Ucraina-Palestina. Due pesi e due misure

Lanciata lunedì 3 luglio, la maxi operazione militare dell’esercito israeliano all’interno del campo di Jenin, la più grande dalla seconda Intifada, con raid aerei e carri armati, è durata 48 ore, con un bilancio di oltre 3.000 palestinesi sfollati. A fronte di questa escalation, sono state pochissime le reazioni internazionali, a differenza della costante mobilitazione a favore del popolo ucraino. Un doppiopesismo che va a minare il principio dell’universalità del diritto internazionale.

Gli abitanti del campo profughi di Jenin fuggono durante l’operazione militare israeliana, 4 luglio 2023.
Jaafar Ashtiyeh/AFP

Secondo l’ultima stima dell’ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani del 5 giugno 2023, l’invasione russa dell’Ucraina, paese di 44,9 milioni di abitanti, ha causato, dall’inizio della guerra il 24 febbraio 2022, 24.425 vittime civili, soprattutto tra la popolazione ucraina: ad oggi, si contano 8.983 morti e 15.442 feriti. Naturalmente si tratta di una guerra odiosa senza alcuna giustificazione, ma è sempre meglio dirlo apertamente. Questa è stata la linea adottata dalla stampa e dai media occidentali che, da più di un anno, trasmettono in diretta tutti i giorni ogni minimo sviluppo della guerra.

Tutti i leader europei e americani hanno espresso un unanime sostegno a favore dell’Ucraina. Una solidarietà che va senz’altro accolta con favore, ma che non abbiamo visto per altre guerre, altrettanto odiose, che non hanno ricevuto la stessa continua e costante attenzione. Purtroppo, ancora una volta, il ricorso al diritto internazionale è stato a geometria variabile.

Chi ha il diritto di resistere?

Parliamo, in particolare, della guerra senza fine che l’esercito israeliano porta avanti da molti anni contro le popolazioni della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dove vivono circa 5,2 milioni di abitanti il cui unico torto, a quanto sembra, è quello di esistere. Il paragone non è così assurdo: a prescindere dalle specificità, ci sono delle somiglianze tra i due scenari di guerra. Ma vengono trattati in maniera molto differente.

Così, quando Putin strumentalizza sfacciatamente la memoria della Seconda guerra mondiale, evocando l’immane tributo pagato dai sovietici, per giustificare l’invasione dell’Ucraina dietro il pretesto della “denazificazione” del paese, questa scandalosa tecnica di manipolazione solleva giustamente una condanna ferma e unanime. Ma quando il governo israeliano usa gli stessi espedienti contro i manifestanti che si mobilitano contro la repressione dei palestinesi, considerati degli antisemiti nostalgici della Shoah, per sostenere, con la complicità anche di Emmanuel Macron, che l’antisionismo – com’è noto, a volte, può nascondere un vero e proprio odio razzista – sarebbe, per definizione, una forma di antisemitismo.

Altro doppiopesismo: è indubbio che il presidente ucraino, a cui la Francia consegna regolarmente armi dall’inizio dell’aggressione russa, è pienamente legittimato a resistere, chiedendo il ritorno ai confini internazionalmente riconosciuti del suo paese. Ma è, dal 1967, che l’ONU chiede invano la restituzione dei territori palestinesi occupati dall’esercito israeliano e delle alture del Golan. Nessuno all’interno della “comunità internazionale” pensa però di consegnare armi alla resistenza palestinese, che viene sistematicamente bollata come “terrorista”. Inoltre, ai palestinesi viene chiesto di fare concessioni, mentre si accoglie con favore l’intransigenza del governo ucraino.

Perché ovviamente, le azioni coloniali e belliche giustamente ritenute inammissibili in Ucraina sono, al contrario, generalmente e facilmente ammesse quando sono opera del governo israeliano. E questo è evidente anche nell’attenzione che viene concessa – o meno – alle vittime di questi atti di violenza.

Morti che non contano

Secondo Kiev, sono “almeno 485 i bambini ucraini” uccisi dall’inizio dell’invasione russa. Un bilancio terribile che suscita legittima indignazione, e gli autori di questo massacro sono giustamente considerati dei carnefici da mettere al bando. Un’indignazione che è però ancora una volta a geometria variabile. Alla fine del 2008, nel corso dell’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha commesso, secondo l’ONU, “crimini di guerra e, in alcuni casi, crimini contro l’umanità”, uccidendo 1.315 palestinesi, tra cui 410 bambini.

Cinque anni dopo, nell’estate del 2014, un nuovo attacco a Gaza, l’operazione “Scudo difensivo”, durante la quale, secondo Amnesty International, l’esercito israeliano “ha violato le leggi di guerra conducendo una serie di attacchi contro abitazioni di civili mostrando una fredda indifferenza”1 uccidendo, da stime delle Nazioni Unite, 1.354 civili palestinesi, e ancora una volta diverse centinaia di bambini.

Eppure, il governo israeliano non è mai stato messo al bando dalle altre nazioni. Non c’è mai stata alcuna sanzione o condanna nei suoi confronti. Forte dell’impunità che gli viene concessa, l’esercito continua quindi a uccidere. Nei territori palestinesi occupati, sono 230 le vittime delle “forze di difesa” israeliane o dei coloni nel 2022. Nei primi cinque mesi del 2023, “l’esercito israeliano ha già ucciso oltre 161 palestinesi”, secondo Palestine Media Agency. Il 19 giugno 2023, 6 palestinesi, 5 dei quali civili, tra cui un ragazzo di 15 anni, sono ancora una volta rimasti uccisi in un raid dell’esercito israeliano a Jenin, in Cisgiordania.

“Normali episodi”

I media hanno derubricato subito quello che viene considerato un normale episodio; nulla sembra distrarli dalle “dirette” quotidiane sulla guerra di Putin in Ucraina. Il 20 giugno, il quotidiano Le Monde ha però dedicato un articolo a una notizia passata sostanzialmente inosservata: “Il governo israeliano ha fatto un passo importante verso l’annessione della Cisgiordania”2.

In un momento in cui tutto il mondo occidentale si vanta di difendere i diritti dei popoli a Kiev, un simile proposito avrebbe dovuto suscitare almeno indignazione. Purtroppo, i palestinesi hanno questo grande torto, decisamente imperdonabile, quello di non essere europei. E così quest’annunciata aggressione è stata immediatamente coperta da un silenzio che nasconde il peggiore assenso.