Mahdi Amel: il Gramsci Arabo

A quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, Hassan Abdallah Hamdan (1936-1987), meglio conosciuto con il nome di battaglia di Mahdi Amel, continua ad essere un punto di riferimento politico ed intellettuale per la sinistra libanese e araba.

“Leggete Mahdi Amel”, Beirut 2019.
© Luce Lacquaniti

Hassan Abdallah Hamdan (1936-1987), meglio conosciuto con il nome di battaglia di Mahdi Amel, è stato un comunista libanese originale, che si è meritato l’appellativo di ‘Gramsci Arabo’1. Come il marxista italiano, Amel tentò di ‘nazionalizzare’ il comunismo applicando le categorie critiche del marxismo al contesto nazionale2 e formando su queste basi un progetto politico e culturale di emancipazione delle masse. Morì assassinato da milizie islamiste sciite nel 1987. Se il suo progetto politico fu in parte superato dagli accordi di Taif del 1989 (che misero fine alla guerra civile libanese), resta la testimonianza di un intellettuale militante e critico che dedicò la sua vita a combattere il sistema confessionale libanese e a perseguire un vero progetto di liberazione nazionale. Anche per questo, recentemente, è diventato uno dei simboli delle giovani generazioni di libanesi scesi in piazza nel 2017 e nel 2019 per abbattere lo ‘stato confessionale’, nonché di tutti gli arabi che hanno cercato una via originale al comunismo.

Il contesto storico e l’esperienza di vita di un intellettuale militante

Il progetto culturale e politico di Mahdi Amel si può inserire nel contesto più generale di emancipazione nazionale di intellettuali e forze politico-culturali del Sud del mondo, che si impegnarono nella costruzione di nuove società post-coloniali libere dalla dipendenza dal centro capitalista e dall’egemonia culturale occidentale. Si può collegare Amel al pensiero e al percorso politico di Frantz Fanon, che conobbe in Algeria e di cui fu ammiratore; all’intellettuale indiano Ranajit Guha, che dall’India portò Antonio Gramsci negli studi post-coloniali attraverso i cosiddetti “subaltern studies”; o, infine, ad Ali Shariati, l’intellettuale iraniano che tentò di fondere il marxismo con la teologia di liberazione sciita.

La caratteristica comune di questi autori e del loro progetto è stata quella di voler portare la collettività nazionale neo-indipendente a un livello più alto di coscienza di sè, per raggiungere una vera emancipazione culturale, politica ed economica. In termini più propriamente marxisti, Amel era intellettualmente figlio della cosiddetta ‘teoria della dipendenza’, il costrutto teorico fondamentale su cui ragionavano i marxisti arabi e del Sud del mondo. Secondo tale teoria, il colonialismo aveva unificato il mondo in rapporti di interdipendenza, sulla base dei quali il centro capitalista dominava e soggiogava la periferia. Il sistema economico delle colonie era stato costruito in maniera tale che questi paesi, una volta inseriti nel commercio internazionale, dipendessero dai centri finanziari ed economici occidentali, di cui le borghesie locali erano dei sottoprodotti. Queste ultime in particolare erano ‘cosmopolite’ (nel senso di gramsciano di ‘non nazionali’), economicamente dipendenti e culturalmente subalterne.

Da questo punto di vista, sia Fanon che Guha che Shariati avevano fatto appello ad una costruzione nazionale basata su una rivoluzione culturale che rivendicasse la soggettività nazionale contro l’ideologia coloniale. Amel apparteneva a questo tipo di corrente politico-culturale, ma seppe anche distinguersi. Egli fu un militante comunista fin dagli anni di università a Lione, dove si avvantaggiò del fervente clima culturale degli anni ‘50 e ‘60. Si appassionò allo storicismo gramsciano3, e utilizzò successivamente concetti come ‘blocco storico’, ‘ideologia’ ed ‘egemonia’4. Fu inoltre influenzato dal dibattito che scaturì in Francia e nel mondo comunista in conseguenza delle rivelazioni di Krushev al XX congresso del PCUS (1956), che diedero vita ad una accesa polemica tra coloro che volevano riformare il marxismo in chiave umanista (il cosiddetto marxismo occidentale) e coloro che volevano riabilitarlo in chiave rivoluzionaria.

