo stesso impiegato ha espresso il proprio stupore riguardo alla portata di queste trasformazioni:

Le donne svolgono qualunque lavoro immaginabile, dalla vendita di sigarette per strada alla direzione di banche private. Tempo fa ho visitato una fabbrica con 8 magazzini di cui 6 gestiti da donne. C’erano donne che portavano grosse casse e che riparavano macchinari, non riuscivo a crederci.

Siccome il loro lavoro contribuisce a far girare l’economia, le donne hanno anche iniziato a gestire aziende, amministrare ONG e occupare posizioni dirigenziali. In alcuni quartieri, gli abitanti affermano che sono sempre di più le donne che prendono le redini dei “consigli condominiali”, gruppi di volontari che coordinano la gestione dei palazzi, per esempio raccogliendo quote per le spese comuni. Se alcune assumono questi incarichi per necessità, altre lo fanno per ingannare la noia, per ambizione, o ancora per trovare mezzi modesti ma costruttivi per forgiare un ambiente altrimenti molto restrittivo. Il dipendente di una ONG di Dummar, alla periferia di Damasco, ha spiegato che questi fattori possono progressivamente spingere le donne a svolgere un ruolo pubblico: “Mia suocera dirige il consiglio del suo condominio. È un lavoro impegnativo, ma capisco i motivi per cui vuole prendere in mano la risoluzione di certi problemi, anche perché la maggior parte delle sue amiche ha lasciato il paese’’.

La stessa constatazione è stata fatta durante le elezioni parlamentari del 2020, quando molte donne si sono candidate per occupare posti di responsabilità a livello locale. I risultati, poi, hanno dato l’impressione di essere tornati indietro: il numero di donne elette è infatti diminuito, passando da 32 nel 2016 a 27 nel 2020. Ma data la corruzione che caratterizza le elezioni in Siria, risulta più interessante esaminare il profilo delle circa 200 donne che si sono candidate. Storicamente, la rappresentanza femminile si limitava a una manciata di personalità emblematiche legate al partito al potere. Invece, come fanno notare alcuni attivisti, nell’ultimo scrutinio si è assistito all’arrivo di candidate più indipendenti, che svolgono un vero e proprio ruolo guida all’interno della propria comunità. Un poliziotto sulla trentina ha osservato questa trasformazione proprio all’interno della sua famiglia:

Mia sorella è direttrice di una scuola, è una donna dalla forte personalità ed è molto rispettata. Sia lei che suo marito sono delle figure pubbliche nella loro comunità ma la gente riteneva che lei avesse maggiormente la stoffa del leader. Così hanno deciso che doveva essere lei a presentarsi al Parlamento. Alla fine, ha perso ma credo comunque che abbia agito meglio di come avrebbe agito lui.

L’evoluzione dei ruoli nella sfera privata

Questa clamorosa riorganizzazione della sfera pubblica siriana è sottesa dalla trasformazione più silenziosa ma non meno profonda delle relazioni personali e familiari all’interno della sfera privata. Donne di ogni ceto sociale hanno ben presto capito che l’evolversi dell’attribuzione dei ruoli in base al genere aveva sgretolato norme culturali seppure ancora profondamente radicate. Il risultato è che hanno guadagnato maggiore autorità e autonomia in quanto a spostamenti, per esempio, ma anche riguardo al modo di vestirsi, di spendere il proprio denaro e alle loro frequentazioni.

Alcune avvertono questo cambiamento come una forma di empowerment, se non addirittura di emancipazione, da apprezzare e proteggere. Una sfollata di Kafr Batna, nella periferia conservatrice di Damasco, ha espresso questo sentimento in termini quanto meno insoliti: “La guerra è bella. Ha un lato positivo’’. Lei e la sua famiglia hanno sofferto moltissimo durante il conflitto, costretti a lasciare la propria casa per vivere in una zona vicina dove faticavano a sbarcare il lunario. Tuttavia, la donna è riuscita a trarre vantaggio da queste difficoltà approfittando della pressione economica e di un ambiente meno conservatore per rivendicare uno spazio negatole in passato:

 La mia famiglia mi costringeva a coprirmi il viso fuori casa. Potevo andare a fare compere solo se accompagnata da mia suocera. Da quando ci siamo trasferiti, ho iniziato a uscire da sola per comprarmi delle cose, e ho deciso di non coprirmi più il viso.

