Orientalismo

L’egittomania dalla parte di Proust

Grande affresco narrativo della società aristocratica francese agli inizi del ‘900, Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust riflette anche una moda allora imperante nell’alta borghesia: una “egittomania” di cui troviamo tracce nella scelta degli arredi, degli oggetti d’arte, dei costumi fino all’uso stilistico delle figure retoriche.

Quando ho intrapreso la lettura – un viaggio durato diversi mesi – della Recherche di Marcel Proust, non immaginavo che uno dei temi che mi avrebbero più colpito di quest’opera eccezionale, ambientata nel mondo dell’aristocrazia francese del primo ‘900, sarebbe stata “l’egittomania” dell’autore. Un primo riferimento compare già nel primo dei sette volumi dell’opera, Dalla parte di Swann, quando il protagonista Charles Swann viene a sapere che la sua amante Odette de Crécy conta di partire per l’Egitto. Odette condivide il suo entusiasmo per il viaggio, ma fa intendere a Swann che non partirà con lui. “Sì, tesoro, partiamo il 19, ti manderemo una veduta delle Piramidi”1. La notizia provoca la gelosia morbosa di Swann, quando arriva a scoprire che l’amante partirà con il conte di Forcheville.

Il tema del viaggio in Egitto non era un puro frutto dell’immaginazione dell’autore, in quanto i viaggi nella terra dei Faraoni erano effettivamente una delle mete più ambite dai viaggiatori europei, e soprattutto dai francesi che potevano permetterseli. Il rinnovato interesse per l’antico Egitto nasce a seguito della campagna d’Egitto di Napoleone (1798-1802) e di tutta la produzione letteraria, scientifica e artistica successiva. Tra le opere che più hanno contribuito a rendere popolare l’egittomania, c’è il Viaggio nel Basso e Alto Egitto (1802) dello scrittore Vivant Denon, aggregato alla spedizione militare con l’incarico di redigere una Description illustrata dell’Egitto. Lo spirito di quella campagna e i sentimenti suscitati nei francesi li ritroviamo anche in Proust, quando rievoca, nell’ultimo volume, Il Tempo ritrovato, lo scoppio della Prima guerra mondiale. All’epoca, l’aristocrazia francese indossava abiti ispirati all’antico Egitto, per ritrovare lo spirito e il morale della campagna di Napoleone, ad esempio “tuniche all’egiziana dritte, scure, molto “belliche”, su gonne molto corte” e “s’agghindavano [...] d’ornamenti egiziani richiamanti la campagna d’Egitto”2.

Uno stile d’arredo per case aristocratiche

Nell’opera di Proust, gli arredi portano l’impronta di questa egittomania, in particolare nei mobili che adornano le stanze delle diverse residenze. Anche qui, la Recherche diventa lo specchio dell’epoca. In Francia, le industrie del mobile francese furono, infatti, profondamente influenzate dal gusto neoegizio3 per la fabbricazione di comò, sedie e tavoli decorati con teste di faraoni in bronzo o in legno intagliato. Venne creato, inoltre, un nuovo colore chiamato “terra d’Egitto” – un rosso aranciato –, insieme al colore “bruno di mummia”, un marrone ambrato. Questa forma di egittomania la si ritrova anche nel terzo volume, La parte dei Guermantes4, nella pagina in cui Madame de Guermantes si dichiara entusiasta dei nuovi mobili di ispirazione egiziana:

– Ma come! sbottò Madame de Guermantes con straordinaria vivacità, se siamo stati noi a cedere a Gilbert (la duchessa, ora, se ne pentiva amaramente) un’intera sala da gioco Impero che ci veniva da Quiou-Quiou5, un vero splendore! Da noi non c’era spazio, eppure stava tanto meglio qui che in casa sua. È d’una bellezza assoluta, mezzo etrusca e mezzo egiziana...

– Egiziana? chiese la principessa, alla quale l’aggettivo “etrusca” non diceva granché. – Mio Dio, un po’ tutt’e due, era Swann che lo diceva, me l’ha spiegato, solo che io, sapete, sono una povera ignorante. E poi, in fondo, bisogna dire che l’Egitto dello stile Impero non ha nessun rapporto col vero Egitto, né i loro romani con i romani, né la loro Etruria...

