Diario da Gaza 15

“Anche se non c’è più niente al nord, vogliamo tornare a casa”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Gaza, 3 aprile 2024. Un uomo spinge una bicicletta mentre cammina tra le macerie, nella zona devastata attorno all’ospedale Al-Shifa, ridotto in polvere dall’esercito israeliano.
AFP

Domenica 7 aprile 2024.

Oggi ho ricevuto una telefonata dal mio amico Shahin, il padre della piccola Dudù, la bambina di cui vi ho già parlato. Vive con la sua famiglia a Gaza City, dove la popolazione sta soffrendo la fame e vive ai limiti della carestia, così come nel nord del territorio. Shahin era molto contento e voleva darmi una buona notizia: per la prima volta, i camion stanno entrando dal valico israeliano di Erez, nel nord della Striscia. Un camion di carburante e due camion carichi di medicinali. Shahin mi ha detto: “Durante una nostra chiacchierata, mi avevi detto che forse le cose sarebbero cambiate un po’, soprattutto a livello umanitario, dopo la morte dei sei martiri”: si riferiva ai sei operatori umanitari stranieri dell’Ong World Central Kitchen (WCK) uccisi dagli israeliani.

Secondo Shahin, sono appena le prime “gocce” di aiuti umanitari che stanno cominciando ad entrare nel nord della Striscia e a Gaza City. Ha poi aggiunto:

Tu ci credi alle dichiarazioni del Gabinetto di guerra israeliano, quando dicono che aumenteranno il numero di camion a 500 al giorno? E che anche la Giordania farà passare dei camion, invece di lanciare gli aiuti col paracadute in modo da umiliarci?

Ero molto contento della sua telefonata perché mi ha dato un po’ più d’ottimismo. L’arrivo dei primi camion sembra per ora confermare ciò che ci siamo detti nella nostra ultima chiacchierata. Però non volevo dirgli che con gli israeliani ci vuole tempo perché le promesse siano mantenute, e che a volte alle parole non seguono i fatti. Ma questa volta non credo che si tratti solo di annunci. Forse gli aiuti non arriveranno subito, i camion non aumenteranno immediatamente a 500 al giorno, ma penso che presto ci sarà qualcosa. In ogni caso, il mio amico Shahin era contento della nostra chiacchierata e poi, come al solito, ho cercato di tirarlo un po’ su di morale.

“Frutta, è da tempo che non sentivo questa parola”

Mi ha passato Dudù al telefono. La bambina era molto felice:

‘Ammo Rami, pensi che mangeremo di nuovo cibo in scatola e carne? Ho sentito dire che a Rafah è arrivato del pollo. Riusciremo a mangiarlo anche noi?

Le ho risposto di sì, certo che avrebbe mangiato del pollo e anche della frutta. “Frutta, è da molto tempo che non sentivo questa parola”, mi ha risposto. “Da noi non se ne trova più. Anche le verdure, è da tempo che non ne vediamo, da quando mi hai mandato un po’ di pomodori e della carne in scatola”. Ho cercato di rassicurarla:

Non preoccuparti, se il cibo non arriva al nord, ti manderò, come l’ultima volta, del pollo e anche della frutta. A Rafah sono arrivate le mele, sono sicuro che ne arriverà qualcuna anche a Gaza City.

La piccola ha fatto i salti di gioia. Ho sentito la sua risata: “Se è vero, faremo un fatteh1 e ti inviteremo a pranzo. Spero che riusciremo a mangiarlo tutti insieme per l’ultima notte di Ramadan, alla vigilia dell’Id al-fitr2”. Ho detto a Dudù che anch’io speravo di mangiare il fatteh con loro e che presto tutto sarebbe finito. Lei era molto felice e lo ero anch’io. Adoro sentire la sua risata. Questa gioia nel cuore di Dudù è una grazia che dobbiamo a quei sei martiri dell’Ong. Sì, dico “grazia” perché è grazie a loro che può cambiare la vita dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza.

“I cecchini e la linea invisibile”

Sto seguendo le rivelazioni sull’uso di un software basato sull’intelligenza artificiale che permette di “generare” target da colpire, e che l’esercito israeliano sta usando per ucciderci. Qui a Rafah l’abbiamo saputo perché, anche in questa terribile situazione, possiamo collegarci regolarmente a Internet e leggere le rivelazioni delle indagini di alcuni siti online israeliani che sono contro il massacro dei palestinesi [Il riferimento è a due inchieste sui sistemi di intelligenza artificiale utilizzati dall’esercito israeliano, realizzate dai giornali indipendenti israeliani +972 Magazine e Local call, NdT]. Vi consiglio di leggere le dichiarazioni di quegli ufficiali che hanno lavorato sul software, e che non si dicono pentiti. Al contrario, secondo loro, il software renderà più veloce la guerra, oltre al ritmo con cui vengono sganciate le bombe. L’intelligenza artificiale riesce a fornire i file di moltissime persone da uccidere, perchè, sempre secondo loro, le bombe “intelligenti”, quelle di precisione, devono essere riservate per i leader di Hamas. Per gli obiettivi “meno importanti”, si possono usare delle bombe “stupide”, anche se uccidono allo stesso tempo molte persone che si trovano intorno agli obiettivi da colpire. L’esercito ha ammesso che ci sono “danni collaterali”: tra i 15 e i 20 civili uccisi per ogni miliziano di Hamas colpito.

