Diario da Gaza 27

“A Rafah la guerra è ricominciata”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

7 maggio 2024. Una famiglia palestinese in fuga da Rafah, dopo i nuovi bombardamenti israeliani sulla città.
AFP

Martedì 7 maggio 2024.

Durante la giornata di lunedì, mentre la gente attendeva buone notizie dal Cairo1, si sono alternate di ora in ora sensazioni molto diverse. Da un’iniziale preoccupazione si è passati a momenti di euforia; infine, di paura e sconforto.

Al mattino, ci sono stati gli appelli e i volantini lanciati a Rafah dagli israeliani. Come noto, Gaza è stata divisa in 623 blocchi numerati. Così gli israeliani hanno ordinato agli sfollati di evacuare alcune aree di quei blocchi. La maggior parte della popolazione della città ha ricevuto dei messaggi vocali sui cellulari, anche chi non si trovava nelle zone interessate. In quel momento c’è stato davvero il caos: le persone non sapevano dove andare e se ci fosse davvero bisogno di spostarsi.

Aspettavamo questo momento dicendoci che non sarebbe mai arrivato. Ma gli sfollati che si trovano in queste zone, soprattutto quelli espulsi da Gaza City, hanno già vissuto questo genere di pericoli, vedendo l’entità dell’occupazione israeliana. Sanno cosa accade durante un raid israeliano. Così alcuni hanno cercare di noleggiare un camion per prendere quante più cose possibili.

Fare scorte se verrà chiuso il valico

Si è scatenato il panico tra la gente perché gli israeliani non hanno dato alcun ultimatum. Si doveva partire entro un’ora o subito? Circa due ore dopo, sono iniziati i bombardamenti e i raid aerei, e sono proseguiti nonostante ci fosse gente che cercava di fuggire. È la strategia degli israeliani per costringere la popolazione ad andarsene.

Nelle zone da evacuare, ci sono però tre luoghi importanti. Prima di tutto, il valico di Rafah, dove passano le merci e soprattutto gli aiuti umanitari; oltre ad essere l’unico varco per poter uscire, anche per chi è ferito o ha bisogno di essere curato in Egitto o altrove. Poi c’è l’ospedale principale di Rafah, considerato una grande struttura in rapporto alla città anche se è solo un distaccamento di quello che era il principale ospedale di tutta la Striscia di Gaza, Al-Shifa, che è stato completamente distrutto. Infine, c’è il valico di Kerem Shalom, chiuso da alcuni giorni. Continuando così, ci sarà una vera e propria crisi umanitaria anche nel sud. Già con i pochi camion che passano, la popolazione soffre di malnutrizione e fame, soprattutto nella zona nord della Striscia di Gaza, ma ora i prezzi sono saliti di nuovo alle stelle. In una mezza giornata, i prezzi sono aumentati anche di 20 volte. Un chilo di zucchero che costava 12 shekel – già caro rispetto al suo prezzo anteguerra di 4 shekel – è salito a 80 shekel. Un chilo di pomodori che prima costava 8 shekel ora ne costa 19. E la gente non può fare scorta, perché è tutto troppo caro.

E per di più mancano anche i contanti. Personalmente, avevo un po’ di soldi da parte per le necessità. Ma ora non ne ho più abbastanza da fare economie perché devo spenderli tutti. Faccio un esempio: un pacco di pannolini da 36 pezzi che costava 40 shekel, ora ne costa 200. Sono stato costretto a comprarne due pacchi per mio figlio perché so che, se il valico resterà chiuso, non se ne troveranno più. Sono andato anche in farmacia a fare scorta di medicinali. Finora, i miei amici in Francia o in altri paesi mi hanno spedito delle medicine, soprattutto per i bambini. Però, se il valico rimarrà chiuso a lungo, non potrò più ricevere pacchi. E siccome tutti abbiamo avuto la stessa idea di fare scorta, ora le farmacie sono vuote.

Ci sarà sempre una risposta

A Rafah ci sono 1,5 milioni di persone, e tutti vogliono fare scorta di farmaci. Negli ultimi tempi, ci trovavamo un po’ meglio, come ho già raccontato in questo diario, ed ecco che ricomincia la guerra. È di nuovo come la prima settimana di guerra, quando era tutto chiuso e non si trovava più nulla.

A fine giornata è arrivato l’annuncio: Hamas aveva accettato la proposta americana ed egiziana per il cessate il fuoco. Improvvisamente i volti sono cambiati, hanno perso il pallore e l’espressione angosciata, di paura per il futuro, lasciando il posto a un’esplosione di gioia. La gente è scesa in strada, cominciando a battere le mani, a fare festa, soprattutto nelle scuole dove c’erano gli sfollati. Per loro, la fine della guerra significava il ritorno a casa. Era chiaro che non era finita ma c’era gioia perché la gente voleva sentire una buona notizia dopo un intero giorno di ansia, paura e morti. Tutti sanno che Netanyahu non vuole un cessate il fuoco, ma Hamas, astutamente, ha lanciato la palla nel campo avversario, dicendo: ora non siamo noi a bloccare l’accordo.

