In ricordo di Marcella Emiliani

L’eredità di Marcella

Enrico De Angelis ricostruisce in esclusiva per OrientXXI un’appassionata biografia della studiosa Marcella Emiliani, scomparsa il 7 maggio scorso. La vasta bibliografia della storica e giornalista è scientifica e divulgativa, attenta alla storia del mondo arabo e mediorientale raccontato sempre con grande lucidità intellettuale.

Il 7 maggio scorso se ne è andata Marcella Emiliani.

Tante vite professionali: autrice televisiva (Mixer), reporter in Africa Medio Oriente (L’Unità), poi professoressa a Scienze Politiche di Bologna, sede di Forlì (ma non ha mai smesso di essere giornalista, sia in televisione, che in radio, che sui giornali).

Tra i suoi tantissimi libri, ricordiamo i più recenti, Medio Oriente, una storia dal 1918 al 1991 e Medio Oriente, una storia dal 1991 a oggi (Laterza, 2012) e Purgatorio Arabo, il tradimento delle rivoluzioni in Medio Oriente (Laterza, 2020).

Collaboratrice della biblioteca Cabral, che aveva reso, insieme a Elena Tripodi e altri, un centro di riferimento per lo scambio e l’apprendimento su questioni dell’Africa e dell’Asia.

Mi fermo qui con il curriculum professionale. Non solo perché altri ne hanno parlato (e ne parleremo in futuro) ma perché non è lì che si trova il suo contributo di maggior valore.

Chi l’ha conosciuta sa che la sua eredità è prima di tutto l’aver trasmesso una grande passione per il Medio Oriente a centinaia di studenti e allievi, lasciando in molte e molti di loro un’impronta fortissima, sia a livello professionale (l’odio per gli orticelli, accademici e non; la curiosità; il non restare chiusi all’interno di un’unica disciplina ma piuttosto mescolare gli interessi (interdisciplinare anni prima che divenisse di moda insomma); l’attenzione alla comunicazione, al farsi capire, ad appassionare) che etico e umano.

Per chi ha avuto la fortuna di averla come maestra, c’è un prima e dopo Marcella. Non solo a livello professionale, ma soprattutto a livello personale.

Io l’ho incontrata perché l’ho cercata. Erano gli inizi degli anni 2000 e studiavo Comunicazione a Bologna, ma volevo a tutti i costi concludere con una tesi di laurea sul conflitto di informazione tra palestinesi e israeliani. Un professore di relazioni internazionali, di cui avevo seguito il corso, mi consigliò di parlare con Marcella Emiliani.

Ho deciso di andare a seguire il suo corso, per vedere com’era, a distanza. L’aula era gremita di studenti, lo sarebbe sempre stata. Non ho più mancato una lezione, sebbene a quel punto già non potessi più inserire il corso nel piano di studi.

Non penso di aver mai incontrato qualcuno così bravo a insegnare. Certo, era facile per lei portarti in giro nel Medio Oriente dando volti ai personaggi e raccontandoti aneddoti a non finire, avendolo percorso per anni da giornalista (e non solo il Medio Oriente).

Ma era anche capace di spaziare da un argomento all’altro, da uno scenario all’altro, da una teoria all’altra, con una semplicità di cui solo qualche anno dopo, quando ho cominciato a insegnare anche io, ho afferrato interamente il valore. Come dicevo sopra, mettere insieme ingredienti diversi era per lei quasi una questione didattica.

Aveva viaggiato, tanto. Di notte dormiva pochissimo. Le notti le passava a leggere, e a imparare. I suoi appartamenti erano delle biblioteche. Ma lei, a differenza di altri, quei libri li aveva veramente letti tutti o quasi tutti. Quando insegnava, per me era anche una lezione su un intero approccio: come trasmettere alle persone dei dati, delle passioni, e un’etica.

Incontrare una persona così, che ti prende sotto la sua ala per un po’ di tempo, solo molto dopo si capisce che privilegio sia. In un’Italia gerontocratica che cerca continuamente di distruggere i suoi giovani, Marcella li incoraggiava, li spingeva, li promuoveva, in tutti i modi in cui le era possibile.

L’iniezione di fiducia che sapeva darti, le scosse, a lungo andare ti convincevano che si, in fondo qualcosa valevi, e potevi andare avanti su quella strada (di accademico, di giornalista, o altro) senza avere troppa paura. La frase più banale (perché abusata), “credi in te stesso perché se non lo fai tu, chi lo dovrebbe fare” detta da lei, e accompagnata da tutto il resto, la rendeva improvvisamente potentissima.

Ti costruiva attorno un’aura che poi ti proteggeva dovunque andassi, con qualunque stronzo avessi a che fare. Mica poco.

Una volta sono arrivato in aula e mi ha buttato a fare lezione senza preavviso. “Quelle improvvisate sono le migliori”, mi disse. Non ero neanche ancora laureato. Alla laurea mio padre le disse “grazie”, e lei: “grazie a lei”, sbuffo e sorrisetto.