Amel visse dunque in un clima culturale influenzato da Gramsci, Poulantzas e Althusser, in cui il “Sud” fu messo all’attenzione dei movimenti di sinistra terzomondisti. In chiave teorico-marxista, ciò si tradusse nel tentativo di riconcettualizzare la categoria di ‘modo di produzione’, adattandola ai contesti coloniali e post-coloniali, un concetto su cui Amel lavorò soprattutto negli anni ‘705.

Dopo aver trascorso un importante periodo di formazione in Algeria (1963-68)6, Amel si immerse nella realtà libanese. Tornato nel paese natale, si iscrisse al Partito comunista libanese (PCL) e ne divenne un importante dirigente e ideologo. Soprattutto cominciò a elaborare un suo pensiero originale, conciliando l’attività teorica con la militanza pratica. La moglie Evelyne Brun racconta come egli fu in questo periodo particolarmente impegnato nel dialogo con i coltivatori di tabacco della regione del Monte Libano (dove negli anni ‘70 era in corso un movimento di protesta) e di come egli testimoniasse che “essere marxista è essere una persona che può fornire risposte ai problemi della vita quotidiana”7. In particolare, fu un attivo artefice della costruzione di cellule sindacali e popolari nel sud del Libano, dove ancora oggi vive la parte più marginale della popolazione libanese. È in quel periodo che iniziò a farsi conoscere come Mahdi Amel, un nome che scelse come pseudonimo per gli articoli che scriveva sull’organo del partito al-Tarīq (la strada/il percorso).

È importante capire questo periodo di militanza suo e del Partito comunista libanese, che si percepiva come partito di avanguardia rivoluzionaria delle masse dei lavoratori e dei subalterni. Questi, infatti, tentarono di realizzare la battaglia politica di emancipazione nazionale attraverso un miltiantismo tra il popolo. I comunisti si identificarono anche con la questione palestinese, e si proposero come avanguardia della resistenza armata contro l’occupazione militare israeliana nel sud del paese (1978-82), e punto di congiunzione del fronte politico delle forze di sinistra e democratiche contro le destre confessionali e fascisteggianti sostenute dai paesi occidentali e alleate di Israele.

È ovvio che il percorso intellettuale di Amel e la sua vita politica fossero segnati dalla guerra civile libanese (1975-1990), che egli vide come un’occasione per realizzare il suo progetto nazionale di liberazione del paese dal sistema confessionale. Questo periodo fu segnato però anche dall’emergere dell’islamismo sciita (Amal e Hizbullah) che estromise i comunisti dal Libano meridionale, prendendone il posto come forza di resistenza. Mahdi Amel aveva riconosciuto un potenziale rivoluzionario nella comunità sciita libanese, ma non seppe prevedere l’insorgere dell’islamismo come forza rivoluzionaria alternativa, probabilmente più adatta dei comunisti a giocare questo ruolo. Fu assassinato proprio da miliziani sciiti, che posero fine alla vita di un appassionato intellettuale militante e all’esperienza del Partito comunista libanese come forza politica di una certa influenza.

Lo stato confessionale e l’ideologia della borghesia libanese

Il pensiero di Mahdi Amel è caratterizzato da una riflessione sulla realtà politica del Libano e del mondo arabo. In particolare sullo Stato, il suo apparato ideologico-egemonico e il modo di produzione economico-sociale. Mahdi Amel è famoso in effetti per le due categorie analitiche principali di “modo di produzione coloniale” e “Stato confessionale”.

Egli annunciò il suo progetto già nei primi anni libanesi, nel saggio “Colonialismo e arretratezza” (1968). “Se vogliamo un pensiero marxista adatto alla nostra realtà e che sia in grado di avere una prospettiva scientifica, non dovremmo applicare questo pensiero astrattamente, quanto piuttosto avere come punto di partenza la specificità stessa della nostra realtà”8. Poi analizzò il processo storico di formazione della borghesia coloniale nel suo libro Prolegomeni, in cui pose le fondamenta del suo pensiero teorico9.