Se vogliamo parlare di strategia, parliamo di quello che è successo il giorno prima, e del lancio di razzi di Hamas su Kerem Shalom2. Gli israeliani giustificano l’incursione di terra a Rafah per l’attacco di Hamas contro una base militare vicino al valico – non contro il valico stesso, come ripetono in molti. Ovviamente, gli israeliani aspettavano l’occasione per dire al mondo intero: guardate, Hamas non vuole un cessate il fuoco! Sono morti dei soldati, dobbiamo assolutamente entrare a Rafah per distruggere gli ultimi quattro o cinque battaglioni dell’ala militare di Hamas! Ma poche ore dopo, Hamas ha accettato l’accordo di negoziato.

Gli scontri a Kerem Shalom rientrano nella consueta politica di Hamas per dire a Netanyahu che deve sempre mettere in conto una possibile risposta, dal momento che bombarda Rafah ogni giorno, e, nell’ultimo mese, con crescente intensità. Inoltre, c’è stata l’uccisione di alcuni dirigenti: un capo militare del Jihad islamico, così come altri capi politici e le loro famiglie. Sono morti anche molti civili.

Hamas ha risposto agli attacchi. Era un messaggio rivolto agli israeliani: non è perché state bombardando Rafah che non possiamo fare nulla. Sul piano politico, quella di Hamas è stata un’ottima mossa.

Che la macchina da guerra si fermi

Credo che Netanyahu subirà molte pressioni, ma dimostrerà la propria astuzia quanto Hamas. Quello che sta accadendo oggi non è solo uno scontro militare, è anche una battaglia politica in cui tutti vogliono ottenere consensi. Netanyahu potrebbe cogliere l’occasione per dire all’opinione pubblica e ai suoi partner di governo dell’estrema destra che è Hamas ad aver ceduto dopo l’entrata dell’esercito a Rafah. D’altra parte, potrebbe far credere che non ha intenzione di occupare l’intera città di Rafah, ma di voler mettere solo un po’ di pressione. E così saranno tutti contenti.

È chiaro che non sto parlando della popolazione, perché non è affatto contenta di quello che sta accadendo. La gente ha accolto con favore un eventuale cessate il fuoco, ma ciò non significa che ci sia gioia, solo il desiderio di fermare la macchina da guerra. È così ci troviamo in un momento in cui entrambe le parti possono uscirne vincitrici, annunciando alla propria opinione pubblica di aver vinto e che si può fermare la guerra.

Ma torniamo alla giornata di lunedì 6 maggio. Alle 23, gli abitanti di Rafah hanno saputo che era cominciata l’offensiva di terra. E da lì tutto è cambiato. È tornata la paura, la gente ha ricominciato a farsi prendere dal panico. E questa mattina, quando mi sono svegliato, ho visto tanta gente che si preparava a partire, e non solo dalle “zone di evacuazione”.

Molti degli sfollati che si trovavano a ovest della città di Rafah si stanno dirigendo verso il centro della Striscia di Gaza. Molti dei miei amici sono partiti per Deir el-Balah o Zawaida, perché vogliono arrivare prima, non aspettando l’ultimo minuto. Tanto più che se quel milione e mezzo di persone si metterà in cammino, non si troverà più posto, nemmeno per strada.

Una carneficina per mettere in fuga la popolazione

La gente pensa che sia meglio partire ora per trovare un pezzo di terra dove piantare le tende. In parte hanno ragione, perché gli israeliani verosimilmente applicheranno il loro solito metodo: chiusura del valico di Rafah, chiusura di Kerem Shalom, e schieramento di carri armati lungo l’asse di Philadelphia, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, a sud. A ovest del valico di Rafah, c’è un gran numero di sfollati sistemati in campi di fortuna. Se gli israeliani dovessero arrivare fin lì, ci sarà una carneficina.

La tecnica israeliana è ben nota: all’inizio si commette una carneficina, in modo da spaventare tutti e metterli in fuga. Dopodiché, verrà sgomberato il terreno e gli israeliani potranno andare fino in fondo. E così potranno realizzare il loro obiettivo, circondando tutta la Striscia di Gaza.

Il nord e l’est della Striscia di Gaza sono stati ormai circondati; a ovest c’è il mare, e ora viene circondato il sud. In questo momento, gli israeliani controllano ogni porta d’ingresso e di uscita della Striscia di Gaza.

Già quando il valico tra Rafah e l’Egitto era aperto, nessuno poteva entrare o uscire senza il consenso degli israeliani. I camion di aiuti venivano ispezionati a Kerem Shalom prima di entrare a Rafah. Gli operatori umanitari dovevano avere l’autorizzazione degli israeliani, in particolare da quello che si chiama “COGAT”, il Coordinamento delle Attività di Governo nei Territori. Per trasferire pazienti o feriti, cittadini con doppia cittadinanza, ma anche chi aveva pagato 5.000 dollari a una società egiziana, bisognava avere il permesso degli israeliani. Gli egiziani non lasciavano uscire nessuno di quelli presenti nella “lista” di Israele. Gli israeliani non c’erano, ma controllavano tutto. Ma ora c’è la loro presenza fisica, i carri armati, e soprattutto ci sono le bandiere.

