Inchiesta

La lotta al terrorismo deviata a favore della «diplomazia delle armi».

Il sito investigativo Disclose ha rivelato centinaia di documenti classificati come “top secret”. Les mémos de la terreur (“I promemoria del terrore”) è l’inchiesta che dimostra il coinvolgimento della Francia nelle esecuzioni extragiudiziali di centinaia di civili, compiute in nome della lotta al terrorismo rivendicata dal regime egiziano.

Disclose

Né io, né le persone che conosco che possono aver contribuito a questa diffusione d’informazioni siamo oppositori politici, attivisti antirepubblicani o antifrancesi, o al servizio di qualche potenza straniera. Anzi, è proprio il contrario.

Si apre con questo messaggio inviato dalla fonte, all’origine di questo scandalo di stato, ai giornalisti di Disclose, il documentario del programma “Complément d’Enquête” andato in onda giovedì 25 novembre sul canale France 2. Il media investigativo online che ha avuto accesso a centinaia di documenti classificati come “top secret” ci rivela come un’operazione militare franco-egiziana sia diventata una campagna di esecuzioni sommarie. Il sito aveva iniziato a pubblicare qualche giorno prima un’inchiesta poi andata in onda in cinque puntate tra il 21 e il 26 novembre1.

“Ciò che ha rotto il silenzio”, continua la fonte, “è stata la deriva della condotta politico-militare francese che va ad intaccare profondamente i valori per cui gli uomini e le donne sono al servizio della Francia”.

Operazione Sirli

Una deriva che inizia nel 2016, nel quadro di una missione segreta. Nome in codice: Sirli. Base operativa: la regione di Marsa Matrouh, nel nord-ovest dell’Egitto. Obiettivo: mettere in sicurezza i 1.200 chilometri di confine con la Libia, sprofondata nel caos securitario, contro l’intrusione di gruppi terroristici sul territorio egiziano

È questo il motivo per cui la Francia invia dieci agenti della Direzione dell’intelligence militare (DRM). Quattro uomini in servizio e sei ex militari riconvertiti nel settore privato che sbarcano in segreto, sotto la copertura di un visto turistico, all’aeroporto del Cairo, prima di essere scortati in autobus al posto di comando dell’operazione. Da lì, vengono poi incaricati di pilotare un velivolo ad elica da ricognizione per perlustrare l’immenso deserto libico-nubiano che si estende dal Nilo fino al confine con la Libia.

Tutte le conversazioni telefoniche che vengono intercettate in diretta sono trasmesse all’intelligence militare egiziana. È una sorveglianza aerea che dovrebbe permettere d’identificare possibili gruppi terroristici in transito sulla regione. Ma ben presto, gli agenti francesi cominciano ad avere dubbi sui loro partner egiziani. Così cercano di informare i vertici francesi. Disclose rivela una prima nota inviata nell’aprile 2016, appena due mesi dopo l’inizio dell’operazione Sirli. Nel documento, estrapolato da un rapporto del DRM, si legge che l’esercito egiziano ha intenzione di “guidare le azioni dirette contro i trafficanti”.

Le note inviate all’indirizzo del capo di stato maggiore s’intensificano man mano che si rafforzano i sospetti degli agenti impiegati nella missione. I dati forniti dagli agenti francesi vengono utilizzati in tempo reale dall’aeronautica militare egiziana, che effettua “un puntamento dinamico” contro i fuoristrada dei contrabbandieri. In altre parole, si tratta di bombardamenti aerei contro civili che stanno trafficando sia prodotti inoffensivi (riso o cosmetici) sia beni più illeciti come animali, sigarette, o perfino molto illeciti, come armi, droga o esseri umani. Raid punitivi fuori da ogni quadro giuridico. Però Christophe Gomart, direttore del DRM fino al 2017, smentisce. Secondo le sue dichiarazioni riportate da Disclose, i servizi d’intelligence non hanno “mai fornito alcun dato utile, per quanto [lui] sappia, per andare a colpire civili o giustiziare qualcuno”.

Eppure, Disclose ha accertato, alla luce di questa fuga di documenti, che, il 22 settembre 2016, sono stati otto i veicoli colpiti. In tutto, la Francia sarebbe coinvolta in 19 attacchi contro la popolazione civile tra il 2016 e il 2018, che hanno causato la morte di centinaia di civili. Appare ben lontana la lotta al terrorismo. Una minaccia volutamente sopravvalutata dal Cairo, come spiega a Disclose il ricercatore Jalel Harchaoui.

C’è di peggio, anche la Francia potrebbe essere coinvolta in questi veri e propri abusi dei raid aerei egiziani. Il 5 luglio 2017, nella zona di sorveglianza dell’operazione Sirli, un bombardamento colpisce Ahmed El-Fiki, un ingegnere del Cairo che lavorava da tempo nella regione, e due suoi colleghi che muoiono sul colpo..

«Crimini di Stato»

Di fronte a queste gravi violazioni, gli agenti francesi chiedono che l’operazione sia tenuta sotto controllo. Ma i loro appelli restano inascoltati non solo da parte dei vertici militari, ma anche dall’Eliseo che viene informato alla vigilia del viaggio di Emmanuel Macron in Egitto a inizio 2019. Davanti alle telecamere di “Complément d’enquête”, Agnès Callamard, ex relatrice speciale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie definisce tali reati dei “crimini di stato”. Per la complicità della Francia si aprirà un processo davanti a un tribunale francese o europeo, spiega l’esperta, oggi segretario generale di Amnesty International.

Ma se le autorità francesi fanno orecchie da mercante è perché le loro priorità sono altre. Da quando il maresciallo Abdel Fattah al-Sisi ha preso il potere con un golpe militare il 3 luglio 2013, la Francia vuole introdursi sul mercato della vendita di armi all’Egitto. L’occasione capita al momento giusto. