Intervista esclusiva

Mélenchon. A Gaza “non è legittima difesa ma un genocidio”

Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra francese ed ex candidato all’Eliseo, risponde alle domande di Orient XXI in un’intervista esclusiva. Profondamente indignato per le sorti degli abitanti di Gaza, spiega perché si sta aprendo una profonda scissione tra l’Occidente e il resto del mondo sul sistema dei “due pesi e due misure” attuato nel sostegno a Israele. In una riflessione che coinvolge l’atteggiamento dei paesi e delle sinistre europee, Mélenchon rivolge un elogio al rifiuto di allinearsi inteso come “scelta morale per l’azione politica”.

Jean-Luc Mélenchon alla scuola estiva di LFI, a Châteauneuf-sur-Isere, 25 agosto 2023
Jeff Pachoud/AFP

OrientXXI. - “Resistere!” è uno dei suoi slogan preferiti in politica. Come può “resistere” oggi chi vive a Gaza, visto che ormai da parecchie settimane sono in corso pesanti e continue distruzioni? Considerando anche l’abbandono decennale di Gaza da parte della comunità internazionale.

Jean-Luc Mélenchon. - È da tempo che sono scosso dalla terribile situazione in cui versa Gaza. Per me è uno shock morale assoluto. Più di due milioni di persone sono state rinchiuse in una sorta di prigione a cielo aperto. Non posso credere che Israele abbia fatto una cosa del genere, alla luce della storia della persecuzione degli ebrei nel mondo e delle ragioni che sono alla base della creazione del suo Stato. Gaza è anche il terribile emblema della necrosi in atto nel cosiddetto “Occidente”. L’incapacità occidentale di porre immediatamente fine a questo abominio è un segno di decadenza morale per tutti coloro che trovano che sia normale, stando a guardare. Resistere vuol dire semplicemente non dimenticare mai la nostra comune umanità.

OrientXXI. - Sono almeno vent’anni, dal fallimento degli accordi di Oslo, che Gaza è diventata anche l’emblema della politica portata avanti da Israele senza pagarne le conseguenze.

J.-L. M.- Ha ragione, ma non è una novità. In tutto il mondo, ci troviamo di fronte a due pesi e due misure, a seconda di chi è allineato o meno con gli Stati Uniti. Abbiamo assistito al netto rifiuto degli Stati Uniti e degli alleati all’invasione ingiustificabile dell’Ucraina da parte della Russia. Ma c’è un silenzio quasi generale sugli eccessi di Netanyahu. Tra il 2008 e il 2009 c’è stata l’operazione “Piombo fuso” che per me rappresenta un momento di svolta. Non solo gli abitanti di Gaza sono stati rinchiusi in una prigione, ma continuamente bombardati per punizione a causa di una presunta responsabilità collettiva. In questo caso, l’azione di Netanyahu contro gli abitanti di Gaza non è legittima. Non si tratta di legittima difesa, ma di un genocidio. Sono in corso delle manifestazioni di massa in molti paesi, compresi gli Stati Uniti d’America a cui partecipano ampi segmenti delle comunità ebraiche locali. Un movimento eterogeneo che dimostra l’inattendibilità della teoria dello “scontro di civiltà” di Samuel Huntington. La massa dei manifestanti fa riferimento alla giustizia, al diritto internazionale, al diritto di vivere una vita dignitosa, all’universalità dei diritti umani.

OrientXXI. - Lei, e buona parte della comunità internazionale, ha parlato di crimini di guerra dal punto di vista del diritto internazionale in merito all’attuale offensiva israeliana a Gaza...

J.-L. M.- È vero, ma non è stato affatto facile!

“L’unico caposaldo è il diritto internazionale”

OrientXXI. - Ovviamente, ma è considerato un passo avanti per i palestinesi. Prima di quanto accaduto, c’è stato però il 7 ottobre con l’uccisione di 1200 israeliani da parte del commando di Hamas. Secondo lei, anche questo è un crimine di guerra?

J.-L. M.- La Corte penale internazionale (CPI) dovrà raccogliere tutti i dati sui presunti crimini. Già dal 7 ottobre, ho fatto appello a un cessate il fuoco. Ho preso posizione affinché tutti i crimini di guerra siano portati davanti alla giustizia. Al di là della mia opinione personale, e dell’uso che ne può essere fatto, ciò che importa è la natura degli eventi e il modo in cui si può portare avanti una lotta politica su basi concrete e universalmente accettate. Alla fine dell’operazione “Piombo fuso”, c’è stato un rapporto delle Nazioni Unite che accusava di crimini di guerra le due parti coinvolte nel conflitto. Non è successo assolutamente nulla. Eppure, in un mondo ordinato e stabile, il diritto non può essere considerato una semplice sovrastruttura accessoria. Non abbiamo altro punto di riferimento nel mondo che il diritto internazionale, incarnato dalle Nazioni Unite, anche se entrambi sono perfettibili. Qual è l’alternativa? La legge del più forte? Oggi stiamo pagando il mancato intervento dopo l’operazione Piombo fuso.

Il senso dell’attuale conflitto cambierà il corso del secolo. Bisognerà essere pronti di fronte agli eventi. La sinistra precedente è rimasta disorientata per dieci o quindici anni dopo la caduta dell’URSS. Una delle conseguenze impreviste è stata proprio la crescente ondata reazionaria che ha finito per travolgere quasi tutto il mondo. Si è formato però un fronte di resistenza che ha riportato delle vittorie in America, non solo contro l’imperialismo degli Stati Uniti, ma anche e soprattutto contro il modello economico neoliberista. Ma nel resto del mondo, pochissimo o niente. Mentre continuiamo a lottare per un nuovo ordine del mondo, per un nuovo tipo di società, dobbiamo trovare dei capisaldi. Nell’attuale rapporto di forze, il caposaldo è rappresentato dal diritto internazionale, qualunque siano i suoi limiti. Se non ci fosse l’ONU, al di là dei suoi limiti, quale sarebbe la prospettiva per il pianeta? L’obiettivo è instaurare un mondo “multipolare”, altrimenti la guerra sarà inevitabile. Abbiamo bisogno di un mondo “ordinato” intorno al diritto come punto di riferimento comune. C’è una questione che non si può più rimandare: il 75% delle nazioni ha una controversia relativa ai confini. E il 28% di queste controversie sono sfociate in conflitti armati. La situazione tra Palestina e Israele è un conflitto coloniale, una guerra per i territori e i confini, non è un conflitto religioso. Il rifiuto di allinearsi con una delle parti del conflitto non vuol dire essere neutrali o equidistanti. […]

Il “sostegno incondizionato a Israele” non può avere altri significati rispetto a quello di sostenere incondizionatamente la politica del governo Netanyahu. Siamo in totale disaccordo con il suo governo e con i principi politici che difende, oltre a rifiutare la sua politica di colonizzazione. È una posizione che da un certo numero di persone fanatiche viene considerata antisemita. Il termine antisemitismo viene ormai usato senza senso e senza ritegno come fosse un raggio che paralizza chi non la pensa come loro. È ridicolo. Ormai è un’offesa che viene rivolta a chi che non sostiene in toto la linea di Netanyahu.

OrientXXI. - Una parte della comunità ebraica si sente abbandonata dalla sinistra che sembra arretrare sul tema dell’antisemitismo. Cosa risponde?

J.-L. M.- Che si sbaglia. Siamo e saremo sempre i primi a lottare senza esitazioni contro il diffondersi del razzismo perché è ciò che mina inevitabilmente l’unità popolare. Storicamente la comunità ebraica aveva fatto la scelta giusta e saggia di stare a sinistra. Fu proprio la sinistra rivoluzionaria di Robespierre a dare la cittadinanza agli ebrei dell’ancien regime. Molti dei nostri più gloriosi leader provengono dalla comunità ebraica. Il mio è un invito corale a tornare a quella fratellanza di lotta. Ma non bisogna perdere di vista la cosa più importante. L’unità d’azione implica una comunità di obiettivi. E il rispetto reciproco delle parti in causa.

OrientXXI. - È vero che una buona parte delle comunità ebraiche si sono radicalizzate intorno al sostegno a Israele, sentendosi d’improvviso lontane dalle proprie comunità nazionali. In tutta Europa c’è poi un’estrema destra, a volte al potere o spesso alle porte del potere, che è in prima linea nella difesa di Israele, e spesso altrettanto in prima linea sull’islamofobia.

