Nazioni Unite

“Anatomia di un genocidio”. Il rapporto di Francesca Albanese sulla situazione dei diritti umani a Gaza

Nel rapporto – dal titolo Anatomia di un genocidio – presentato il 25 marzo 2024 al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la Relatrice speciale Onu afferma che ci sono “fondati motivi per ritenere che sia stata raggiunta la soglia del crimine di genocidio” nell’ambito dell’offensiva israeliana su Gaza. Con un’analisi dettagliata della situazione, la relatrice invita gli Stati membri a porre in essere un embargo sulle armi, adottare sanzioni verso Israele per imporre un cessate il fuoco e inviare una presenza internazionale per proteggere i Territori palestinesi occupati.

26 marzo 2024. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti nei territori palestinesi, interviene in una conferenza stampa durante una sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra.
Fabrice COFFRINI/AFP

Nel suo rapporto del marzo 2024 presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU), la Relatrice speciale Francesca Albanese conclude “che ci sono fondati motivi per ritenere che sia stata raggiunta la soglia che indica che sono stati commessi atti di genocidio” contro i palestinesi di Gaza. Ancora una volta viene posta la questione di un genocidio attuato manu militari, oltre a quella relativa al sostegno militare a Israele. Nel diritto internazionale, la questione viene dibattuta da tempo: si pensi al caso del Ruanda con il coinvolgimento ormai attestato dell’esercito nel genocidio dei Tutsi o all’ex Jugoslavia, dove il massacro di Srebrenica, considerato dalla giustizia internazionale un crimine di genocidio, è avvenuto nel contesto di un conflitto armato. Nel caso di Israele, nel 2009 era già stato presentato un rapporto sul blocco imposto a Gaza, con l’impiego della forza militare di uno Stato, come un possibile crimine contro l’umanità in quanto persecuzione della popolazione civile1. La Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (UN Genocide Convention) del 1948 lo dichiara espressamente nell’articolo I:

Le Parti contraenti confermano che il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine per il diritto internazionale che esse si impegnano a prevenire ed a punire.

Un clima di intimidazione

Dopo la pubblicazione del rapporto, diversi Stati occidentali hanno dato ampia eco alle accuse mosse da Israele contro la Relatrice speciale. Nel febbraio 2024, il ministro degli Esteri e il ministro dell’Interno israeliano hanno dichiarato che le Nazioni Unite avrebbero dovuto prendere pubblicamente le distanze dalle sue “dichiarazioni antisemite” e rimuoverla immediatamente dall’incarico2. Anche il ministero degli Esteri francese ha tenuto a ribadire nel corso della conferenza stampa del 26 marzo 2024 che:

La posizione della Relatrice speciale Francesca Albanese non coinvolge il sistema delle Nazioni Unite. Abbiamo già avuto occasione in passato di esprimere delle riserve sulle sue prese di posizione pubbliche e per aver contestato la natura antisemita degli attacchi terroristici del 7 ottobre.

In questo clima di intimidazione, quello della Relatrice speciale non è però un caso isolato tra i vari esperti indipendenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che hanno l’incarico dei “mandati tematici” o “mandati nazionali”. Il gruppo di esperti ha rilasciato una serie di dichiarazioni collettive sul rischio di genocidio dall’inizio dell’attuale offensiva israeliana. Di recente, è stato il Relatore speciale sul diritto al cibo, Michael Fakhri, a mettere in guardia contro la deliberata volontà di usare la fame come arma di guerra a Gaza3.

Istituito nel 1993 dalla Commissione per i diritti umani (ora Consiglio per i diritti umani), il mandato del Relatore speciale nei Territori palestinesi occupati (che rientra nei “mandati nazionali”) ha il compito di esaminare la situazione dei diritti umani e di formulare raccomandazioni da presentare all’attenzione dell’ONU. Molti intellettuali di grande levatura, come il giurista sudafricano John Dugard (2001-2008), l’americano Richard Falk (2008-2014) e il canadese Michael Lynk (2016-2022) hanno ricoperto questo incarico. Negli anni, i Relatori hanno proposto una riflessione sulla questione dell’apartheid, invitando gli Stati a richiedere un parere alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati. Una richiesta che si è concretizzata con le udienze che si sono tenute a fine febbraio 2024 dinanzi alla Corte. L’indipendenza degli esperti del Consiglio per i diritti umani e la rilevanza dei loro rapporti hanno spesso suscitato reazioni contrastanti, culminate nel dicembre 2008 con l’arresto e l’espulsione da Israele di Richard Falk4.

