Reportage

La Città dei Morti del Cairo teme di diventare polvere

La Città dei Morti de Il Cairo, proclamata Patrimonio dell’umanità UNESCO insieme alla città vecchia del Cairo dal 1979, è un luogo insolito in cui i vivi e i morti convivono. Oggi la celebre necropoli è minacciata da lavori di riqualificazione e dai progetti stradali del governo. Esperti e architetti stanno cercando di salvare un complesso funebre fondato quattordici secoli fa nel cuore della città storica.

© Chantal Montellier

La Città dei Morti del Cairo è un’oasi di quiete nei giorni feriali, senza il mercato delle pulci che si tiene il venerdì. In questi ultimi tempi sono scomparse le ruspe che a partire dal luglio 2020 avevano scosso la zona per diversi mesi. Erano state demolite alcune tombe per consentire la costruzione di superstrade e ponti che, secondo le autorità egiziane, avrebbero dovuto facilitare il traffico verso la nuova Capitale.

A pochi passi dal cimitero di Imam al-Shafi’i1 si riuniscono alcuni “Cavalieri della Città dei Morti”. È così che sono soprannominate una ventina di persone, che cercano di difendere a qualunque costo il patrimonio funerario degli egiziani. Per attirare l’attenzione sui tesori poco conosciuti dei cimiteri, hanno cominciato a fare l’inventario delle tombe più importanti prima ancora che il governo egiziano annunciasse i suoi colossali progetti urbani.

Da qualche tempo, i Cavalieri hanno cercato di far sentire la loro voce, stringendo rapporti con altri esperti e difensori del patrimonio, per salvare il salvabile. Infatti, la seconda fase dei lavori stradali è imminente e prevede ulteriori demolizioni.

schiavi vicini ai loro padroni

Le conversazioni sono molto intense all’interno del caffè dove di solito si incontrano per stabilire l’itinerario della giornata. Poi cominciano a girare tra le rovine, cercando di decifrare le scritte sulle lapidi. I Cavalieri mantengono rapporti amichevoli con i guardiani del cimitero per poter entrare, mentre in altri accedono senza che nessuno li veda, a volte scavalcando la recinzione.

Il caso può condurli alla tomba del metafisico e pensatore francese, convertito all’Islam, René Guénon, o sulle orme di Naïma al-Masriya, la celebre cantante di cabaret degli anni 1920. “La maggior parte degli artisti famosi come Umm Kulthum e Abd el-Halim Hafez sono sepolti nel cimitero di al-Basatin2. I dignitari e membri dell’antica monarchia a Imam al-Shafi’i, e persone più modeste ad al-Wazir”, spiega Karim Badr, uno dei Cavalieri della Città dei Morti che cerca di individuare gli strati sociali dell’Egitto contemporaneo attraverso i suoi defunti. “Gli schiavi liberati di Ibrahim Helmi”, menzionati su una stele funeraria, riposano molto vicino al loro vecchio padrone, e un’altra porta il nome di una donna morta negli anni 1940, Melekber Abdallah, probabilmente una seguace circassa.

Il decano del gruppo dei Cavalieri, Mostafa El-Sadek, è un ginecologo di 60 anni con la passione per le necropoli e la genealogia. Da dieci anni fa il giro dei cimiteri del Cairo per raccogliere informazioni sui morti o identificare qualche tomba senza nome. Il suo grande interesse per il mondo dei morti deriva dalla sua storia familiare. Figlio di un pascià, è cresciuto durante l’epoca di Nasser. A scuola, durante le lezioni di educazione civica, continuavano a ripetergli che l’antica aristocrazia era dispotica. La frequentazione e lo studio dei cimiteri gli hanno insegnato, dice, ad attenuare quel punto di vista.

«Le stele, carte d’identità dei defunti»

La Città dei Morti ricorda le matrioske russe: ogni storia ne cela un’altra. Mostafa El-Sadek ha imparato a curiosare tra queste storie, guidato dalle iscrizioni sulle lapidi che indicano le origini, i legami di parentela, a volte le condizioni e il luogo della morte di una persona. “È possibile sapere se la tomba è di un uomo o di una donna in base a ciò che è stato inciso in cima alla stele. Per una donna ci sono delle trecce, un diadema o una collana. Per un uomo, delle armi o delle medaglie se era un militare, a volte un tarbush o un turbante, a seconda del rango sociale. Insomma, in un certo senso è la carta d’identità del defunto”, dice El-Sadek. “Vicino”, continua, “troviamo un copricapo inciso su una tomba, simbolo dei dervisci sufi, su un’altra più avanti lo stemma di un massone, da qualche altra parte delle iscrizioni sciite. Qualcosa che rispecchia le differenze della società egiziana”.