J.-L. M.- In che modo l’affetto per Israele dovrebbe allontanare da una comunità nazionale? Perché confondere il diritto di esistere di Israele con il sostegno incondizionato a tutti i suoi governi? La si può pensare diversamente. Io sostegno la soluzione a due Stati, e questa è anche la posizione dell’ONU. Ma sono aperto ad altre idee se le propongono insieme, in maniera condivisa. Oggi condanno una politica di governo e le sue conseguenze. Capisco che ci si senta maltrattati se si viene insultati e minacciati. Anch’io mi trovo in questa situazione. Non bisogna cadere nel gioco come vuole qualcuno. Soprattutto, da parte di chi vedrebbe di buon occhio che, per la loro religione, le popolazioni di fede ebraica se ne andassero tutte in Israele. Ora, è vero che l’estrema destra sta andando al potere in tutti i paesi europei. Questa sembra essere la china. E tutti i paesi d’Europa la stanno seguendo, come nel caso dell’Italia. La presidente Meloni serva da esempio a molti. Quindi, è forse il momento per la comunità di crearsi dei nemici? Di fronte allo “destrizzazione” della destra e del centro, l’unica alternativa è la sinistra radicale.

È importante trovare la nostra identità. La nostra non è preoccupazione contemplativa, estetica o metafisica. Il nostro principio è quello dell’unità popolare per compiere la rivoluzione dei cittadini. Per raggiungere questa unità popolare, è assolutamente necessario impedire che il veleno del razzismo faccia breccia nel popolo. Dobbiamo combattere i razzismi, quello antisemita, anti-arabo, anti-musulmano, tutti, nessuno escluso. Dobbiamo assolutamente rimuoverli e farlo capire al nostro popolo in modo che stia in guardia e individui il veleno in tempo. Perché il razzismo è un’operazione ideologica creata per dividerci.

Nessuno ha sporto denuncia contro di me per antisemitismo, eppure è un reato in Francia. Ciò significa, quindi, che i nostri accusatori sono i primi a non crederci. In concreto, a cosa potrebbero appigliarsi per sostenere le loro accuse? Ecco perché di fronte al razzismo, di fronte all’estrema destra, il popolo deve resistere. E dobbiamo resistere anche noi, persino nei giorni in cui ci feriranno la violenza e l’ingiustizia.

OrientXXI. - L’imposizione del termine “terrorismo” senza alcuna definizione è diventata un’arma politica. Ma Hamas è un’organizzazione che i palestinesi si sono dati. Dire che è un’organizzazione terroristica significa che non si può discutere con loro. Hamas andrebbe considerata un gruppo della resistenza?

J.-L. M.- Lo ripeto, ci sono ovviamente atti terroristici, atti che hanno lo scopo di seminare il terrore, creare una paralisi che separi per sempre. Sono atti terroristici che vanno puniti come crimini di guerra o come crimini contro l’umanità. Possono essere processati dalla Corte penale internazionale. La definizione di “organizzazione terroristica” è altra cosa. È il risultato di un rapporto di potere. Il Sinn Fein1, per esempio, era considerato un’organizzazione terroristica. Oggi governa l’Irlanda, ha la maggioranza sia a nord che a sud. Diremo che si tratta di due paesi terroristi? Tutto questo non ha alcun senso. Condivido assolutamente che se ne discuta. È utile. Ma non è la nostra priorità rispetto alla vera guerra a Gaza. La nostra priorità è il diritto. Se stiamo combattendo una battaglia contro il terrorismo, allora stiamo uscendo dall’ambito giuridico. Perché la tesi della guerra al “terrorismo” porta a una spaccatura per nulla marginale. È una divisione ideologica per un allineamento politico. Seguendo questa strada, arriviamo alle torture del centro di Guantanamo, alle bombe al fosforo a Gaza e così via. Il diritto non esiste più. Tutti i mezzi sono legittimi nella “lotta del bene contro il male”. Chiunque si opponga agli Stati Uniti d’America è considerato un terrorista. È questa la dottrina propagandata da Samuel Huntington. Si tratta di sostituire, per necessità universalista, una visione etnocentrica al diritto internazionale. Il passaggio da uno all’altra è molto delicato. La parola “terrorismo” non è una semplice battaglia per la scelta delle parole, ma una battaglia politica. Bisogna ammetterlo.

Le possibili sanzioni economiche

OrientXXI. - A un certo punto, la Francia aveva classificato come terrorista l’ala militare ma non l’ala politica di Hamas. Eppure, prendiamo l’esempio del Libano: lì è difficile agire se non si discute con Hezbollah.