Non so se avete visto quelle immagini in cui gli israeliani mostrano di proposito, e ovunque, i simboli dell’esercito o di Israele, sia la stella di David che disegnano sulle case espugnate, o le grandi bandiere israeliane. Per gli abitanti di Gaza, per i giovani che non hanno mai lasciato Gaza a causa dell’assedio per quasi 20 anni, questo è uno shock. Lo è anche per le persone anziane, che rivivono nuovamente il passato. Attraverso queste azioni gli israeliani sembrano voler dire: abbiamo recuperato materialmente la Striscia di Gaza e ci resteremo per un bel po’.

Andatevene per sopravvivere

Ecco, quindi, la storia di una giornata che è stata un misto di paura e speranza, la flebile speranza che la guerra finisca. La notte dell’offensiva di terra, tra lunedì 6 e martedì 7 maggio, è stata terribile. Si può ben dire che a Rafah la guerra è ricominciata. Ci sono stati intensi bombardamenti, sia a est che a ovest della città. Anche il quartiere in cui mi trovo, Tal Al-Sultan, è stato bombardato. Ci sono state numerose vittime.

Quando sono uscito stamani, c’era tanta gente intorno a me. I miei vicini avevano dato accoglienza a persone fuggite dall’est di Rafah, parenti o amici. Quando ho chiesto se avessero intenzione di rimanere qui nel caso in cui gli israeliani avessero ordinato di evacuare la zona, tutti hanno dato la stessa risposta che avevo dato io quando vivevo a Gaza City: “No, resteremo”. Allora ho detto:

Spetta a voi la scelta, ma voglio raccontarvi la mia esperienza. Non restate con così poco preavviso. Avete visto in TV cosa stanno facendo gli israeliani contro l’intera popolazione di Gaza, tranne che a Rafah, almeno finora? Ma quelle immagini sono completamente diverse dall’esperienza vissuta. Noi ci siamo passati. Il mio consiglio è di andarvene, per le vostre famiglie, i vostri figli e per la vostra stessa sopravvivenza. Non avete idea delle atrocità di cui è capace quell’esercito. Sono capaci di uccidere donne, bambini, anche quando escono con le bandiere bianche.

Ho raccontato loro del giorno in cui abbiamo lasciato la nostra casa a Gaza. Il mio palazzo era stato bombardato e uno dei miei vicini dilaniato da una granata. Dopo mi è arrivata la telefonata di un israeliano. Si è presentato in arabo come “Abu Uday” (“il padre di Uday”), come fanno tutti, adottando quest’appellativo arabo. Ci ha detto: “Avete via libera, prendete le bandiere bianche e andate verso l’ospedale Al-Shifa”. Ciò nonostante, ci hanno sparato addosso. Due dei nostri vicini sono morti, il giovane Ahmed al-Atbash e la nostra cara vicina Sana el-Barbari.

Mia moglie Sabah era accanto a loro. Chiaramente, gli israeliani dicono che è Hamas ad uccidere i palestinesi, è sempre la nostra parola contro la loro. Hanno sempre la meglio perché siamo costretti a dimostrare che sono loro a bombardare. E in che modo? Solo Dio può farlo, perché hanno ogni tipo di mezzo tecnologico. Ormai gli basta un solo soldato, uno solo, che spari a persone in movimento nascosto dietro uno schermo, come se fosse un videogioco. Non c’è alcun rimorso o senso di colpa.

Così ho detto ai miei amici e ai miei nuovi vicini: “Non fate lo stesso errore, vi uccideranno”. Alcuni mi hanno risposto: “Faremo evacuare donne e bambini, e resteremo noi uomini”. Ho ripetuto ancora una volta di andare via nel caso di un ordine da parte degli israeliani, perché per Israele tutti gli uomini sono dei guerriglieri:

Avete sentito parlare delle esecuzioni sommarie a Gaza, nel distretto di Sheikh Radwan, della famiglia Khaldi, della famiglia Annan? Succederà la stessa cosa a voi. Inoltre, ci sono tante cose che ancora non conosciamo e che scopriremo solo alla fine della guerra.

Malgrado la mia insistenza, non li ho del tutto convinti. È vero che restare è una forma di resistenza, ma lo è anche sopravvivere. E come dico spesso, a volte bisogna scegliere tra saggezza e coraggio. Spero che i miei vicini alla fine mi ascoltino. Spero che il giorno in cui dovrò evacuare – se dovesse accadere – lo faranno anche loro. E soprattutto, spero che non ci siano più vittime in questa guerra, e che tutto questo finisca presto.

1Nella capitale egiziana sono in corso nuovi negoziati per un cessate il fuoco. [Ndr].

2L’attacco ha ucciso 3 soldati israeliani e ne ha feriti 12. [Ndr].