Diritto internazionale

Corte dell’Aia o Corte penale internazionale. Chi può aiutare il popolo palestinese?

Sulla Palestina, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha acquisito una grande visibilità, che rischia di mettere in ombra la Corte Penale Internazionale (CPI). Entrambe coinvolte nella questione, le due istituzioni vanno distinte perché non hanno la stessa legittimità, né lo stesso mandato. Pronunciandosi sulla base del diritto internazionale, la Corte dell’Aia può gettare uno sguardo critico sull’intera questione, cosa decisamente che manca nella giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Il logo della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) accanto al Ministro degli Esteri dell’Autorità Palestinese Riyad Al-Maliki (a destra) e ai membri della sua delegazione mentre ascoltano all’inizio di un’udienza presso la CIG sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana nei territori occupati palestinesi, all’Aia il 19 febbraio 2024.
Robin van Lonkhuijsen/ANP/AFP

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) si è recentemente pronunciata sulla causa intentata dal Sudafrica contro Israele con un’ordinanza destinata a cambiare la valutazione del conflitto a Gaza, riconoscendo il rischio di genocidio nei confronti del popolo palestinese. A fine febbraio, la Corte dell’Aia si è nuovamente riunita per ascoltare le audizioni dei delegati di 52 Stati e 3 organizzazioni internazionali sulla questione posta, nel dicembre 2022, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in merito alla legittimità dell’occupazione del territorio palestinese dopo il 19671. Una questione fondamentale che evoca il diritto dei popoli all’autodeterminazione e il tema del governo rispetto alla segregazione razziale (apartheid). La sentenza che verrà emessa, probabilmente nella prossima estate, farà parte della giurisprudenza relativa alla Palestina visto che, nel 2004, c’era già stato un altro parere consultivo sulla costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati relativo all’ambito giuridico necessario per inquadrare la questione palestinese. Allo stesso tempo, il procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) ha dichiarato di voler portare avanti un’indagine indipendente sui crimini commessi nei territori palestinesi occupati. Ma al di là dell’indagine, la Corte appare oggi come un’istituzione tristemente obsoleta, sia per il ritardo accumulato sulla questione palestinese che sul modo di avviare le indagini su Gaza.

Il ruolo degli Stati nelle controversie internazionali

Principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, la Corte dell’Aia (CIG) ha il compito di dirimere le controversie tra Stati. È in questa funzione giurisdizionale che la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla causa intentata dal Sudafrica contro Israele. A garanzia di imparzialità, la Corte è composta da giudici di quasi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, e può contare su una giurisprudenza consolidata e rispettata, precedente a quella della Corte permanente di giustizia internazionale istituita nell’ambito della Società delle Nazioni (SDN). La Corte si esprime con grande prudenza visto che il ricorso in giudizio, nel diritto internazionale pubblico, è fondato sull’accettazione da parte degli Stati. Pertanto, la CIG può dirimere una controversia tra Stati solo se questi ne accettano la giurisdizione.

Ci sono varie dichiarazioni con cui gli Stati possono esprimere tale consenso. Gli Stati possono accettare la giurisdizione della CIG in linea generale e a priori, depositando una dichiarazione dettagliata ai sensi dell’articolo 36 § 2 del suo Statuto. Si può manifestare l’accordo anche in modo più limitato, attraverso una clausola che stabilisca la competenza della Corte. In ultimo, gli Stati possono accettarla ad hoc in modo che la Corte possa pronunciarsi su una controversia specifica tra Stati. La necessità di accettarne la giurisdizione spiega la posizione improntata alla massima cautela adottata dalla Corte nei confronti di soggetti del diritto internazionale come gli Stati che godono di una condizione che, nel diritto internazionale, è caratterizzata dall’uguaglianza e dal rispetto dovuti alla loro organizzazione interna.

Al contrario, la Corte Penale Internazionale (CPI) è un’istituzione più recente, distinta dal sistema delle Nazioni Unite. Lo Statuto di Roma2, che l’ha istituita nel 1998, ha creato una nuova organizzazione internazionale, autonoma rispetto a quella delle Nazioni Unite. Al di là delle pretese di universalità, non tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno dato la loro adesione. Del resto, è ben noto che superpotenze come Stati Uniti, Russia, Cina, India, Iran e Israele non hanno ratificato lo Statuto di Roma. Se gli Stati africani lo hanno ratificato a larga maggioranza, sono pochi gli Stati arabi o asiatici che si sono assunti l’impegno di farlo. Le mancate ratifiche hanno comportato numerose conseguenze per la legittimità internazionale, per la nomina dei responsabili dell’istituzione e per la possibilità di svolgere indagini.

