Diario da Gaza 114

“La “linea gialla”, una zona cuscinetto stabilita come divisione di fatto”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, nell’ottobre 2023 ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza City insieme alla moglie Sabah, ai figli di lei e al loro figlio Walid, di tre anni, sotto la minaccia dell’esercito israeliano. Si sono rifugiati a Rafah, poi a Deir al-Balah e successivamente a Nuseirat. Dopo un nuovo trasferimento a seguito della rottura del cessate il fuoco da parte di Israele il 18 marzo 2025, Rami è tornato a casa con la sua famiglia il 9 ottobre 2025.

Una zona devastata, edifici crollati e un fucile appoggiato su un treppiede.
Khan Younis, 3 ottobre 2025. Un soldato israeliano impugna una mitragliatrice montata di fronte agli edifici distrutti vicino all’ospedale da campo giordano a Gaza
JACK GUEZ / POOL / AFP

Giovedì 27 novembre 2025.

Tutti sentono parlare di “linea gialla”, senza sapere di cosa si tratti. In realtà, è una linea stabilita dagli israeliani con la costante presenza del loro esercito. È un confine virtuale perché invisibile. Solo loro ne conoscono i confini. Si può dire che più o meno va da nord a sud della Striscia di Gaza, coprendo il 53% della superficie della Striscia, ovvero circa 200 km².

È una zona che copre una parte di Beit Lahia, tutta Beit Hanun, tutta la parte orientale della Striscia di Gaza fino alla città di Rafah compresa. Ciò significa che i 2,3 milioni di persone ancora a Gaza sono concentrate in soli 150 km². Tutto il resto è una zona occupata dall’esercito di occupazione.

Non ci sono segnali che indicano che lì c’è una linea da non oltrepassare. La gente ha cominciato a capire che quelle linee virtuali esistevano solo avvicinandosi ad esse. Invece di sparare colpi di avvertimento, l’esercito di occupazione ha sparato direttamente sulla gente. È solo perché ci sono stati dei morti che ora sappiamo dove inizia la zona.

Solo dopo gli israeliani hanno annunciato che ci sarebbero stati dei segnali gialli per delimitare la linea da non oltrepassare. Ma nessuno li ha mai visti perché sparano ancor prima che li si possa distinguere. Abbiamo visto questi “blocchi” – grandi pietre colorate di giallo – nelle immagini dei media israeliani, ma non a Gaza. Guardando però la mappa che gli israeliani diffondono ovunque, si vede chiaramente che l’area all’interno della linea gialla copre poco più della metà della Striscia di Gaza. Ci rimane solo il lato occidentale e la zona costiera.

Una colonia per i palestinesi

Molti si chiedono cosa ci sia laggiù. Prima di tutto, c’è la totale distruzione. La maggior parte delle abitazioni in questa zona sono state rase al suolo. Ogni giorno, anche dopo il cessate il fuoco, si sentono demolizioni, esplosioni... È chiaro che gli israeliani avevano intenzione di distruggere tutto, di radere al suolo tutto, affinché non rimanesse più nulla. L’esercito di occupazione è infatti ancora lì, con diverse basi militari in diverse zone: la zona nord, la zona est, in ogni città, così come la città di Rafah, che è completamente occupata.

Si è parlato di dividere Gaza in due, con il progetto americano-israeliano, tra quella che viene chiamata la Nuova Gaza e la Vecchia Gaza. La Nuova Gaza è proprio quella zona all’interno della «linea gialla», occupata dagli israeliani. La Vecchia Gaza è invece la zona in cui vivono tutti i palestinesi.

Gli israeliani e gli americani dicono di voler iniziare a costruire in questo 53% occupato, affinché tutti possano andarci a vivere con un “permesso di sicurezza”, perché bisogna essere clean dal punto di vista della sicurezza per poter vivere in questa zona dove non ci sono né Hamas, né Jihad islamico, né alcun affiliato a una struttura politica. Avremmo quindi diritto ad alloggi moderni per vivere in una sorta di colonia per i palestinesi.

La messa in scena di una rivalità da parte di Israele

Ci sono anche dei clan che vivono in questa zona. Ma quando dico “clan”, non mi riferisco a migliaia di persone, bensì a poche decine al massimo. Alcuni hanno portato forse con sé le loro famiglie. Convivono con la distruzione, sotto la protezione dell’esercito di occupazione che dà loro da mangiare e da bere, fornendo persino le tende, se non possono ripararsi nelle poche abitazioni rimaste.

I capi di questi clan si mettono in mostra sui social. Ognuno pubblica i propri video. Il famoso Yasser Abu Shabab, di cui ho già parlato, si è stabilito nella zona sud, quella di Rafah. Realizza continuamente dei video per mostrare che è ancora lì, circondato da decine di persone armate. Si fanno chiamare Al-qouwat al-chaabiya, le forze popolari. A nord di Rafah, verso Khan Younis, c’è Hossam al-Astal, che ha chiamato il suo gruppo Forze di lotta contro il terrorismo. Anche lui condivide i suoi post e i suoi video, in cui lo si vede con decine di uomini armati. Tutti dicono di essere contro Hamas. A est della città di Gaza c’è anche Rami Helless. A nord c’è Ashraf al-Mansi e il suo Esercito popolare, e ultimamente, a est di Khan Younis, ce n’è anche uno nuovo, che si chiama Shawqi Abu Nasira. Anche lui, nei suoi video, dice di essere contro Hamas. Quando si sentono i nomi di questi clan, si pensa che si tratti di centinaia o migliaia di persone, mentre ognuno di questi gruppi non supera le 50 persone.