Altre invece sono più combattute, o addirittura risentite per i compiti che sono costrette a sobbarcarsi. Soprattutto per le donne che mantengono da sole la propria famiglia, l’aumento delle responsabilità può assomigliare più a una camicia di forza che a una liberazione, e suscita nostalgia per i tempi in cui gli uomini provvedevano a tutto. “Noi donne vivevamo nel lusso”, racconta una vedova peraltro povera della periferia di Damasco seduta in un furgone che la riporta da un centro femminile dove segue dei corsi di formazione professionale. “Eravamo servite e riverite. Adesso siamo abbandonate a noi stesse”.

Oggi, per sopravvivere, si è spesso costretti a fare più lavori, e in condizioni di sfruttamento. Ciononostante, in molti non riescono nemmeno a sbarcare il lunario e si ritrovano a dover prendere decisioni dolorose: quale pasto saltare, quando togliere i figli dalla scuola per metterli a lavorare, se dare in sposa le bambine per liberarsi dal fardello economico che rappresenta il loro mantenimento. I matrimoni di adolescenti sono infatti in aumento. Nel 2019, un responsabile del Ministero della Giustizia siriana ha pubblicamente affermato che il tasso di matrimoni con minori a Damasco e dintorni era più che quadruplicato dal 2011. In alcuni casi, queste scelte sono dettate non solo dalla pressione economica, ma anche dalla necessità di proteggere le ragazze: “Io e mia figlia sedicenne viviamo circondate da soldati e ubriaconi”, afferma una donna sfollata. “Voglio che si sposi il prima possibile così non dovrò più preoccuparmi che le succeda qualcosa”.

Se da un lato le donne si battono per ottenere maggiori responsabilità, dall’altro si ritrovano a dover affrontare problemi che conoscono bene, dai codici sociali repressivi alle violenze domestiche. Lo sfruttamento sessuale è più diffuso che mai, alimentato da un mix di disperazione economica e sfaldamento del tessuto sociale. “Sempre più donne vendono servizi sessuali online per sopperire alle proprie necessità”, spiega un istruttore che dispensa corsi di formazione alle donne. “Inviano foto osé a uomini che le ripagano con ricariche telefoniche o versando loro i soldi per l’affitto. Molti di questi uomini si trovano in altri paesi arabi e approfittano del fatto che le donne siriane sono sole”. Gli aneddoti come questo abbondano, e non si limitano al mondo di internet: professori che chiedono relazioni sessuali alle studentesse in cambio di buoni voti; manager che barattano lavori con favori sessuali; burocrati e addetti alla sicurezza che promettono procedure semplificate alle donne che si concedono.

Queste pratiche predatorie sono la spia delle trasformazioni più profonde nel rapporto che la società ha con la sessualità. La crisi dei tradizionali codici sociali ha allentato alcuni vincoli legati al diritto di disporre del proprio corpo. I media e l’industria pubblicitaria mostrano pubblicamente una sessualità femminile sempre più libera, il che permette a modelle ed influencer di vivere commercializzando la propria femminilità. Nel segreto delle case, un numero crescente di donne – soprattutto degli ambienti cittadini, laici e della classe media – ha sperimentato relazioni amorose occasionali, sfidando i vecchi tabù sui rapporti prima del matrimonio.

Mentre abbattono le barriere che ostacolano la loro vita sentimentale, le donne rivendicano nello stesso tempo la libertà di mettervi fine, persino in quelle comunità in cui il divorzio era un tempo pesantemente stigmatizzato. Una giovane farmacista dice di non essersi pentita di aver divorziato dal marito poco dopo la nascita del loro primo figlio: “Abbiamo avuto una lite e me ne sono andata via in taxi. Lui mi ha seguita in macchina urlandomi di scendere dal taxi. È stato allora che ho deciso che avrei fatto meglio a crescere mio figlio da sola”.

