Dossier

Terremoto in Turchia e Siria. Affrontare il dolore della perdita della propria casa

Mettendo a confronto la sensazione della perdita causato dal terremoto dell’Irpinia del 1980 e dalla distruzione della città di Homs dopo un assedio durato anni, i due autori parlano del perché è importante ricostruire le case distrutte dopo il sisma per ritrovare la propria comunità. L’articolo è parte di un dossier sulle conseguenze del terremoto che ha colpito la Siria e la Turchia nel febbraio 2023, frutto della collaborazione tra OrientXXI e UntoldStories.

“It is the Great Syria”

Tutti siamo rimasti costernati e sconvolti di fronte alle drammatiche immagini del crollo delle case e al dolore straziante delle famiglie per il terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria il 6 febbraio 2023. Il bilancio delle vittime del terremoto è stato finora di oltre 57.700 tra uomini, donne e bambini, senza contare le centinaia di migliaia di sfollati rimasti senza casa.

Mentre le organizzazioni umanitarie e le autorità politiche stanno affrontando le ripercussioni del violento terremoto sulle comunità locali, occorrerebbe però porre una maggiore attenzione a chi ha perduto la propria casa a causa del sisma.

In molti casi, lo sfollamento improvviso e forzato può portare un disturbo da stress post-traumatico (PTSD) nei soggetti che hanno visto sconvolgere la propria esistenza da una catastrofe. Oltre naturalmente al fatto che molti siriani colpiti dal terremoto erano già stati sfollati più volte a causa della guerra civile.

Per di più, il terremoto ha provocato altri traumi e danni a una comunità già allo stremo.

Per comprendere a fondo la sensazione di dolore che possono causare le calamità naturali o i disastri compiuti dall’uomo, abbiamo preso in esame due casi avvenuti in due diverse regioni del mondo e in circostanze molto diverse: il terremoto che ha colpito l’Irpinia nel 1980 e la distruzione della città di Homs durante la guerra civile siriana.

Il terremoto in Italia

Abbiamo intervistato persone a cui il trauma del terremoto ha cambiato la vita, trasformando i loro centri storici un tempo pieni di vita in luoghi dimenticati tra ferite e macerie. Il tragico bilancio del terremoto dell’Irpina del 1980 fu di quasi 3000 vittime, oltre a 300.000 sfollati. In queste interviste (che ora fanno parte di un documentario dal titolo “Italia Terremotata” un progetto social frutto della collaborazione tra due poli universitari britannici, la gente rimpiange, anche a distanza di decenni dal terremoto, la cara edilizia di un tempo, i loro vicini e le loro case.

Illica, frazione del comune di Accumoli in provincia di Rieti, Italia centrale: un’anziana signora guarda i resti della sua casa distrutta dal terremoto del 2016.
Foto di Paola Di Giuseppantonio Di Franco, aprile 2017

Prima del terremoto c’era un grande senso di comunità per le strade e nelle case. Il borgo, le sedie messe fuori la porta di casa, le chiacchiere con i vicini. La ricostruzione post-terremoto ha distrutto tutto questo, perché le città sono state smembrate1.

La distruzione di Homs

In seconda analisi, abbiamo esaminato l’impatto della guerra civile in Siria, dove sono stati rasi al suolo interi quartieri. Durante gli anni della guerra, diverse zone di Homs sono state poste sott’assedio. Più della metà dei quartieri della città hanno subito gravi danneggiamenti.

Parlando con persone che hanno perduto la casa, abbiamo sentito molte storie di lutto, un dolore ancora vivo dieci anni dopo la distruzione.

Quando ho visto per la prima volta le macerie, la mia sensazione è stata di impotenza: Cosa possiamo fare? Non c’è più nulla da fare. Sentivo un senso di vuoto e tutto mi sembrava negativo. Ma alla fine, ho iniziato a mettermi in discussione: Qual è il nostro compito? Cosa possiamo fare dunque?... Quando ero in mezzo alle macerie, mi sentivo solo; provavo un senso di solitudine e di estraneità; mi sentivo lontano alla gente e dalla mia comunità. Mi sentivo straniero nella mia città”.2.

Sono in molti – anche tra quelli rimasti in Siria – che hanno parlato di un senso di spaesamento ed esilio3 dovuto alla trasformazione di un paesaggio urbano non più familiare. Le persone che vivono qui vengono da altre regioni a causa dell’ondata di sfollati da e per Homs, poi sono spariti negozi, ambienti e luoghi familiari, lasciando intere zone della città in un cumulo di macerie.

Purtroppo, anche dopo anni dalla distruzione che in gran parte risale al 2017, non ci sono in cantiere progetti di ricostruzione. Ci sono ancora molti sfollati, mentre altri sono stati costretti a spostarsi nel nord-ovest della Siria, o vivono da profughi sparsi per il mondo, compreso in Turchia, dove vivono grandi difficoltà a causa delle conseguenze del terremoto.