Amel mise a confronto in particolare gli esempi storici di Egitto e Libano, mettendo in evidenza come la penetrazione coloniale avesse impedito lo sviluppo di una borghesia nazionale, mentre una classe di proprietari terrieri protocapitalista si era formata durante il tardo periodo ottomano. In Libano, l’entrata in scena del modo di produzione capitalista determinò lo sviluppo della monocoltura della seta e l’orientamento dell’economia verso il mercato internazionale. Ciò impedì la formazione di una borghesia basata sull’artigianato locale e determinò invece lo sviluppo di una classe borghese coloniale. A differenza della borghesia europea, che si era formata inizialmente come classe rivoluzionaria (contro l’aristocrazia terriera), la borghesia libanese fu il risultato di un rapporto di subordinazione, economico e politico.

L’analisi di Amel si poneva nel mezzo di quel dibattito che divise all’epoca i comunisti arabi tra coloro che vedevano nella borghesia nazionale una possibile forza progressista con cui allearsi, e coloro che non ne vedevano altro che un nemico di classe da abbattere, perché ineluttabilmente alleato al capitale internazionale. L’analisi di Amel voleva essere più complessa: cogliendo entrambi gli aspetti della borghesia – nazionali e cosmopoliti – voleva smascherarne l’apparato ideologico. Da qui la necessità, nella sua costruzione teorica, di una teoria dello Stato, che elaborò nell’opera Fī al-dawla al-ṭaifiyya (“Sullo Stato confessionale”), pubblicata nel 1986, un anno prima della sua morte.

La questione della borghesia nazionale - la sua derivazione confessionale e l’apparato ideologico che ne giustificava il dominio - fu dunque il passaggio decisivo del suo sviluppo teorico. Egli scrisse: “È un errore dire che l’ideologia confessionale è l’ideologia della classe dominante precedente ai rapporti di produzione capitalista; e cioè che è una ideologia religiosa o una forma di essa (...). È un errore in cui si trovano anche alcuni marxisti”10. Amel vide in effetti nel sistema confessionale costituzionale libanese uno strumento ideologico moderno a servizio del dominio della classe borghese e capitalista, che si legittimava attraverso di esso. Questo sistema era stato non per niente difeso e propagandato dall’intellettuale maronita Michel Chiha, che Amal considerò l’ideologo della borghesia dominante e contro cui scagliò i suoi strali polemici, alla maniera di Antonio Gramsci contro Benedetto Croce. Chiha aveva visto nel sistema confessionale libanese la garanzia del modello liberale e democratico, in cui la cittadinanza si realizzava nell’appartenenza comunitaria.

Per Amel, invece, si trattava di un ‘patto confessionale’ tra le élite delle varie comunità che si coalizzavano a danno della classe lavoratrice di ognuna di esse. Il confessionalismo era anche lo strumento di dominio di una particolare comunità su tutte le altre: la comunità maronita, minoritaria e dominante, contro le comunità musulmane subalterne (quella sciita soprattutto). Lo ‘Stato confessionale’ era quindi, agli occhi di Amel, un progetto ideologico funzionale agli interessi politici ed economici della classe dominante maronita e delle élite interconfessionali. Questo sistema si reggeva (e si regge ancora) sulla suddivisione del potere all’interno dello Stato tra le varie confessioni e sul controllo politico ed economico delle varie élite all’interno di ognuna di esse.

Per Amel, perciò, il vero progetto di emancipazione nazionale non poteva che passare attraverso la dissoluzione di questo sistema e il superamento del dominio del capitale internazionale. Amel propose inoltre una piattaforma politica (condivisa dal PCL) che legava in maniera indissolubile la battaglia politica nazionale alla causa palestinese. Durante la guerra civile libanese, in effetti, le fazioni politiche maronite si erano alleate con Israele e con le potenze occidentali, contro il fronte progressista e i palestinesi dei campi rifugiati. Mahdi Amel mise in evidenza, infine, il fenomeno dello squadrismo falangista, mettendolo a confronto con l’analisi di Gramsci. Quest’ultimo aveva visto nello squadrismo fascista un prodotto della borghesia capitalista in crisi di egemonia. Come all’epoca del fascismo italiano, l’egemonia del potere borghese confessionale maronita, che si era basato sul confessionalismo ideologico, apparve ad Amel in crisi di legittimità. Il Partito comunista e le forze progressiste del paese, unite in un ‘blocco storico’, avrebbero perciò dovuto abbattere il potere della borghesia e il sistema confessionale su cui si basava.