A Hosh al-Basha, sempre nel cimitero di Imam al-Shafi’i, sono sepolti diversi membri della famiglia di Mehmet Ali Pascià. L’umidità ha rovinato le pareti e i due arazzi ricamati con filo d’oro che decoravano l’ingresso sono stati trafugati. Mostafa El-Sadek resta affascinato dalla bellezza della calligrafia che adorna la tomba di Ibrahim Pascià, il figlio di Mehmet Ali, morto nel 1848. Su del marmo italiano, le iscrizioni recano il nome del più grande calligrafo persiano dell’epoca, el-Khorasani. Quindi il dottore racconta la tragica storia di Ismail, il fratello di Ibrahim. Morto bruciato durante una spedizione in Sudan intorno al 1820, fu ferocemente vendicato da suo cognato Mohammed Bey el-Defterdar, sepolto pochi metri più avanti.

Diverse tombe di intellettuali distrutte

Le iscrizioni funebri sulle tombe vicine sono opera di un maestro indiscusso dello stile cufico, Youssef Ahmed (1869-1942). Alcune sono classificate, altre no, anche se sono di grande bellezza e di grande valore monumentale. Questa è anche una delle questioni cruciali nella lotta per salvare l’antica necropoli.

Perché le autorità hanno dichiarato che non toccheranno gli edifici classificati come monumenti storici, vale a dire i 75 edifici che compaiono nelle loro liste. Tuttavia, gli antichi cimiteri sono pieni di tombe degne di nota che non sono elencate, e il loro destino è sballottato tra i diversi ministeri e un’organizzazione responsabile della conservazione del patrimonio architettonico della città.

Già durante la prima fase dei lavori sono state distrutte diverse tombe di intellettuali egiziani, come quelle dello scrittore Ihsan Abd al-Quddus3 e del giornalista Mohamed el-Tabeï, e altre rischiano forse di fare la stessa fine. Perché i progetti presentati dai responsabili cambiano dall’oggi al domani, senza alcuna consultazione o spiegazione. A volte alcune tombe sono contrassegnate da una croce rossa, altre da una croce nera. Capita che il governatorato avvisi i becchini che si trovano sul posto. E così alcuni di loro s’appropriano di porte, lapidi e altri corredi funerari, per venderli agli antiquari.

Il cortile spirituale della città

Uno degli ispettori del ministero delle Antichità sostiene che la tomba ottomana di Rokaya Dudu, costruita nel 1757 ad Ain el-Sirra, nel distretto di Al-Khalifa, con la sua bella cupola, sarà trasferita o smantellata. Mentre la tomba mamelucca dello sceicco sufi Abdallah el-Menoufi, che risale al 1474, dicono che si ritroverà direttamente sotto uno dei nuovi ponti. L’architetta May El-Ibrashy è rimasta sconcertata. Così ha lanciato l’iniziativa Al-Athar Lina (“questi monumenti ci appartengono”) all’indomani della rivoluzione del 2011, in collaborazione con gli abitanti del distretto di el-Khalifa (a sud del Cairo) per preservare l’anima dei luoghi nonché i suoi edifici storici.

May El-Ibrashy ha collaborato con un’altra architetta, Nairy Hampikian, al restauro della tomba di Rokaya Dudu, oggi a rischio. “Nel 2005, il livello della falda acquifera era all’incirca di 20 centimetri; oggi è aumentato di oltre 30 centimetri. In poco tempo è diventato enorme”, sottolinea El-Ibrashy, che ha completato nel 2021 i lavori di restauro della magnifica cupola del mausoleo di Imam al-Shafi’i.

El-Ibrashy continua: “Per quanto riguarda i cimiteri, si rischia di cancellare la storia sociale delle famiglie del Cairo e quella dell’insegnamento che ha avuto inizio in gran parte nei conventi dei dervisci, khanqah, all’epoca molto numerosi nella necropoli. I vecchi cimiteri rappresentano il cortile spirituale della città. Pensiamo ai rituali e alle strane pratiche che si svolgono lì dentro: sessioni di zar (musica e danza per esorcizzare i demoni), combattimenti tra galli, ecc. Nella letteratura antica, ci si riferisce spesso ai dotti con l’appellativo el-qarafi, che significa che l’ulema si era stabilito per due o tre anni ad Al-Qarafa, l’antico cimitero del Cairo, un luogo di conoscenza e meditazione”.

