Gaza 2023—2024

“Telk Qadeya”, l’inno di rottura con il mondo occidentale

La canzone Telk Qadeya (“Questa causa”) del gruppo egiziano Cairokee ha conosciuto un enorme successo sin dalla sua uscita alla fine di novembre 2023. Contestando l’indignazione selettiva di un Occidente che si dichiara in prima linea nelle lotte progressiste, ma si mostra insensibile al genocidio in corso a Gaza, il brano esprime un risentimento che trova un ampio consenso nel mondo arabo.

Immagine del singolo «Telk Qadeya»

È la storia di un brano musicale in ¾ che sta diventando l’inno della gioventù araba. Telk Qadeya (“Questa causa”) è l’ultimo singolo dei Cairokee, una rock band egiziana “un po’ strana” (“with a twist”), come amano definirsi. La canzone è stata pubblicata il 30 novembre 2023, quasi due mesi dopo l’inizio della guerra genocida contro Gaza. L’uscita è stata annunciata sui canali ufficiali del gruppo senza fronzoli, né tante parole. Da allora, ha ricevuto più di un milione di visualizzazioni solo sul canale YouTube del gruppo; è stata poi ripresa, alla fine di dicembre, dal canale libanese Al-Mayadeen, con un video dei bombardamenti a Gaza. Anche se nel testo non compaiono le parole “Gaza” o “Palestina”, è chiaro il tema della canzone e contro quale ordine mondiale – ormai evidente, vista la situazione nei Territori occupati – punta il dito.

Cairokee - Telk Qadeya كايروكي - تلك قضية - YouTube

Riscontrando un ampio consenso fin dalla sua uscita, il pezzo è apparso sui canali social dei palestinesi di Gaza – finendo per essere adottato proprio dalle persone di cui la canzone voleva far sentire la voce. Il gruppo è stato anche invitato a eseguirlo dal vivo nel corso della cerimonia di chiusura dell’El Gouna Film Festival, il 21 dicembre 2023, dove, a differenza del Red Sea Film Festival di Jeddah in programma pochi giorni prima, è stata molto presente la cronaca palestinese.

Dalla rivoluzione egiziana alla Palestina

Con il nuovo singolo Telk Qadeya, i Cairokee ritornano alla tradizione della canzone politica. Formatosi nel 2003 al Cairo, il gruppo ha iniziato a riscuotere un grande successo nel 2011, firmando la canzone che è diventata la colonna sonora della rivoluzione del 25 gennaio 2011 Sout Al Horeya (“La voce della libertà”), in collaborazione con l’attore e il cantante Hany Adel, all’epoca membro del gruppo Wust El Balad. Il videoclip del brano è stato girato in piazza Tahrir il giorno dopo la cacciata dell’ex presidente Hosni Mubarak.

Sout Al Horeya صوت الحريه Amir Eid - Hany Adel - Hawary On Guitar & Sherif On Keyboards - YouTube

Da allora, i Cairokee hanno ottenuto numerosi successi senza però sfuggire alla censura, in particolare con l’album Noaata Beida (“Punto bianco”), uscito nel 2017, ma mai distribuito in Egitto. Perché a differenza di altri, il gruppo ha sempre rifiutato di scendere a qualsiasi compromesso con il regime dell’attuale presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Restando fedele agli ideali degli esordi, il gruppo pubblica ora il brano Telk Qadeya, con un testo firmato da Mustafa Ibrahim, il “poeta malinconico della rivoluzione egiziana”.

Esclusi dal genere umano

La canzone descrive in maniera cruda l’attuale situazione politica per sottolineare la profonda frattura che si è venuta a creare dopo il 7 ottobre:


Somigliate a sepolcri imbiancati
Avete la coscienza sporca
Sempre attenti a scendere in piazza per la libertà
Ma poi ignorate i movimenti di liberazione
Dimostrate il vostro affetto alle vittime
In base alla loro nazionalità
Ma questa è una cosa
E quella è un’altra

I testi non si limitano a evidenziare l’indignazione selettiva e la doppia morale di un Occidente che non include i palestinesi nel genere umano, “è come se la terra sotto cui sono sepolti / non facesse parte di questo pianeta”. I Cairokee sottolineano anche la logica insita in questa parte di mondo che si riempie la bocca di battaglie sociali, diventate simboli di una superiorità morale di cui l’Occidente ha l’esclusiva, pur rimanendo insensibile al destino degli esseri umani al di fuori della sua sfera culturale. “Questa è una causa/ quella è un’altra”, insiste la canzone davanti a chi “salva le tartarughe marine / ma uccide gli animali umani”1, o a chi “cerca di edulcorare le parole/ mentre un esercito demolisce una scuola lì vicino”.

Una rottura avvenuta

La colonna sonora è affidata alla voce profonda e suadente del leader del gruppo Amir Eid che, durante la prima parte del brano, invoca l’Altro. Ma man mano che la musica va in crescendo, un ritmo orientale si mescola a quello a ¾ del valzer, e quando i violini entrano in scena, la voce del cantante arriva alla massima estensione. Il brano qui non si rivolge più a chi “mette sullo stesso piano carnefice e vittima / con onore, integrità e neutralità” – un riferimento sarcastico alla narrazione mediatica che si ammanta di obiettività per giustificare il fatto di non vedere i massacri in corso –, ma parla a chi “rinasce dalle proprie ceneri”:


Raccogli tutto ciò che hai e lotta
Mostra a questo mondo ipocrita
Come funziona dove vige la legge del più forte
Dove passa la strada verso la libertà
O dove si attacca un carro armato a mani nude

Con un esplicito riferimento alla lotta armata, la canzone mette in discussione le norme giuridiche che lo stesso Occidente ha messo in atto, ma che è il primo a mettere in discussione. Il brano esprime il netto rifiuto di affidarsi a chi fa della vuota retorica, proponendo solo misere condanne “di fronte a ciò che accade nel mattatoio”.

Non si tratta di una rinuncia, ma solo di non aspettarsi più nulla dall’altra parte della barricata: “Che importa se il mondo parla/ muori libero e non vivere da sottomesso”. Due paradigmi opposti, “quella è una questione, ma questa è una lotta”, dice alla fine la voce del cantante, prima che il brano sfumi in un assolo di chitarra elettrica dalle note blues.

Dopo l’uscita di Telk Qadeya, i Cairokee hanno pubblicato, insieme al brano, anche la traduzione inglese del testo. L’immagine scelta per il singolo mostra un busto della Statua della Libertà a due teste – simbolo dei due pesi e due misure – in mezzo a uno sfondo rosso sangue. Un messaggio che non potrebbe essere più chiaro per chi è disposto ad ascoltarlo.

1La frase è un chiaro riferimento alla dichiarazione del ministro della Difesa israeliano Yoav Galant in cui definiva i palestinesi “animali umani”