Naturalmente queste trasformazioni hanno anche un profondo impatto sugli uomini. Alcuni hanno accettato il cambiamento, o perché credono sinceramente nell’uguaglianza tra uomo e donna, o per pragmatismo, convinti che sia necessario adattarsi a un mondo in evoluzione. Così, in nome di una situazione economica complessa, possono accettare l’idea che le loro mogli, sorelle o figlie svolgano lavori in posti che un tempo erano loro proibiti, o adattino il loro abbigliamento in modo da fondersi nel nuovo ambiente. Come la donna di Kafr Batna che ha scelto di non coprirsi più il viso, un’altra giovane che si è trasferita dalla città religiosa di Duma a Dummar, meno conservatrice, ha spiegato: “Sono stati gli uomini della mia famiglia a chiedermi di non coprimi più il viso per non dare nell’occhio”. La forte influenza che gli uomini continuano spesso ad esercitare sulle condizioni e sul perimetro di autonomia delle donne della propria famiglia illustra bene quanto lavoro resti ancora da fare.

A rallentare i progressi è anche il fatto che non tutti gli uomini sono aperti al cambiamento. Alcuni infatti sono restii all’idea che le donne della propria famiglia acquisiscano indipendenza e responsabilità, vuoi a causa delle credenze sociali conservatrici, vuoi per paura di un’evoluzione delle dinamiche di potere all’interno di ambienti un tempo dominati dai soli uomini. “Gli uomini della nostra famiglia non sopportano che usciamo ogni giorno e che abbiamo contatti con altri uomini”, ha dichiarato la donna sfollata di Kafr Batna che a volte litigava col marito quando lui le chiedeva di non lavorare o di non seguire corsi di formazione professionale. “Va a finire che in tante mentono ai mariti per fare quello che vogliono”.

Rimane da vedere come evolverà questo braccio di ferro negli anni a venire. Se alcuni uomini cercheranno di ridurre lo spazio che le donne si sono ritagliate, altri si adatteranno al nuovo equilibrio tra i sessi che conoscerà la Siria e saranno essi stessi influenzati da questa evoluzione. La cosa più curiosa, forse, è che un numero inaudito di ragazzi sarà allevato da madri single in comunità gestite da donne. È ancora troppo presto per prevedere gli effetti di questa situazione ma una cosa è certa, e cioè che questa generazione crescerà con una visione della donna ben diversa rispetto a quella che avevano i nonni.

Nuovi equilibri

È chiaro che le donne siriane saranno chiamate a svolgere un ruolo cruciale in questa evoluzione. Pur tracciando una direzione ancora incerta, alcune trovano il modo per consolidare i risultati modesti ma significativi che hanno ottenuto. La donna di Kafr Batna ha fatto ritorno nella sua città natale ed è passata da un lavoro mal retribuito come sarta a uno più stabile ed economicamente più vantaggioso in un centro comunitario. La donna di Daraya che ha perso il marito e ha faticato per mantenere i propri figli, è riuscita a ottenere un posto di dirigente in una ONG e ha sorprendentemente trovato anche il tempo per seguire un corso di laurea triennale all’università di Damasco.

Tuttavia, la maggior parte delle traiettorie è meno rettilinea, perché le donne cercano di trovare un equilibrio tra quello che erano, quello che sono diventate e quello che gli altri vorrebbero che fossero in futuro. Una studentessa universitaria sulla ventina, che ha seguito una formazione quinquennale nella capitale, ha spiegato che nel suo paesino natale, nelle campagne di Damasco, le tradizioni patriarcali continuano a ostacolare l’emancipazione delle donne:

In città uscivo sempre truccata e con vestiti attillati, ma se lo faccio qui i vicini iniziano a parlare male. Perciò sono tornata agli abiti ampi ed evito di truccarmi. Mia sorella invece, che è più testarda, si veste ancora come prima. I nostri genitori non sono contenti. Abbiamo la reputazione di essere troppo liberali per poterci sposare.

Queste lotte individuali sono legate a un processo di riflessione più collettivo sulla posizione della donna all’interno della società. Fino a dieci anni fa, il dibattito sui diritti delle donne e sulla parità di genere in Siria era relegato a circoli elitisti di militanti femministe le cui opinioni di sinistra raramente riuscivano a raggiungere una più ampia fetta della popolazione. Oggi, questi dibattiti sono sempre più variegati, pubblici e alla portata di tutti. Quando, per esempio, una giovane donna siriana è stata picchiata a morte dal marito la sera di Capodanno, si sono scatenate discussioni sulla violenza domestica in vari angoli del paese, dalle periferie conservatrici di Damasco fino alle prigioni femminili.

Questi cambiamenti rispecchiano in parte gli ingenti sforzi profusi da gruppi di femministe sempre più affiatati, sia nel paese che nella vasta comunità siriana all’estero. Mentre il movimento #MeToo prendeva piede in tutto il mondo, le attiviste siriane residenti in Europa hanno riunito decine di migliaia di follower per discutere dei diritti delle donne su Facebook e TikTok. Si sono concentrate su alcuni tabù come la violenza sessista e l’indipendenza sessuale, condividendo consigli giuridici per le donne rifugiate che subiscono violenze domestiche in un ambiente nuovo e poco familiare. Tornate in Siria, alcune attiviste hanno approfittato di questo slancio mondiale per sviluppare le proprie tattiche: hanno organizzato dibattiti a tu per tu, altri virtuali, condotto campagne di sensibilizzazione sul tema delle molestie sessuali e fondato associazioni che offrono supporto giuridico e psicologico alle vittime di abusi. Hanno fatto rete anche al di fuori della Siria, partecipando al coordinamento di campagne di sensibilizzazione transnazionali volte a denunciare la violenza contro le donne in tutto il mondo arabo.

Il ruolo contestato dell’Occidente

Mentre le donne siriane consolidano i progressi fatti finora, alcune si sono rivolte all’Occidente per ottenere fondi volti ad aiutarle nella loro conquista di autonomia. Questa pratica è stata oggetto di numerose critiche, soprattutto da parte delle stesse donne che vi partecipano. I cosiddetti programmi di “mezzi di sussistenza sostenibili”, per esempio, generano solo raramente mezzi di sussistenza sostenibili, su un mercato del lavoro dove rari sono i posti che offrono uno stipendio dignitoso. Per di più, questi progetti – molti dei quali incentrati sul cucito e l’artigianato – rafforzano ulteriormente lo stereotipo sui tipi di mestieri che le donne dovrebbero svolgere. La pensa così anche la responsabile dell’associazione di Daraya: “Sono esasperata dal numero di volte che la mia organizzazione mi ha filmato e ha condiviso la mia storia per raccogliere fondi da devolvere ai corsi di cucito”.

Eppure, anche chi critica questo stato di cose finisce a volte per trarne beneficio. Alcune sono palesemente storie di successo: la donna di Daraya è un esempio relativamente raro di chi ha iniziato come stagista per poi ottenere un lavoro stabile che le permette di pagare le fatture. In altri casi, i successi invece sono meno lampanti: se una donna delle classi povere non riesce a trasformare i corsi di cucito in un vero e proprio mestiere, può comunque trovare mezzi più creativi per avvantaggiarsene, o vendendo il filo per comprarsi da mangiare o semplicemente utilizzando il centro di formazione come un’area di relax, dove entrare a contatto con altre donne con le quali discutere di problemi comuni. “Le nostre attività sono particolarmente importanti per le donne anziane, che non hanno molte occasioni per uscire e incontrare gente”, dichiara un’istruttrice in un laboratorio di artigianato. Così, anche quando i programmi di empowerment non raggiungono i risultati sperati, le donne possono comunque trovarvi i mezzi per andare avanti.

Una rivoluzione silenziosa

Mentre le donne di qualunque ceto si danno da fare, la loro forza più grande e anche la più durevole non risiede forse nelle carriere che intraprendono, negli stipendi che guadagnano, né tantomeno nelle libertà che si arrogano, tutte cose che potrebbero evaporare via via che la Siria avanza alla cieca. Una risorsa più sicura, sulla quale le stesse donne esercitano un forte controllo, è la rivoluzione silenziosa che avviene nel modo in cui si parlano, imparano le une dalle altre e si sostengono a vicenda. Sui luoghi di lavoro, in comunità e persino online, le donne siriane non sono mai state così interconnesse tra loro ma anche con potenziali alleati nel mondo arabo e non solo.

Le donne a capo di questi cambiamenti sono le prime a riconoscere la strada che rimane da percorrere. A dividerle sono le stesse linee di frattura rilevabili all’interno della società: le donne che vivono in Siria e quelle che vivono all’estero, le ricche e le povere, le giovani e le anziane, le laiche e le credenti. Eppure, questo pluralismo costituisce di per sé una forza. Come in qualsiasi dinamica in via di sviluppo, le divisioni e i disaccordi possono tanto favorire il progresso quanto ostacolarlo. Fa anche questo parte integrante del modo in cui le donne si conquistano quello che è realmente il loro posto in una società complessa e frammentata di cui già plasmano un avvenire incerto.