Diario da Gaza 7

“La gioia più grande di un bambino è sfamare la propria famiglia”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Rafah, 5 marzo 2024. I bambini palestinesi ricevono razioni di cibo nell’ambito di un’iniziativa di volontariato per la carestia diffusa nella Striscia di Gaza.
MOHAMMED ABED / AFP

Domenica, 7 marzo 2024

È stata la gioia più grande della mia vita. Due giorni fa, ho ricevuto una telefonata dai nostri ex vicini di Gaza, la famiglia di Shahin. Vivevamo nello stesso edificio. Il loro appartamento, all’ultimo piano, è stato completamente distrutto. La famiglia conta quattro figli, due maschi e due femmine. Fanno parte delle circa 400.000 persone che non sono fuggite verso il sud, ma hanno scelto di rimanere a Gaza City, dove la situazione è anche peggio che qui. La figlia più piccola della famiglia di Shahin si chiama Ghada, e ha sette o otto anni. Io la chiamo Dudù ed è un tesoro perché mi riempie sempre di baci e abbracci, è davvero una bambina adorabile. Quando suo padre me l’ha passata al telefono, mi sono venute le lacrime agli occhi. Mi ha detto che le mancavo tanto e poi mi ha chiesto: “Perché non vieni qui durante il Ramadan, così facciamo l’iftar1 insieme?”. Le ho chiesto, come sempre, se volesse della cioccolata, ma mi ha detto: “No, ‘ammo2, vorrei che ci portassi delle verdure e della carne, o del pollo, perché qui a Gaza sono cinque mesi che non se ne trovano”. La sua richiesta mi ha spezzato il cuore. Ho insistito, ma lei ha detto: “Lo sai che qui viviamo in carestia. E non voglio che papà rischi la vita andando in uno di quei posti dove arrivano i camion con gli aiuti [e dove l’esercito israeliano ha ripetutamente sparato sui civili in attesa], preferisco che rimanga qui con me”.

Ho pensato tutto il giorno alla piccola Dudù che sogna di mangiare verdure e pollo, cose banali in tempi normali, ma che non lo sono più per noi, qui al sud. Così ho messo in un sacchetto qualche pomodoro, qualche cetriolo, un po’ di cipolla e delle patate, sì e no due chili in tutto. E dato che a Rafah non si trova del pollo, ho aggiunto anche della carne in scatola, che qui si chiama “Bolobeef”3. Poi sono andato al valico di Rafah, al confine con l’Egitto, dove partono i camion degli aiuti umanitari. Ho chiesto se ce n’era uno che andava a Gaza City, e se l’autista poteva aggiungere un sacchetto al carico. Una persona mi ha detto che suo fratello era un autista e che quel giorno sarebbe partito per Gaza. Con mia grande sorpresa, non solo conosceva il nostro vecchio quartiere, ma sapeva anche che sono il giornalista che ha contatti con la Francia. Mi aveva visto in TV mentre raccontavo come ero andato via da Gaza City. Mi ha detto: “Chiederò a mio fratello di portare il sacchetto, ma non ti prometto nulla, perché è vietato trasportare altro rispetto alla merce da consegnare”. Gli ho dato il numero di telefono del mio amico.

Quando suo fratello è arrivato a Gaza, ha consegnato il sacchetto a Shahin. Il giorno dopo ho ricevuto un sms dal mio amico:

Dudù ha fatto i salti di gioia. Ha detto: “È il regalo più bello della mia vita. Finalmente, potremo mangiare un po’ carne, prepararci un’insalata e mangiare delle verdure; ed è grazie a me, perché ‘ammo Rami mi vuole bene e mi ha mandato questo regalo”.

Ho riletto il messaggio trentasei volte con le lacrime agli occhi. Poi ho pensato: siamo arrivati al punto in cui la gioia più grande per un bambino è avere qualche pomodoro e una scatoletta di carne. Dudù non voleva giocattoli o cioccolata, voleva solo sfamare la sua famiglia. Ho cercato di chiamare Shahin e la sua famiglia, per sentire ancora una volta la voce di Dudù, ma era impossibile mettersi in contatto. Ero solo felice di aver fatto qualcosa per lei, di aver portato un po’ di gioia nel cuore della piccola Dudù. Ma quante Dudù ci sono a Gaza? Quanti bambini sognano di avere qualche pomodoro?

Ci sono 400.000 persone nel nord della Striscia di Gaza. La nostra è una società molto giovane. Un terzo, o forse la metà, sono bambini. So che questo piccolo dono non li ha saziati, ma è riuscito a dare loro un po’ di gioia. Quello che mi fa arrabbiare sono i milioni spesi per i “corridoi umanitari marittimi” che richiederanno tanto tempo, o per gli aiuti lanciati col paracadute, quando la soluzione più semplice sarebbe fare pressione sugli israeliani per far entrare più camion. Dire che non è una cosa sicura, o che Hamas dirotterà gli aiuti, è solo un pretesto. E anche se così fosse, non cambierebbe nulla anche con gli aiuti via mare. Il punto di sbarco del carico trasportato dalla nave della Ong spagnola è solo un terminal in più4. Una volta sbarcati, gli aiuti verrebbero trattati come quelli che transitano attraverso i posti di blocco terrestri. Quindi è solo un pretesto. Bisogna smetterla con questa ipocrisia degli “aiuti umanitari”! Gli israeliani vogliono che non passi nulla solo per tagliare ogni legame tra il mondo esterno e Gaza.

Gli aiuti via mare non sono un’idea americana, ma israeliana, e gli israeliani l’hanno concordata con il presidente cipriota, presentandola a Biden nello scorso autunno. Oggi Biden si presenta come il salvatore della Striscia di Gaza, facendo credere alla gente che è stato lui a “fare pressione sugli israeliani”, ma non è vero. Ha solo obbedito agli ordini degli israeliani. È in atto una separazione della Striscia di Gaza non solo da Israele, ma anche dal resto dei palestinesi e dall’Autorità palestinese. Vogliono creare un governo che sia sotto il loro controllo, una sorta di governo di Vichy, per fare un paragone con la storia della Francia. Vogliono far credere alla gente che non è in atto un’occupazione o una conquista della terra, e che coloro vivono lì sono solo dei poveri indigeni a cui bisogna dar da mangiare. Sono riusciti anche a ridurre la questione politica a una mera questione umanitaria.

Ciò che conta non è ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre, né gli ostaggi, ma il fatto che Israele intende approfittare di questa situazione per fare ciò che non è riuscita a fare dal 1948: mandare via l’intera popolazione palestinese. Ogni giorno ci sono persone che lasciano Gaza, pagando somme esorbitanti a un’agenzia di viaggi egiziana, per sfuggire alla macchina della morte, alla carneficina, ai massacri in corso in tutta la Striscia di Gaza, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni alla settimana.

Gli israeliani hanno sempre degli obiettivi tattici e strategici. Sono convinto che anche dietro il corridoio marittimo ci sia un piano strategico: l’intenzione degli israeliani è quella di deportare l’intera popolazione di Gaza, facendo credere che sia andata via volontariamente. Può sembrare una teoria del complotto, ma se vuoi vivere in questa regione, devi credere nelle teorie del complotto.

1il pasto che interrompe il digiuno

2“zio” è un termine affettuoso usato in segno di rispetto per chiamare una persona più grande

3Una storpiatura di bully beef, l’equivalente della carne in scatola.

4Il riferimento è all’Ong spagnola Open Arms, che ha rimorchiato una nave carica di 200 tonnellate di cibo per Gaza City.