La vittoria degli islamisti e la ‘rivincita’ di Mahdi Amel

Il Partito comunista libanese e Mahdi Amel finirono vittime della guerra civile, le cui contraddizioni pensavano di poter sfruttare a loro vantaggio. Il PCL aveva in effetti costituito un fronte di resistenza contro l’occupazione israeliana nel sud del Libano con un certo successo; ma fu successivamente sconfitto dalle forze islamiste sciite emergenti. Amel ed altri dirigenti comunisti (compreso l’intellettuale Hassan Muruwwa) caddero vittime di una campagna di eliminazione di leader comunisti messa in atto da ‘forze oscure’ islamiste, probabilmente spalleggiate dalla Siria. Lo sciismo politico si impose poi come forza popolare e diede uno smacco definitivo al movimento comunista libanese.

Gli accordi di Taif del 1989 determinarono infine un esito diverso da quello propugnato dai rivoluzionari comunisti: il sistema confessionale, anzichè scomparire, fu riconfermato e rafforzato. Hizbullah è diventato forza di governo, e lo sciismo politico ha ottenuto l’integrazione della comunità sciita nel sistema politico confessionale. Se questa soluzione ha permesso una via di uscita al conflitto, il continuo stato di crisi del paese sembra tuttavia aver confermato la tesi fondamentale di Mahdi Amel, quella cioè di un sistema confessionale in crisi di egemonia permanente.

Le proteste sociali e giovanili che sono esplose nel paese nel 2017 e nel 2019 hanno per questo rivalutato le teorie di Amel, che ha così avuto la sua ‘rivincita’ politica post-mortem. Non solo le nuove generazioni rivoluzionarie libanesi hanno infatti rimesso al centro della propria piattaforma politica la questione del superamento del sistema confessionale; ma hanno anche e soprattutto issato la figura dell’intellettuale marxista a simbolo delle loro speranze.

1Prashad, Vijay . ”The Arab Gramsci” . Pubblicato il 5 Marzo 2014. https://frontline.thehindu.com/world-affairs/the-arab-gramsci/article23581931.ece

2Labib, Tahar (2017). “Gramsci nel pensiero Arabo”. In : Manduchi Patrizia, Marchi Alessandra e Vacca Giuseppe (a cura di). Gramsci nel mondo arabo. Il Mulino. Bologna

3La sua tesi di dottorato fu intitolata: Sujet et praxis. Essaye sur la constitution de l’histoire.

4Safieddine, H. (2021). Mahdi Amel: On Colonialism, Sectarianism and Hegemony. Middle East Critique, 30(1), 41-56.

5Giova ricordare in siffatto dibattito l’importante contributo del marxista franco-egiziano Samir Amin che, sulla scia del maoismo imperante, rivalutava la periferia come luogo della rivoluzione mondiale.

6Pubblicò in questo periodo un primo articolo per la rivista “Rivoluzione africana”, dal titolo Il pensiero rivoluzionario di Franz Fanon.

7Mahdi Amel, “Al-Thaqafa wa al-thawra” (Parte 1). Accessibile su youtube a : https://www.youtube.com/watch?v=3euM6XRfmZQ&t=1311s

8Citato in “Dawn: Marxism and National Liberation” (p.20). Dossier no 37 | Tricontinental: Institute for Social Research February 2021. La traduzione in italiano è dell’autore dell’articolo. Disponibile al link: https://thetricontinental.org/wp-content/uploads/2021/02/20210206_Dossier-37_EN_Web.pdf

9Amel, M. (2013) Muqaddimat Nazriyya Li-Dirasat Athar l-Fikr al-Ishtiraki Fi Harakat al-Taharrur al-Watani [Prolegomena teorico sullo studio dell’impatto del pensiero socialista sul movimento di liberazione nazionale] (Beirut: Dar al-Farabi).

10Amel, M. (1986) Fi Al-Dawla al-Ta’ifiyya [Sullo Stato Confessionale] (Beirut: Dar al-Farabi). Pag.24.