Focus Gaza-Israele

La sovrapposizione tra Hamas e il jihadismo: una mistificazione occidentale

Per la sorpresa dell’operazione, la sua ampiezza, il numero di vittime e di ostaggi, gli attacchi del 7 ottobre hanno rapidamente dato luogo da parte israeliana, europea e statunitense alla comparazione tra Hamas, Al Qaeda e Daesh (Isis). Una lettura che manca di rigore scientifico e ignora tutte le divergenze esistenti tra questi movimenti.

Manifestazione dei sostenitori di Hamas a sostegno di Gaza. Hebron, 10 novembre 2023.
Hazem Bader/AFP

Dal 7 ottobre 2023 in seno al potere israeliano e ai suoi alleati, si è imposta la riaffermazione del fatto che la lotta contro Hamas si inscriverebbe in uno scontro di civilizzazione tra l’Occidente e il jihadismo globale. Già nel 2014, il Primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, rivolgendosi alle Nazioni Unite, aveva avanzato questo parallelismo puntando il dito su una battaglia tra la civiltà giudaico-cristiana e l’Islam. Attraverso la comparazione tra il 7 ottobre e l’attentato dell’11 settembre 2001 commesso da Al Qaeda, o ancora tra gli attentati del 13 novembre 2015 condotti dallo Daesh (Stato Islamico o Isis) in Francia, si è operato da qualche settimana a questa parte un ulteriore slittamento semantico molto problematico, che mira ad assimilare la lotta delle diverse fazioni palestinesi ai gruppi terroristi cosiddetti “jihadisti”, che hanno proiettato la propria violenza nel mondo, e soprattutto al di fuori delle società musulmane.

Il 18 ottobre, nel corso della sua visita a Tel Aviv, il presidente americano Joe Biden ha dichiarato che “Hamas è peggio di Daesh”. Qualche giorno dopo, il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto di mobilitare la coalizione militare internazionale creata contro Daesh per combattere Hamas. È dunque importante allontanarsi da queste scorciatoie per abbassare la temperatura del dibattito e confrontare effettivamente le dottrine dei diversi gruppi e le loro pratiche.

Gruppi che si oppongono (quasi) tutti ad Hamas

Un’analisi teorico-empirica ci porta a contestare piuttosto rapidamente il principio che esista un’equivalenza: mentre Al Qaeda e Daesh affermano di essere movimenti jihadisti globali, sin dalla sua genesi negli anni ’80 Hamas si è inscritta in un paradigma di resistenza islamo-nazionalista. In sostegno a questa affermazione, c’è il fatto che Hamas non abbia mai effettuato alcuna azione violenta fuori dalla Palestina e da Israele. Non esiste alcuna ramificazione del movimento palestinese fuori dal teatro locale, mentre i movimenti jihadisti globali sono presenti in più aree geografiche e lì conducono le loro azioni.

Esistono nondimeno alcune similitudini tra Hamas, Al Qaeda e Daesh? Apparentemente ve ne sono due: la prima è il ricorso alla violenza armata contro i civili, senza distinzioni; la seconda è il fatto di essere considerati come movimenti terroristi da una parte dei governi occidentali. Le similitudini si fermano qui.

Rispetto al primo punto, è importante notare che in seno alla letteratura prodotta da Hamas, il concetto di “civile” non è lo stesso che intendiamo comunemente in Occidente. Per il movimento, un colono israeliano non dovrebbe essere considerato un civile de-responsabilizzato; allo stesso modo, un uomo o una donna che abbiano la cittadinanza israeliana ed abbiano svolto il proprio servizio militare per diversi anni, e siano obbligati ad un periodo di riserva, dovrebbero essere esclusi dalla categoria di “civili” . E’ in questo quadro che si può inscrivere il primo intervento di Mohammed Deif, capo delle Brigate Ezzedine Al Qassam, all’indomani dell’operazione del 7 ottobre, in cui ordinava di non “uccidere persone anziane e bambini”. E nel quadro della sua campagna di comunicazione, Hamas ha diffuso molti video che mostravano i combattenti nell’atto di evitare di colpire anziani e bambini, in rispetto dei “principi islamici”. Questo naturalmente non ha impedito che alcune uccisioni abbiano comunque avuto luogo.

Se la questione dello status delle vittime non è chiaramente definita all’interno del movimento, lo stesso vale per l’uso delle immagini e dei video degli attacchi del 7 ottobre. I media ufficialmente affiliati ad Hamas hanno rifiutato di mostrare le scene di esecuzioni di persone che potevano essere percepite come civili – il contrario delle pratiche che si sono diffuse all’interno di Daesh. Le immagini delle esecuzioni di civili il 7 ottobre sono state tuttavia rese accessibili dalle telecamere di sorveglianza, o dalle GoPro indossate e recuperate dai miliziani uccisi.

La posizione dell’Onu

La seconda similitudine riguarda la percezione che alcuni paesi occidentali hanno delle diverse organizzazioni. L’Unione Europea e gli Stati Uniti considerano queste 3 organizzazioni come “terroriste”. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è tuttavia rifiutato di classificare Hamas come “organizzazione terrorista”, diversamente da Al Qaeda e Daesh, perché a suo parere la resistenza di Hamas è il risultato dell’occupazione israeliana.