Con queste poche decine di persone, gli israeliani cercano di inscenare una rivalità tra questi clan e Hamas. Vogliono far credere che questi clan possano assumere il ruolo di Hamas una volta che inizierà la costruzione in quella zona e che parteciperanno alla sicurezza nella nuova Gaza. Mentre sappiamo benissimo, ovviamente, che questi clan sono stati formati dagli stessi israeliani, soprattutto il clan di Abu Shabab che ha sottratto aiuti umanitari sotto gli occhi degli israeliani che ne hanno facilitato il compito sotto i loro droni.

Nessuno vuole andare a vivere con i collaborazionisti

Quando l’esercito israeliano ha occupato l’intera città di Rafah e c’è stato il primo cessate il fuoco (gennaio 2025), Abu Shabab si è trasferito a Rafah. Come tutti gli altri clan, anche lui si trova in zone dove non c’è alcuna presenza di Hamas. Nei loro post dicono alla gente: potete venire da noi, siete i benvenuti! Ma non ci va nessuno, perché questi clan sono considerati collaborazionisti e nessuno vuole andare a vivere con dei collaborazionisti o farne parte.

Inoltre, la gente andrebbe lì a vivere in tende, nelle stesse condizioni in cui vive ora. Forse avrebbero da mangiare e da bere ogni giorno, grazie agli israeliani, e molto più facilmente di quando vivevano qui. Ma nessuno vuole vivere con l’esercito di occupazione. Questo è il motivo per cui Israele fa tutta questa propaganda, parlando di rivalità con Hamas e di una popolazione che vuole rivoltarsi contro Hamas.

All’inizio, il ruolo dei capiclan era quello di fare un po’ il lavoro sporco a Gaza, invece di lasciarlo fare all’occupazione, ai tempi erano i rapimenti o gli interventi nella stessa città di Gaza. Diverse azioni sono state condotte dal clan Abu Shabab, come il rapimento di Tasnim Al-Hams due mesi fa, che è stata liberata oggi. L’idea è quella di fare in modo che non siano gli israeliani ad occuparsene, riducendo così il rischio che vengano feriti o uccisi. Preferiscono sacrificare un palestinese per fare il lavoro sporco.

In cambio, hanno promesso ai clan che avranno la possibilità di detenere il potere a Gaza. Ma è come nel caso del Sud del Libano e delle forze di Antoine Lahd all’epoca: la popolazione vivrà solo in una zona dove c’è solo l’esercito di occupazione.

Una nuova “Linea verde”

Gli israeliani vogliono che si dica che c’è una divisione, che esiste una rivalità, che Hamas e questi clan si uccideranno a vicenda. Ciò giustificherebbe la loro presenza in quella zona, proprio per evitare scontri. Questo dà loro un nuovo pretesto per restare, per dividere, per occupare, secondo la tipica mentalità coloniale nel mondo. Questi clan sono stati creati proprio a tale scopo.

Per quanto riguarda la divisione tra la Vecchia e la Nuova Gaza, gli israeliani vogliono mostrare al mondo intero che ci sono forze ancora presenti lì, che c’è molta gente che vuole vivere in questa Nuova Gaza e che bisogna iniziare a ricostruire in quella zona perché lì non c’è Hamas. È sempre questo lo spauracchio da sbandierare per non impegnarsi nella pace o nel cessate il fuoco.

Dal cessate il fuoco, sono oltre 300 le persone uccise dagli israeliani, adducendo il motivo che Hamas aveva sparato su di loro a Rafah. Un pretesto per riprendere la guerra. E lo stesso vale per chiunque si avvicini a quella zona o alla “linea gialla”: viene ucciso. Ieri hanno bombardato Beit Lahia. Eppure, non c’era nessuna linea gialla, ma questo gli ha permesso di uccidere diverse persone.

Oggi Gaza è occupata al 53%. Questa occupazione durerà a lungo e quella che viene chiamata “la linea gialla” rappresenterà un nuovo confine tra Gaza e Israele. La zona occupata sarà senza dubbio annessa, per ampliare la zona cuscinetto, per stabilire delle colonie, come avevano già previsto gli israeliani all’inizio della guerra.

Non credo che gli israeliani vogliano costruire una Nuova Gaza, né nuovi edifici. Soprattutto non vicino ai confini di Israele. Sarà una zona cuscinetto, stabilita come una divisione di fatto. Come durante la guerra del 1967, quando si parlava di quella che veniva chiamata “la linea verde”. Sarà un nuovo confine e ci saranno nuove risoluzioni ONU che richiederanno un ritiro israeliano dietro quella linea. Nel frattempo, gli israeliani continueranno a rendere più difficile la vita dei cittadini di Gaza, per portare avanti il progetto di deportazione, per continuare la non-vita a Gaza. Per far sì che la popolazione decida alla fine di andarsene.

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