L’influenza esercitata da questa cultura traspare anche nelle figure retoriche che Proust usa quando paragona un naso alle Piramidi di Giza o parla di un sistema di segni complicato come quello dei geroglifici6. Nel terzo volume, il narratore paragona i suoi sentimenti, ormai affievoliti, per la celebre attrice Berma, alle mummie egiziane che hanno bisogno di tutti i beni della loro vita terrena per conservare il proprio aspetto nell’eternità. In un altro passaggio, il narratore paragona il volto di Madame de Guermantes, vedendolo di profilo, a quello di “una divinità egizia”. Un altro riferimento ai tratti di una divinità egizia si ritrova anche nell’ultimo volume, ma questa volta nella sua versione mummificata, per descrivere il volto del defunto Legrandin7, lo snob per eccellenza.

Una terra biblica

Proust, anche se battezzato, aveva origini ebraiche da parte della madre. La presenza di personaggi di origine ebraica nel romanzo è legata all’affaire Dreyfus, scoppiato in Francia nel 1894 e conclusosi nel 1906. Così come l’affare divise la società francese, anche nel romanzo gli strascichi del caso dividono i personaggi, tanto che il borghese ebreo parigino Albert Bloch, compagno e amico del narratore, ma poco apprezzato dai genitori di Marcel, evita di rivelare le sue origini ebraiche in pubblico. E quando fa il suo ingresso in una delle serate dell’aristocrazia francese, il narratore paragona il suo sentimento di esilio a quello dell’esodo del popolo ebraico dall’Egitto al deserto del Sinai8. Nell’ultimo volume, Proust usa una metafora che allude all’Egitto dell’Antico e del Nuovo Testamento, evocando il cambiamento di condizione della duchessa di Guermantes:

In realtà, lei, la sola d’un sangue davvero senza mescolanze, lei che, nata Guermantes, poteva firmarsi: “Guermantes-Guermantes”, quando non si firmava: “La duchessa di Guermantes”, lei che persino alle sue cognate appariva come qualcosa di più prezioso, una sorta di Mosè salvato dalle acque, di Cristo fuggito in Egitto, di Luigi XVII scampato al Temple, la purezza della purezza, adesso, obbedendo indubbiamente a quel bisogno ereditario di nutrimento spirituale che aveva provocato la decadenza sociale di Madame de Villeparisis, era diventata anche lei una Madame de Villeparisis9.

Oltre ai riferimenti all’antico Egitto, nel romanzo di Proust è presente anche l’Egitto contemporaneo, con il canale di Suez. Uno dei personaggi della Recheche che meglio illustra questo aspetto è il marchese di Norpois, diplomatico e controllore del debito in Egitto. Come altri personaggi del romanzo, il marchese acquista azioni nella Compagnia del Canale di Suez, società per azioni allora detenuta principalmente da britannici e francesi. Nella Recherche, l’egittomania si configura così come il riflesso di quanto stava accadendo in alcuni ambienti della società francese. Tuttavia, Proust sottolinea, alla sua maniera, come il dilagare di questa tendenza sia soprattutto dovuto a una moda passeggera e non una vera conoscenza della civiltà egiziana o della sua arte. È per questo che troviamo personaggi che non sembrano fare differenza tra arte egiziana, romana o qualsiasi arte antica, com’è evidente nel terzo volume, I Guermantes, quando la duchessa di Guermantes ricorda il suo gusto per l’arredamento in stile egiziano:

Confesso che lo stile Impero m’ha sempre impressionata. Ma là, dagli Iéna, è davvero come un’allucinazione. Questa specie, come spiegarvelo?, di... di riflusso della spedizione d’Egitto, e anche questo riaffiorare sino a noi dell’Antichità, ebbene, tutto ciò invade le nostre case, le Sfingi vengono a sdraiarsi ai piedi delle poltrone, i serpenti s’attorcigliano attorno ai candelabri, una Musa enorme vi tende una piccola fiaccola per giocare a carte, oppure si è arrampicata sul camino e se ne sta lì tranquilla, col gomito appoggiato alla pendola; e poi tutte quelle lampade pompeiane, quei lettini “a barca” che hanno l’aria d’esser stati trovati sul Nilo e dai quali ci si aspetta di veder uscire Mosè, quelle antiche quadrighe che galoppano sui tavolini da notte...10