Dall’aprile del 1993, in seguito a un attentato suicida in Israele rivendicato da Hamas, il Dipartimento di Stato americano ha incluso il movimento nella lista delle organizzazioni terroristiche, una classificazione confermata poi nel 2000 nel contesto della Seconda intifada. Il diplomatico americano ed ex ambasciatore in Israele Martin Indyk affermò allora: “Il Presidente Bush ha chiaramente indicato come terroriste e nemiche degli Stati Uniti le organizzazioni impegnate nell’intifada palestinese”.

Nel 2003, il Regno Unito, la Germania e la Francia hanno esplicitamente rifiutato di inserire il braccio politico di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche, convinti che questo avrebbe ostacolato il processo di pace, ed includendovi solo il suo braccio militare (le Brigate Al Qassam). Lo stesso anno però l’Unione Europea ha scelto di mettere fine alla distinzione tra l’ala militare e quella politica, includendo l’intera Hamas nella sua lista delle organizzazioni terroristiche.

Se la qualifica di “terrorista” usata per classificare Al Qaeda e Daesh non incontra alcuna contestazione tra i governi delle società arabe o a maggioranza musulmana, Hamas non è invece considerata tale in nessun caso. Anzi, nel mondo i paesi che la considerano “terrorista” sono l’eccezione più che la regola. Allo stesso modo, non abbiamo mai visto nel mondo arabo manifestazioni significative di sostegno a Daesh o ad Al Qaeda, mentre sono molto frequenti quelle di sostegno alla resistenza palestinese incarnata da Hamas, i cui quadri politici hanno trovato rifugio in molte capitali arabe, come Damasco, Sanaa o Doha. E infine, troviamo molti paesi musulmani – tra cui la Turchia – in prima fila nella coalizione che ha combattuto lo Stato Islamico.

Ideologia, programma politico, rivalità

Da un punto di vista ideologico, esiste un’affiliazione, affermata nella Carta costitutiva di Hamas, tra il movimento e la Fratellanza Musulmana. Al contrario Daesh, e in certo qual modo anche Al Qaeda, considerano l’ideologia della Fratellanza al meglio come un progetto eterodosso, al peggio come un’ideologia apostata. Anche se sussistono ancora diverse convergenze in seno alla galassia islamista, come accaduto durante il conflitto siriano, la retorica filo-palestinese è molto più presente nel discorso dei Fratelli Musulmani che in quello degli altri movimenti cosiddetti jihadisti.

Un secondo punto che cristallizza le tensioni tra Hamas, Daesh e Al Qaeda risulta nella relazione che Hamas intrattiene con la comunità sciita.

Anche se sembra probabile che l’Iran non fosse al corrente degli attacchi del 7 ottobre, come suggeriscono i servizi segreti americani e come confermato anche da Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, nel suo discorso del 3 novembre, la Repubblica islamica è uno dei sostenitori di Hamas da molti anni. Viene rimproverata ad Hamas anche la sua alleanza con Hezbollah in Libano: un legame di circostanza, che rompe con la visione jihadista salafita propria di Al Qaeda e Daesh.

Per quanto riguarda il progetto politico delle diverse organizzazioni, Hamas non ha alcuna aspirazione globale. Non è mossa da alcuna ambizione di costituzione di un Califfato per unificare la comunità musulmana, ma la sua azione si inscrive nel quadro di un progetto nazionalista, un approccio che i jihadisti contestano fortemente. Anzi, senza l’occupazione israeliana, il ricorso alla violenza per Hamas diventerebbe inutile. Ci sono anche altri elementi di distinzione: Daesh e Al Qaeda non sono mai entrate in una logica di riconoscimento sullo scenario internazionale. Hamas, al contrario, ha sviluppato una strategia inversa, cercando la normalizzazione, moltiplicando le relazioni con i dirigenti politici, che siano arabi, musulmani o occidentali.

In termini di organizzazione, Hamas si distingue per il suo impegno in azioni caritatevoli, una dimensione sociale che è quasi assente nei movimenti jihadisti. Infine, mentre questi ultimi rifiutano qualsiasi partecipazione ai processi elettorali e lanciano anatemi su chiunque giustifichi l’utilizzo della democrazia come progetto politico, Jamal Mansour, dirigente di Hamas in Cisgiordania, pubblicò nel 1996 un documento in cui si sosteneva che il movimento dovesse tendere verso un paradigma democratico, opponendosi a una visione teocratica. Nel testo si affermava: “Non esiste nell’Islam un concetto di teocrazia che abbia la pretesa di rappresentare la volontà di Dio sulla terra”.