Non capisco come un essere umano possa uccidere della gente in questo modo, senza pietà e senza neanche pensarci. Forse è dovuto alla dimensione tecnologica. Si è dietro uno schermo, quindi non c’è uno scontro, non ci sono persone, ma solo i personaggi di un videogioco. E poi c’è l’aspetto della vendetta cieca: vogliono uccidere tutti perché sono convinti che tutti gli abitanti della Striscia di Gaza siano responsabili di quanto è accaduto il 7 ottobre.

Quindi, per loro, non siamo importanti, non siamo esseri umani. Nelle inchieste sono riportate testimonianze di altri soldati che ammettono di non essere preoccupati, perché sono le macchine a fare tutto, loro sono “solo degli esecutori”. Vi consiglio di leggerle queste testimonianze, sono sicuro che ne rimarrete scioccati. Ma noi no, noi siamo abituati a questo esercito, sappiamo benissimo come si comporta.

C’è un’altra tecnica, che consiste nel tracciare una linea invisibile in una zona. Se qualcuno oltrepassa quella linea, viene immediatamente colpito da un cecchino. Alcune di queste esecuzioni sono state filmate, come quella della donna che è stata uccisa assieme a suo figlio di 12 anni. Lì si trovava anche un uomo che stava cercando suo fratello che era stato circondato e che è stato ucciso a sua volta.

Immaginate di essere in una prigione dove le guardie hanno tracciato delle linee invisibili. Se ne superate una, venite immediatamente puniti... o per meglio dire, uccisi. Non so se gli israeliani si siano ispirati alla serie Squid Game, ma è quasi la stessa cosa. È davvero disumano.

“Ricostruiremo tutto”

Sono sicuro che prima o poi ci sarà un risveglio di coscienza. Come è accaduto per alcuni combattenti delle milizie ebraiche durante il 1948, che oggi si dicono pentiti di aver partecipato alla massiccia pulizia etnica dei palestinesi. Non so se l’esercito israeliano di oggi voglia eliminare i palestinesi perché ci considera come selvaggi o animali, o se voglia “solo” sbarazzarsi di noi. Ma vedo che ci sono molte pressioni su Netanyahu, sia da parte degli stessi israeliani che da parte della comunità internazionale, per chiedere per la prima volta di fermare la guerra, dopo la morte dei sei operatori umanitari del WCK. L’Europa ha chiesto un cessate il fuoco e l’arrivo degli aiuti umanitari. Alcuni Stati che avevano sospeso i loro finanziamenti all’Unrwa hanno ripreso a finanziare l’organizzazione. Il mondo si sta lentamente risvegliando. Non so se è per calcolo o se la loro coscienza si sia risvegliata per davvero, ma in molti hanno smesso di credere solo alla versione israeliana delle cose.

Liberare gli ostaggi è l’ultima cosa a cui pensa Netanyahu. Vuole solo continuare la guerra perché la fine del conflitto sarebbe la fine della sua vita politica. Ma vista la situazione attuale, credo che alla fine il premier israeliano sarà costretto presto a cedere, accettando un cessate il fuoco. Forse non sarà la fine della guerra, ma almeno ci sarà una tregua. Ad oggi, si conta solo l’enorme bilancio delle vittime civili e i 2,3 milioni di abitanti di Gaza gettati nella miseria e nell’umiliazione.

Spero anche che tutti noi, che oggi viviamo da sfollati, riusciremo presto a tornare a casa. È vero che non c’è più vita a Gaza City, né nel nord della Striscia; che il 70, o forse il 75% delle case sono state bombardate e distrutte. È anche vero che non c’è più acqua, né elettricità, né un sistema sanitario, e che l’ospedale Al-Shifa è ormai ridotto in macerie. Ma malgrado tutto, noi vogliamo tornare a casa. Anche se non abbiamo più una casa, pianteremo delle tende, ma saremo a casa nostra, e non più costretti a spostarci in questo modo. Abbiamo già vinto contro il progetto di “trasferimento” degli israeliani, il loro piano di mandarci via dalla Striscia di Gaza. Ricostruiremo tutto. Non sarà la prima volta. Siamo come l’araba fenice, risorgiamo sempre dalle ceneri.

La vita andrà avanti e tutti vivranno in pace.

1Piatto levantino. [Ndr].

2L’Id al-fitr (Eid al-fitr) è la festa della rottura del digiuno, che segna la fine del mese lunare del Ramaḍān e quindi la fine del digiuno religioso. [NdT].