Ussita, Marche, terremoto del 2016. Agricoltori e altre persone non possono lasciare le loro case perché costretti a vivere in roulotte e altri alloggi temporanei, talvolta per anni.
Foto di Paola Di Giuseppantonio Di Franco, aprile 2017

In Italia, i terremoti hanno sempre suscitato sentimenti contrastanti: da una parte, un senso di accettazione per la vulnerabilità del territorio alle calamità naturali; dall’altra, anche un sentimento di ingiustizia dovuto al fatto che molti ritengono che i governi siano responsabili per non aver agito prima per la messa in sicurezza del territorio. In Siria, i traumi e le ferite continuano a incidere sulla vita delle persone, rendendo la vita quotidiana già una guerra di per sé per le condizioni di vita estreme e la povertà. Il terremoto ha solo aggiunto altre sofferenze a una delle guerre più brutali del nostro tempo.

Ricostruire un senso del luogo

Anche se i contesti delle calamità naturali e dei disastri causati dall’uomo sono diversi, sono molti gli argomenti e le questioni che emergono. In primo luogo, la necessità di garantire alle persone colpite un riparo immediato, cure mediche e assistenza, oltre all’esigenza di ricostruire le loro case. Le decisioni riguardo la ricostruzione, oltre alla ricerca di alloggi, vanno prese a lungo termine. Ci sono poi le questioni su come aiutare le persone colpite a guarire dal trauma della perdita della casa, mentre vivono la condizione di sfollati lontani da tutto ciò che può essere rassicurante e familiare.

L’esperienza del terremoto in Irpinia del 1980 insegna che non si tratta di un progetto a breve termine. Il percorso di cura e la dolorosa autoricostruzione dal trauma hanno bisogno di tempi molto lunghi.

Ma nel frattempo, il processo di ricostruzione farà il suo corso, portando con sé nuovi dubbi: cosa e come ricostruire? Ricominciare da zero o rimettere in sesto? Come evitare altri errori, a partire dagli edifici che non erano progettati secondo norme antisismiche? Come rendere queste procedure più eque e inclusive?

La ricostruzione post-terremoto delle case dovrebbe essere il risultato di un diverso modo di ricostruire – ricostruire un “senso del luogo” e della comunità: ossia, restituire il significato simbolico e affettivo che gli abitanti associano a quei luoghi.

La nostra ricerca in Italia dimostra anche che, quando le persone sono state costrette a vivere in case prefabbricate dopo aver perso la propria casa, hanno sviluppato un forte senso di comunità. Gli sfollati sono riusciti a vivere insieme ai loro vicini di casa, prima che la loro città fosse ricostruita. Uno degli intervistati ha raccontato:

“Quando la gente viveva nelle case prefabbricate, riusciva a ricreare quel senso di comunità che aveva nella vecchia città. Erano molto uniti, porta a porta, come prima del terremoto. Spesso restavamo fuori a chiacchierare, cantare o ballare. Abbiamo vissuto anche momenti molto felici a quel tempo”.

Paganica (provincia dell’Aquila, Italia centrale), colpita dal terremoto del 2009. Mentre la città dell’Aquila è stata in gran parte restaurata, nella provincia i lavori di ricostruzione sono ancora in corso.
Steven Day (ThinkSee3D company), Settembre 2022

A Homs, anche quando la popolazione è finita in povertà o in condizioni di vita estreme, la gente si è sempre aiutata a vicenda. Una rete di sostegno è importantissima nel processo di ricostruzione, per far sì che non vengano ricostruiti solo gli edifici, ma innanzitutto le persone. Pertanto, ricostruire un luogo significa far in modo che la gente riesca a mantenere buoni rapporti con vicini che, in molti casi, hanno convissuto insieme per decenni. Salvare questa rete di solidarietà tra persone che si conoscono bene diventa essenziale per le comunità locali per non perdere il senso dei rapporti umani, assicurare una continuità con ciò che è familiare e riflettere sulla propria identità, sui bisogni e i valori del patrimonio storico-culturale.

È necessario che l’attività di ricostruzione parta dalla base, coinvolgendo anche le comunità di esuli e rifugiati. Si tratta di un momento di estremo sconforto, dolore e frustrazione, ma può essere anche un momento di grande speranza. Partecipando alla ricostruzione della città, gli abitanti possono avere un ruolo attivo, grazie al loro vissuto prima del terremoto, immaginando la loro vita in un prossimo futuro.

Le imprese locali e internazionali impegnate nel processo di ricostruzione non devono imporre soluzioni dall’alto alla popolazione colpita dal sisma, ma, al contrario, devono favorire un processo di ricostruzione che parta dal basso. È questo uno degli elementi chiave per riuscire a superare il trauma della perdita quando inizierà il percorso di cura.

1Testimonianza di uno sfollato che, al tempo dell’intervista del 1980, viveva in una casa prefabbricata

2Intervista con un architetto siriano, 2017

3Su questo, si veda Omar Azzouz, “A tale of a Syrian city at war. Destruction, resilience and memory in Homs”,City. Analysis of Urban Change, Theory, Action, issue 1, 2019.