Da allora, Hamas si presenta come un partito legalista e pragmatico, che ha vinto le elezioni legislative nel 2006 e ha fatto evolvere la sua linea politica. In seguito a quella vittoria, Hamas ha implicitamente superato i contenuti espressi nella sua Carta costitutiva del 1987. Ha anzi validato il cosiddetto “documento dei prigionieri” del 2006, che riconosceva le frontiere del 1967 e limitava la resistenza all’interno dei territori occupati dopo la Guerra dei sei giorni. Infine, il documento dei principi generali e politici pubblicato da Hamas, e adottato dal suo Consiglio consultivo nel maggio del 2017, ha confermato questo cambiamento di paradigma.

Reazioni molto discrete

Segno ulteriore del distacco esistente, che conferma quanto sia poco pertinente sostenere l’equivalenza tra i movimenti jihadisti e Hamas, è il fatto che l’attacco mirato a terrorizzare Israele non sia stato menzionato da Daesh nel suo giornale del 12 ottobre 2023, essendo l’organizzazione impegnata a combattere contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) in Siria. Se, da parte sua, Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) si è felicitata per gli avvenimenti in Palestina in un comunicato pubblicato il 13 ottobre, non ha tuttavia mai nominato Hamas, preferendo citare le Brigate Ezzedine Al Qassam, il suo braccio armato. Inoltre, durante l’attacco ai cittadini svedesi a Bruxelles il 16 ottobre scorso, l’assalitore ha giurato fedeltà ad Abu Hafs, il califfo dello Stato Islamico, e ha giustificato il suo atto menzionando il rogo del Corano in Svezia, senza alcun riferimento alla situazione a Gaza o ai recenti eventi in Medio Oriente.

Allo stesso modo, riguardo l’assassinio di Dominique Bernard nel liceo di Arras, l’assalitore non ha fatto alcun riferimento alla lotta palestinese, mettendo in crisi la teoria della “atmosfera jihadista” avanzata da Gills Kepel che mira a creare una sorta di amalgama tra i diversi movimenti. Nella storia recente, Hamas ha condannato gli attentati commessi da Al Qaeda o da Daesh, in particolare quelli contro Charlie Hebdo, così come quelli del 13 novembre 2015 a Parigi, che in un comunicato ha descritto come “atti di aggressione e di barbarie”.

In questo contesto, è importante sottolineare che le differenze ideologiche e strategiche rivelate hanno anche provocato un confronto armato sul terreno palestinese. In particolare quando Hamas ha preso il potere a Gaza, opponendosi ai jihadisti salafiti e arrestando alcuni islamisti radicali che avevano simpatizzato per Daesh o che appartenevano a quella organizzazione. E allo stesso modo, quest’ultima ha giustiziato simpatizzanti di Hamas. Quando il giornalista britannico Alan Johnston fu rapito dal gruppo salafita Jeish Al Islam (Esercito dell’Islam), Hamas ne ha preteso e ottenuto la liberazione, sottolineando che non potesse essere ritenuto responsabile per le azioni del suo governo.

Un’opposizione militare sul terreno

Nel mese di agosto 2009, Abellatif Moussa, dirigente del gruppo salafita Jund Ansar Allah (Soldati dei partigiani di Dio) proclamò un Emirato islamico a Rafah, dalla moschea Ibn Taymiyya. Hamas lanciò un attacco contro la moschea per ristabilire la sua autorità. Nella battaglia fu ucciso il capo del gruppo e 28 affiliati, e furono ferite almeno 150 persone.

Sul piano militare, dunque, Hamas si è innegabilmente affermata in opposizione ad Al Qaeda e a Daesh, i cui militanti - quando non sono stati arrestati o uccisi - sono fuggiti verso la Siria o il Sinai egiziano. Il capo di Daesh in Sinai, Hamza ‘Adil Mohammad Al-Zamli è originario di Gaza, ma non è stato in grado di sviluppare la sua attività politica nel suo territorio.

Fuori dalla Palestina, nel campo palestinese di Yarmouk vicino a Damasco, in Siria, Daesh e Hamas si sono scontrati in modo sanguinoso. E non è solo il movimento palestinese che si oppone al jihadismo radicale: secondo un sondaggio realizzato nel 2015 dal Centro palestinese per la ricerca politica e i sondaggi (PRS), una schiacciante maggioranza di cittadini in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, pari al 91%, ritiene che Daesh sia un gruppo radicale che non rappresenta l’Islam.

Di fronte a questi elementi, appare chiaro che la comparazione tra Hamas e gli attori cosiddetti jihadisti serva prima di tutto a delegittimare la causa palestinese. Non ha infatti spessore analitico, e di conseguenza non serve né alla ricerca di una soluzione del conflitto, né alla protezione dei civili, chiunque essi siano. Al contrario, perpetua una mistificazione.

Nel 2010, Henry Siegman, ex presidente del Congresso ebraico americano, affermava:

Israele vorrebbe che il mondo consideri Hamas nient’altro che un gruppo terrorista, e che la sua resistenza sia al servizio di una lotta salafita globale per combattere l’Occidente e ricostituire il Califfato islamico. Si tratta di una mistificazione utile a porre Israele alla testa di una guerra occidentale contro il terrorismo globale, al solo fine di giustificare la richiesta all’Occidente di passare sopra le misure illegali che Israele dice di dover utilizzare se si vuole sconfiggere il terrorismo.