Tuttavia, per quanto concerne le indagini, lo Statuto di Roma prevede, nell’articolo 12, l’ipotesi che la Corte possa esercitare il proprio potere giurisdizionale su uno Stato non parte, se risulta soggetto a reati commessi sul territorio di uno Stato parte o di uno Stato che ha accettato con dichiarazioni ad hoc la competenza della Corte. Ed è ciò che sta accadendo oggi in Israele e in Russia, con l’indagine che ha portato a emettere un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin. Inoltre, com’è evidente in questo caso, l’attività della Corte Penale Internazionale può colpire direttamente uno Stato non parte, incriminando i suoi principali uomini politici. Se questo sistema è esplicitamente giustificato dalla gravità dei crimini internazionali, siamo ancora molto lontani dai principi classici della giustizia internazionale e dal rispetto dovuto a tutti gli Stati nell’ambito delle Nazioni Unite. È per questo che l’attività della Corte dev’essere utilizzata con grande discrezione.

Pareri consultivi della Corte dell’Aia

Nel quadro della sua funzione consultiva, la CIG non è subordinata al consenso dello Stato quando la questione giuridica di cui è investita riguarda la condotta di uno Stato. È il caso di molti pareri spesso citati durante le audizioni: parere sulla Namibia (1971), parere sul muro costruito nei territori palestinesi occupati (2004), parere sull’arcipelago delle isole Chagos (2019)3. Nell’attuale procedura consultiva, la Corte è chiamata ad esprimere un parere su una situazione che va avanti da tempo: la questione posta dall’Assemblea Generale in merito alla legittimità dell’occupazione israeliana dopo il 1967. Le audizioni presentate dagli Stati si riferiscono a periodi ancora precedenti: il Mandato britannico sulla Palestina, il piano di partizione della Palestina mandataria adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947, la Nakba. La Corte è quindi chiamata a pronunciarsi su un’occupazione prolungata, che è l’unico modo per poter valutare in maniera giuridicamente coerente la situazione attuale. Inoltre, la legge applicabile è il diritto internazionale pubblico, che include aspetti penali, che vanno ben al di là. Solo la Corte dell’Aia può realmente pronunciarsi sul nodo centrale della questione palestinese: il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Un diritto che ha conseguenze militari (resistenza, divieto di repressione), politiche (il raggiungimento dell’indipendenza), economiche (sovranità sulle risorse naturali), demografiche (diritto al ritorno dei rifugiati, divieto della colonizzazione), che vanno oltre il diritto penale internazionale.

Le recenti dichiarazioni del procuratore della Corte Penale Internazionale

La Corte Penale Internazionale ha una visione della situazione in Palestina estremamente limitata. Dal punto di vista temporale, è limitata a causa della data di adesione della Palestina al sistema della Corte stessa (2014-2015). A causa di questa giurisdizione temporale, della specificità del diritto da applicare, ma anche per la sua politica dei procedimenti penali, la CPI può cogliere la realtà solo in modo decontestualizzato. Come dimostrano le recenti dichiarazioni del suo procuratore sulla situazione in Palestina.

In una dichiarazione rilasciata il 29 ottobre 2023 dal Cairo, il procuratore Karim Khan, parlando dei fatti d’attualità, ha condannato i crimini commessi nell’attentato del 7 ottobre e “l’odio e la crudeltà” che li hanno “motivati”. In seconda battuta, parlando dell’offensiva su Gaza, il procuratore ha dichiarato che Israele

dispone di un esercito professionale ben addestrato (...) e di un sistema volto a garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario (...) e dovrà dimostrare la corretta applicazione dei principi di distinzione, precauzione e proporzionalità

Nella dichiarazione, non c’è alcun riferimento all’embargo prolungato e all’assedio di Gaza, fatta eccezione per gli attuali ostacoli nella consegna di aiuti umanitari e rifornimenti.

Anche il 3 dicembre 2023, dopo una visita alle vittime in Israele, e poi a Ramallah, la situazione presentata dal procuratore della CPI non è sembrata molto diversa. Così, in merito all’attentato del 7 ottobre, il procuratore ha dichiarato che:

gli attacchi contro civili israeliani innocenti del 7 ottobre rappresentano alcuni dei più gravi crimini internazionali che sconvolgono la coscienza dell’umanità.

Per quanto riguarda l’offensiva a Gaza, il procuratore ha insistito invece sulla difficoltà del conflitto per Israele:

Gli scontri in aree densamente popolate, che consentono ai miliziani armati di nascondersi tra la popolazione civile, sono chiaramente molto complessi, ma sono comunque disciplinati dal diritto internazionale umanitario, che ha regole ben note all’esercito israeliano.

Ci troviamo quindi di fronte a un atteggiamento molto orientato, dove gli attacchi di Hamas sono già stigmatizzati, e l’indagine sembra innanzitutto a favore delle vittime israeliane e a sostegno di uno Stato che non ha, come gli Stati Uniti o l’Ucraina, ratificato lo Statuto di Roma. E questo, nonostante il fatto che lo Stato di Israele disponga di un apparato repressivo, a cui fa ampiamente ricorso.