1“Swann, di colpo, s’era sentito invaso da una massa enorme e infrangibile che premeva contro le pareti interne del suo essere sino a schiantarle: perché Odette, scrutandolo con uno sguardo sorridente e ironico, gli aveva detto: “Forcheville farà un bel viaggio, a Pentecoste. Va in Egitto”, e Swann aveva immediatamente capito che questa frase significava: “A Pentecoste andrò in Egitto con Forcheville”. E in effetti, se qualche giorno dopo Swann le diceva: “Dunque, a proposito di quel viaggio che mi hai detto che farai con Forcheville”, lei rispondeva sbadatamente: “Sì, tesoro, partiamo il 19, ti manderemo una veduta delle Piramidi”. Lui, allora, voleva scoprire se fosse l’amante di Forcheville, chiederlo a lei direttamente”. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto I. Dalla parte di Swann, trad. it. Giovanni Raboni, Milano, Mondadori, 1983.

2Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto VII. Il tempo ritrovato, trad. it. G. Raboni, Milano, 1983.

3Cfr. Catalogo della mostra Egittomania. L’Egitto nell’arte occidentale dal 1730 al 1930,1994, Museo Louvre.

4Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto III. La parte di Guermantes, trad. it. G. Raboni, Milano, 1983.

5È il conte Robert de Montesquiou, detto Quiou-quiou, mondanissimo poeta dandy. Nella Recherche, il barone Charlus. “Ci si può spiegare che uomini per altro abbastanza frivoli e oziosi avessero adottato “Quiou” per non perdere il loro tempo a dire “Montesquiou”. Marcel Proust, La parte di Guermantes, op. cit.

6“Ricordai con piacere, perché mi provava che a quel tempo ero già lo stesso e che si trattava d’un tratto fondamentale della mia natura, ma anche con tristezza, pensando che da allora non avevo fatto alcun progresso, come già a Combray io fermassi con attenzione davanti alla mente qualche immagine che aveva attratto con forza il mio sguardo, una nube, un triangolo, un campanile, un fiore, un sasso, sentendo che sotto quei segni c’era forse qualcosa d’affatto diverso che dovevo sforzarmi di scoprire, un pensiero di cui essi erano la traduzione, al modo di quei caratteri geroglifici che sembrano rappresentare soltanto oggetti materiali. Questa decifrazione era difficile, certo; ma era la sola che desse qualche verità da leggere”. Marcel Proust, Il tempo ritrovato, op. cit.

7“Se certe donne dichiaravano la propria vecchiezza truccandosi, essa era resa invece evidente dall’assenza di trucco in certi uomini sul cui viso non l’avevo mai espressamente notato e che mi sembravano tuttavia assai cambiati da quando, scoraggiati nello sforzo di piacere, avevano smesso d’usarlo. Fra questi c’era Legrandin. L’eliminazione del rosa, che non avevo mai supposto artificiale, dalle sue labbra e dalle sue gote dava al suo viso l’apparenza grigiastra e anche la precisione scultorea della pietra, scolpiva i suoi lineamenti allungati e tetri come quelli di certi dèi egizi. Dèi; o, piuttosto, fantasmi”. Marcel Proust, Il tempo ritrovato, op. cit.

8“Perdonatemi, signore, se non discuto con voi dell’affare Dreyfus; ne parlo, per principio, solo con discendenti di Iafet”. Tutti sorrisero, tranne Bloch; non che non avesse egli stesso l’abitudine d’ironizzare sulle proprie origini ebraiche, su quanto, in lui, aveva a che fare col Sinai. Marcel Proust, La parte di Guermantes, op. cit.

9Marcel Proust, Il tempo ritrovato, op. cit.

10Marcel Proust, La parte di Guermantes, op. cit.