Guide sempre pertinenti

Popolata di luoghi sacri e santi benevoli, la Città dei Morti è anche una fucina di religiosità popolare. Si impara che la credenza, l’intuizione e l’immaginazione fanno parte del comportamento umano, come spiega il sociologo Sayed Eweiss4 che nel 1965 ha pubblicato uno studio sulle lettere che gli egiziani indirizzavano all’Imam al-Shafi’i, nato a Gaza nel 767 e morto al Cairo nell’820. Molti secoli dopo la sua morte, alcuni si lamentavano con lui come se fosse ancora in vita, mentre altri gli rivolgevano delle suppliche con tanto di timbro, per chiedere giustizia o confessare addirittura dei delitti. È uno studio che mette in luce il genius loci, che può essere rintracciato seguendo le descrizioni citate nei Kitab al-ziyara, raccolta di libri tra cui i più antichi risalgono al periodo fatimide e ayyubide.

Nonostante i successivi restauri, si possono ancora seguire i percorsi che queste opere offrono, che vanno spesso da nord a sud per visitare la grande necropoli, girovagando tra i suoi cimiteri. Percorsi che però non saranno più percorribili, perchè interrotti da ponti e svincoli autostradali. I membri della campagna per la salvaguardia della necropoli storica (Safeguard of Historic Cairo’s Cemeteries) hanno presentato un piano alternativo ai responsabili dei progetti stradali. “In materia di pianificazione, non si può elaborare un unico progetto e imporlo, bisogna sempre elaborare più piani e discuterli, è in quest’ottica che abbiamo proposto una soluzione alternativa”, ribadisce Galila El-Kadi, portavoce della campagna, professoressa emerita presso le università francesi e coautrice con Alain Bonnamy del libro La Città dei Morti. Il Cairo, pubblicato nel 2001.

Per la docente universitaria, è una storia che si ripete, dal momento che ha già lottato tra la fine degli anni 1980 e l’inizio degli anni 1990 per porre fine alle violazioni all’integrità della Città dei Morti. All’epoca aveva proposto un progetto di parco funerario in cui sarebbero state valorizzate le tombe da salvare, ma il progetto non è mai andato in porto. Tornata sul campo ultimamente, non ha riconosciuto Hosh al-Basha, a causa del degrado del sito per l’incuria e le infiltrazioni delle falde acquifere. Questa volta il rischio è ancora maggiore. Lo Stato ha già notificato agli eredi di diverse tombe che dovranno spostare le spoglie dei propri cari. Gli esperti ritengono che alcuni monumenti funebri troppo delicati non possano essere trasferiti e per tanto saranno distrutti, ma nessuno fa accenno alla sorte riservata ai resti umani, ed è dubbio che si tenga conto del rispetto dovuto ai morti. Senza nemmeno sollevare la questione sul destino delle tante famiglie dei vivi che stanno cercando di sopravvivere tra le tombe.

“Bisogna capire che non tutto è in vendita in questo paese, e che ci sono dei valori da salvaguardare”, conclude l’architetta May El-Ibrashy, protestando contro l’attuale mercificazione del luogo che rischia di spazzar via buona parte della storia popolare del Cairo.

1A est del Cairo, e a sud della Cittadella di Saladino, conosciuta come la necropoli meridionale.

2Letteralmente “i frutteti”, per via delle piantagioni d’epoca mamelucca (1250-1517).

3Sono pochi i racconti pubblicati in italiano: Una donna a tua disposizione in Colombo Valentina (a cura di), L’altro Mediterraneo Antologia di scrittori arabi del Novecento, Milano, Mondadori, 2004, pp. 11–124 e Dio è amore in Durand, O., Mion, G. (a cura di) Una presenza non un ricordo. Studi di lingua e letteratura araba in memoria di Sameh Faragalla, Roma, Aracne, 2013, pp. 59–72. È stato adattato anche un romanzo per il cinema nel 1961 dal regista Henry Barakat, Fī baytinā raǧul (Un uomo in casa nostra), con interpreti Omar Sharif e Rushdy Abaza. N.d.T.

41913-1989. I suoi diari dal titolo La Storia che porto sulle spalle sono stati pubblicati in francese dal Centro di studi e documentazione economiche, giuridiche e sociali (Cedej) nel 1985.