D’altra parte, nel discorso del procuratore, l’offensiva a Gaza è “complicata” per le azioni di combattenti che disturbano le operazioni di un esercito professionale che conosce bene il diritto internazionale umanitario. Un triste pregiudizio, ancora più evidente e grottesco data la recente ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia, che non ha avuto esitazioni a citare le dichiarazioni genocide dei responsabili israeliani dell’offensiva su Gaza, dichiarazioni già note quando il procuratore della Corte Penale Internazionale ha parlato nella regione.

Il continuo no alle indagini

Le posizioni del procuratore sono la dimostrazione delle varie influenze che vengono esercitate all’interno dell’organizzazione. Nel 2021, il politico britannico Karim Khan si è distinto per aver detto di no alle indagini sulle attività degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei in Afghanistan4. Di recente, gli Stati Uniti, che non hanno aderito allo Statuto di Roma, hanno offerto la loro assistenza nell’indagine sulla Russia, contribuendo con un fondo speciale alla Corte5. Uno Stato non parte ormai presente, grazie a una generosa accoglienza, nel sistema dello Statuto di Roma, cosa che solleva molte questioni politiche e giuridiche. Una partecipazione de facto, quella degli Stati Uniti, che segue in maniera tempestiva la loro opposizione alla CPI, arrivando al punto di sanzionare nel 2020 alcuni importanti membri dell’organizzazione.

Ma al di là dello scenario attuale, è ben noto che i vari procuratori della CPI non siano mai stati alquanto propensi ad avviare indagini sui crimini commessi in Palestina6. Nel 2009, durante l’operazione “Piombo fuso” su Gaza, la Palestina aveva chiamato in causa il procuratore della CPI che però si era rifiutato di intraprendere alcuna azione, per l’incerto status della Palestina a livello internazionale. Nel 2013, è stato lo Stato delle Comore, dopo l’attacco della marina israeliana alla nave Mavi Marmara, parte della Freedom Flotilla per Gaza, a chiedere alla Corte di esprimersi, ma il procuratore si era di nuovo rifiutato di aprire indagini, sostenendo che i reati commessi non fossero gravi a sufficienza per ricorrere alla giurisdizione della Corte. Una posizione contestata dalle Comore, e criticata aspramente anche dai giudici della Corte in una sorta di braccio di ferro con il pubblico ministero. È stata infine la Palestina, diventata uno Stato parte dello Statuto di Roma nel 2015, a richiedere nel 2018 un’indagine sulla situazione presente nel suo territorio. Ma, ancora una volta, il procuratore non ha ritenuto urgente intervenire, aprendo un’indagine solo nel 2021.

Nonostante le numerose indagini e rapporti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative7, è da più di un decennio che la CPI continua a ignorare la situazione in Palestina. È il motivo per cui i suoi procuratori hanno una responsabilità morale nell’attuale escalation, poiché la loro politica di non intervento ha probabilmente favorito un crescente senso di impunità. Una linea politica con un preciso orientamento che oggi sta provocando reazioni da parte di alcuni Stati firmatari dello Statuto di Roma. Reazioni evidenti dalle recenti richieste di indagini presentate alla CPI. Il 17 novembre 2023, 5 Stati (Sudafrica, Bangladesh, Bolivia, Comore, Gibuti) hanno chiesto ufficialmente al procuratore un’estensione dell’indagine per includere, in particolare, le accuse di genocidio a Gaza. Altri due stati, Cile e Messico, hanno fatto la stessa richiesta il 18 gennaio 2024. Anche per questo c’è una fiducia limitata nel lavoro della CPI sulla Palestina. I prossimi procedimenti rappresenteranno certamente un banco di prova per un’istituzione che sembra essere allo sbando.

1Assemblea generale, risoluzione 77/247 del 30 dicembre 2022 (A/RES/77/247).

3Per quanto riguarda il Sudafrica, il parere consultivo della CIG è del 21 giugno 1971; per quanto riguarda Israele, il parere consultivo è del 9 luglio 2004; per quanto riguarda il Regno Unito, il parere consultivo è del 25 febbraio 2019.

4“Le procureur de la CPI suspend l’enquête sur les tortures dans les prisons secrètes de la CIA”, Le Monde, 28 settembre 2021. L’indagine è stata autorizzata dai giudici della Corte: ICC, Camera d’Appello, 5 marzo 2020, n. ICC-02/17 OA4.

5Rafaëlle Maison, “Quelles poursuites internationales des crimes commis en Ukraine?”, Confluences Méditerranée, 2023/3, p. 61-74.

6Triestino Mariniello, “The situation in Palestine: Seeking for Justice, a Chimera?”, Confluences Méditerranée, 2023/3, p. 135-153.

7Ad esempio, nel caso di Gaza, Norman G. Finkelstein, Gaza, An Inquest into its Martyrdom, University of California Press, 2018.