J.-L. M.- Vedete che potere hanno questi concetti di portarci su un altro terreno? Perché, se si è d’accordo su questo concetto in un luogo, si dovrà esserlo anche in un altro. Dovremmo essere d’accordo anche per un intervento armato in Libano? Ovviamente il gioco dei miei avversari è quello di farci dire che siamo favorevoli al terrorismo. Tutto questo crea un clima asfissiante, dove si finisce per avere persino paura di parlare. Non è il mio caso. Io non ho paura, ho condannato la situazione fin dai tempi dell’operazione “Piombo fuso” e la cosa, da allora, mi è valsa delle forti inimicizie. Ma questo non mi farà cambiare idea. Non ci sono compromessi di fronte al massacro in corso a Gaza. Bisogna difendere un ordine mondiale non allineato.

OrientXXI. - La soluzione a due Stati è ancora possibile, o possiamo immaginare qualcos’altro?

J.-L. M.- Per ora mi attengo alle decisioni delle Nazioni Unite. È una base solida. Secondo le Nazioni Unite, è necessario creare due Stati. Se chi discute dei confini dei due Stati finisce per proporre un unico stato plurinazionale, o un’altra soluzione valida reciprocamente accettata, allora saremmo ugualmente d’accordo se è per una pace giusta.

OrientXXI. - Un gesto forte da parte dei paesi europei sarebbe quello di riconoscere lo Stato di Palestina?

J.-L. M.- Bisognerebbe farlo in condizioni propizie. Nell’immediato, la priorità è sanzionare il governo Netanyahu. Israele è un partner privilegiato dell’Unione Europea. Noi siamo a favore delle sanzioni economiche. Se fossero applicate, il rapporto di forza cambierebbe immediatamente, dato il coinvolgimento dell’economia israeliana in quella europea. L’esistenza di una politica dei due pesi e due misure è un segno del cieco allineamento dell’Unione Europea su Netanyahu. Perché, se ci si allinea, si è poi costretti ad approvare tutto, e a volte ad andare anche oltre. Come ha fatto, ad esempio, il presidente Macron quando ha proposto una “coalizione internazionale contro Hamas sul modello di quella formata per contrastare lo Stato islamico (Daesh)”. Questo significherebbe che la Francia deve essere coinvolta nel genocidio in corso a Gaza? Macron ha impiegato 35 giorni per chiedere un cessate il fuoco. Sono 35 giorni di bombardamenti, una bomba ogni 30 secondi, il 60% degli edifici distrutti, oltre 15.000 morti, vale a dire ci sono state più vittime in un mese e mezzo che in quattro anni d’assedio a Sarajevo. Stiamo assistendo a una carneficina. Molti Alti rappresentanti delle Agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sul rischio di genocidio. Gaza è la Guernica del XX secolo. Ora, visto che gli esseri umani sono organizzati in enormi strutture urbane, quindi incontrollabili, le occupazioni di territori portano gli aggressori a deportare intere popolazioni. Ciò è possibile attraverso massacri di massa e spostamenti forzati. È una cosa che ormai fa parte delle strategie ordinarie della guerra.

OrientXXI. - Sulla scia di Ong palestinesi, poi israeliane, due grandi organizzazioni specializzate sui diritti umani come Human Right Watch e Amnesty International hanno usato con qualche riserva il termine apartheid per definire le discriminazioni di cui sono vittime i palestinesi. Eppure, l’uso della parola “apartheid” divide la sinistra. Non c’è unanimità sull’uso e l’ambito nel quale applicarla. In questo caso, come spiega tali resistenze?

J.-L. M.- La linea generale dei leader e dei promotori del nostro movimento è che si tratti di una politica di apartheid. Esiste una definizione di apartheid, ed è già stato condannato in passato. L’apartheid descrive una situazione, che ovviamente implica un giudizio morale totalmente negativo. Sì, penso che ci sia una volontà di “sviluppo separato discriminante”, unita a brutalità, espropriazioni, violenze di ogni tipo e pratica coloniale. Ci sono prove a supporto dei fatti, anche da una parte della popolazione israeliana che si oppone e manifesta, con incredibile coraggio. Ecco perché personalmente continuo a sostenere l’idea di un’umanità universale in grado di creare una popolazione umana riunita da principi comuni. È necessario puntare sull’ottimismo nella Storia, basandosi sempre sulle richieste legittime. Il termine “legittimo” non è una parola usata a caso, ma ci riporta alla nozione di diritto. Sono ottimista perché moralmente abbiamo vinto la sfida nelle coscienze popolari. Noi restiamo nel campo della pace.

1Sinn Féin (letteralmente “noi stessi” in gaelico irlandese) è il movimento e partito politico indipendentista irlandese fondato nel 1905 da Arthur Griffith; è un partito politico di sinistra, d’ispirazione socialista democratica e repubblicana.[NdT].