Alle accuse mosse da Israele ai Relatori speciali nei Territori palestinesi occupati ha fatto seguito una propaganda volta a delegittimare l’intero sistema dell’ONU, il suo Segretario Generale e persino i suoi giudici. Com’è noto anche l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, è stata al centro di aspre polemiche, che hanno portato a indebolirne l’operato, peggiorando ulteriormente le condizioni della popolazione di Gaza. Nel suo rapporto, Francesca Albanese invita, tra l’altro, gli Stati a non sospendere i finanziamenti all’Agenzia (§ 97, g).

Per di più, l’operato dell’Unrwa è stato implicitamente avvalorato dall’ultima ordinanza emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), in gran parte incentrata sulla questione del rischio di un’imminente carestia a Gaza. Con una netta preferenza per la consegna degli aiuti umanitari via terra, la Corte ha ordinato a Israele di

adottare tutte le misure necessarie ed efficaci per garantire senza indugio, in stretta cooperazione con le Nazioni Unite, la fornitura su ampia scala dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria di cui gli abitanti della Striscia di Gaza hanno disperatamente bisogno [...] in particolare potenziando l’apertura e il numero dei valichi di frontiera terrestri e mantenendoli aperti per tutto il tempo necessario5.

In un recente ricorso presentato dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, il Nicaragua ha accusato la Germania di aver violato i suoi obblighi derivanti dalla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio in relazione alla questione palestinese, “fornendo sostegno politico, finanziario e militare a Israele e interrompendo i finanziamenti all’Unrwa”. Le udienze della causa intentata dal Nicaragua si sono aperte lunedì 8 aprile 2024.

“Prove presenti in maniera univoca”

Nelle sue conclusioni, Francesca Albanese osserva che l’attuale offensiva su Gaza ha violato 3 dei 5 atti elencati nella Convenzione del 1948 (articolo II, a), b) e c)) per definire il crimine di “genocidio”: uccidere i membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica in tutto o in parte.

Nel rapporto, vengono menzionati in maniera puntuale e opportuna i fatti, tra cui il drammatico bilancio di oltre 30.000 morti, 12.000 dispersi (sotto le macerie) e 71.000 feriti gravi (§§ 21-45). L’offensiva israeliana si caratterizza anche per le sofferenze inflitte ai bambini, che rivelano l’intento di distruggere fisicamente i palestinesi come gruppo (§ 33). L’intento di distruggere un gruppo in tutto o in parte, proprio del crimine di genocidio, si evince direttamente dalle dichiarazioni pubbliche rilasciate da esponenti israeliani di alto rango con autorità di comando, oltre a quelle fatte sul campo dai militari (§§ 50-53). È il motivo per cui, per Albanese, “la prova diretta di intenti genocidiari, è presente in maniera univoca”. Questo rappresenta un elemento essenziale per la definizione di genocidio, senza ricorrere a prove circostanziali. In realtà, in assenza di prove dirette, il diritto internazionale rinuncia solitamente a definire un genocidio quando ci sono “prove convincenti” su atti di violenza con l’intento di distruggere un gruppo.

È in questo contesto che il rapporto di Francesca Albanese esamina il “gergo” del diritto umanitario (§ 60) a cui ricorre Israele per giustificare le sue operazioni militari. Siamo infatti di fronte a una retorica israeliana molto vaga, dove la giustificazione degli attacchi mediante le categorie del diritto internazionale umanitario6 tende a camuffare l’“intento di distruggere” un gruppo, ufficialmente dichiarato nei primi mesi dell’offensiva. Riferendosi esplicitamente al ricorso presentato dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dal Sudafrica, Francesca Albanese osserva: “In sua difesa, Israele ha sostenuto che la sua condotta è conforme alle norme del diritto internazionale umanitario”. Ma in realtà, “Israele ha invocato il diritto internazionale come un ‘camuffamento umanitario’ per legittimare la violenza genocida in atto a Gaza” (§ 6). Il compito del lavoro di Albanese è proprio quello di rivelare e decostruire le pretese giuridiche di Israele nel quadro del diritto internazionale umanitario.

Un “camuffamento umanitario”

La parte finale del rapporto ha un titolo emblematico: “Camuffamento umanitario: distorcere le leggi di guerra per nascondere intenzioni genocide”, in cui la Relatrice ritiene che

nella pratica, questa distorsione del diritto internazionale umanitario [...] ha trasformato un intero gruppo nazionale e il suo spazio abitato in un obiettivo militare da distruggere, rivelando una condotta “eliminazionista” delle ostilità. Ciò ha avuto effetti devastanti, che sono costati la vita a migliaia di civili palestinesi, distruggendo la vita a Gaza e causando danni irreparabili. Ciò illustra una chiara linea di condotta per la quale l’unica deduzione ragionevole è l’intento genocidario7.