Non dimenticherò mai la faccia di mio padre. Solo per quello, ho avuto la fortuna di poterle dire negli ultimi mesi, le vorrò sempre bene.

Dicevamo: Giornalista, professoressa, scrittrice, autrice televisiva, divulgatrice, cos’altro?

Eccelleva in tutto, ma sempre con un suo stile, una sua impronta che veniva riconosciuta da chi le stava intorno. Una combinazione unica di una giornalista viaggiatrice e non ortodossa rinchiusa nel corpo di un’accademica (ma mi ci era voluto un po’ per capire quanto le costasse non viaggiare più).

Flaminia (Morandi) una volta mi disse che Marcella era come “un monaco”, a intendere una coordinazione mente-corpo straordinaria (e infatti la mia mente era andata a quelli cinesi, di monaci) e che per lavorare le serviva solo la mano sinistra.

La destra invece (ma questo l’aggiungo ora io) ce l’aveva libera per costruirsi la vita come meglio poteva (e qualche volta proprio come voleva) lei, le notti a leggere, divulgare, scrivere libri, incontrare persone, mercanteggiare idee.

Forse era questa coordinazione che le dava una forza straordinaria, che per me è rimasta sempre qualcosa di un po’ esoterico.

Nel 1991 aveva saputo del primo cancro, che l’aveva costretta a lasciare la carriera di corrispondente e poi spinta a entrare all’università (un ambiente che non ha mai amato, a parte, diceva, gli studenti, e si vedeva).

Ma quando la si andava a trovare, anche nei momenti più difficili, l’energia che sprigionava era enorme e coinvolgente. Ti raccontava dei problemi di salute al telefono, e tu ti facevi un’idea, poi la vedevi, e avevi sempre l’impressione che fossi tu quello stanco e vecchio.

Del resto, mi aveva raccontato che quando le avevano diagnosticato (era giovanissima) una malattia neuro-degenerativa, lei rispose semplicemente “No” e se ne uscì dallo studio del medico sbattendo la porta. La malattia non si era mai fatta più vedere.

Anche in questo, come affrontare una situazione di salute che sembrava quasi una maledizione, con tutti quei tumori (recentemente aveva detto “per fortuna che non ho avuto figli"), è stata una maestra di vita.

Come si può non ridimensionare tanti dei problemi che a prima vista (e soprattutto per un ventenne) potevano sembrare grandi e importanti, e offrire qualche giustificazione, quando si era a stretto contatto con un esempio così?

Lei ti mostrava che la vita poteva essere vissuta e goduta anche in quelle situazioni (infatti non si è mai rinunciato ai pranzi e le cene nelle migliori trattorie di Bologna, dove lei, però, non poteva mai mangiare tutto). Non si è mai lamentata. Descriveva i suoi problemi di salute quasi come le situazioni politiche nel Levante: fatti. Facevano parte delle conversazioni, erano degli aggiornamenti giornalistici, mai delle lamentele.

Impossibile descrivere interamente tutti i percorsi di Marcella, tutte le avventure, tutti gli incontri.

Ma era quasi magica quella sorpresa ogni volta che lei continuava a tirarti fuori dal cappello, anno dopo anno, nuovi episodi, aneddoti e personaggi.

L’ultimo proprio prima dell’estate scorsa, e mi sono di nuovo trovato a pensare: ma come è possibile che questa non l’avesse ancora mai raccontata?

Era come se avesse vissuto molte vite diverse: la televisione (con tutte le sue bellezze e la sua mostruosità), i giornali, poi l’università (ma il giornalismo non l’ha mai lasciato), in mezzo tantissimi viaggi a Cuba, Medio Oriente, Africa (le storie sui Fela Kuti!). Scrittrice di romanzi, di sceneggiature di pupi (sic!).

Noi la ascoltavamo e immagino tutti pensassimo che forse avremmo avuto, alla sua età, la stessa quantità e varietà di storie da raccontare.

La sua scomparsa (anche quella già sembra essere un racconto) lascia molta tristezza, ma anche un’immensa gratitudine. Tra cui il privilegio di aver avuto dei momenti con lei, tra i più belli in assoluto, quando si era saputo che la fine era vicina e inevitabile. Quanta vita c’è in quei momenti, e quanta la gioia di poter dire quanta gratitudine abbiamo dentro, e il valore dell’eredità che si lascia.

Questa eredità, quella che più si può toccare con mano, sono le amicizie, importantissime, con le persone che lei ha fatto conoscere. Anche qui trovo quasi esoterica la questione: era lei a scegliere certe persone? Erano certe persone a scegliere lei? O è stato piuttosto anche il risultato di quell’incontro e della strada fatta insieme?

In ogni caso, questo cerchio di persone che Marcella ha fatto incontrare è uno dei tesori più grandi e tangibili che ha lasciato, quasi una comunità, ormai dispersa, ma forse oggi un po’ più riunita, di persone che condividono tutte qualcosa nel proprio rapportarsi allo studio, al giornalismo, e alla vita.