Molti concetti giuridici relativi alla condotta delle ostilità, e la loro strumentalizzazione da parte di Israele, vengono analizzati con precisione: l’accusa di usare scudi umani o di impiegare militarmente gli ospedali da parte dell’avversario (A ed E), l’abolizione de facto della distinzione tra obiettivi civili e obiettivi militari (B), l’abuso del termine “danni collaterali” (C), gli ordini di evacuazione draconiana e lo spostamento forzato in zone definite protette (D). Il caso delle evacuazioni, con l’assedio e l’attacco sistematico agli ospedali, è alquanto significativo del carattere dell’offensiva in corso. Per quanto riguarda gli ordini di evacuare intere zone, siamo di fronte a un’esigenza del diritto internazionale umanitario (le precauzioni che precedono l’attacco) trasformata in uno strumento persecutorio al fine di fiaccare il morale della popolazione civile. Un’operazione subito intuita dagli organi delle Nazioni Unite, che con la risoluzione dell’Assemblea Generale emanata il 26 ottobre 2023 hanno avanzato la la richiesta di annullare il primo ordine di evacuazione imposto alla popolazione palestinese dal nord di Gaza. Il tema della perfidia (costituiscono “perfidia” gli atti che rappresentano una grave violazione del diritto internazionale umanitario) compare così negli sviluppi della relazione di Francesca Albanese, dal momento che le zone designate come sicure per i civili sfollati e i corridoi umanitari per consentire gli spostamenti sono state poi sottoposte a bombardamenti e attacchi (§§ 79 e 81).

Il rapporto è quindi un utile contrappunto a un approccio già evidente nel lavoro del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI). Un approccio che tende a rappresentare l’offensiva israeliana come un’operazione militare condotta nel rispetto dei requisiti del diritto internazionale umanitario in una complessa, ma in definitiva classica, situazione di guerra urbana. Tuttavia, se la questione è quella di far rispettare il diritto che regola la condotta delle ostilità, il principio di precauzione in ambito internazionale dev’essere applicato alla luce della conformazione dello spazio in cui avviene l’offensiva, che in questo caso è un’area limitata, chiusa, con un’alta densità di popolazione, dove gli obiettivi militari sono essenzialmente sotterranei proprio per il blocco imposto da Israele dal 2007. Il principio recita:

coloro che preparano o decidono un attacco dovranno: [...] astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può attendere che provochi incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni civili, o una combinazione di perdite umane e danni che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto8.

Va aggiunto che, alla luce degli obiettivi indicati dalle autorità israeliane, sarebbe anche possibile invocare la norma che criminalizza il semplice fatto di “dichiarare che non sarà dato quartiere”9.

Non va inoltre dimenticato che il diritto dei popoli all’autodeterminazione, di cui gode il popolo palestinese, comporta l’obbligo per lo Stato coloniale o occupante di consentire l’autodeterminazione dei popoli sotto il suo governo, cosa che va contro il principio stesso dell’offensiva israeliana. Da questo punto di vista, il rapporto di Francesca Albanese attinge a molta letteratura recente per mettere in relazione la situazione nei Territori palestinesi occupati con il colonialismo di insediamento israeliano (§ 12). La nozione di genocidio va quindi necessariamente letta all’interno di questa cornice storica – sottolinea Francesca Albanese –, vale a dire contestualizzando l’offensiva contemporanea in una storia di deportazioni e pulizia etnica inflitta al popolo palestinese (rapporto, §§ 10-14).

1Si veda il rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza, 25 settembre 2009, UN Doc A/HRC/12/48, §§ 1332-1335.

2The Times of Israel, 12 febbraio 2024. Per quanto riguarda l’ultimo rapporto, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha accusato, il 27 marzo 2024, la Relatrice di aver rilasciato nel tempo “commenti antisemiti”, Middle East Eye, 28 marzo 2024.

3UN food rights expert blasts rights council for turning blind eye as Israel ‘intentionally starves’ Gaza”, Michelle Langrand, Geneva Solution, 9 marzo 2024.

4Si veda il rapporto del 25 settembre 2009, doc. ONU A/64/328).

5CIG, Ordinanza del 28 marzo 2024, 2) (a).

6Il diritto internazionale umanitario, noto anche come diritto bellico o diritto dei conflitti armati, è l’insieme delle norme di diritto internazionale che riguarda la protezione delle cosiddette vittime di guerra o vittime dei conflitti armati. [NdT].

7§ 57

8Protocollo aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra, articolo 57 § 2 (a) (iii)

9Cioè “concessa tregua” al nemico” [NdT]. Cfr. Statuto della CPI, articoli 8 § 2 (b) xxii e (e) (x)).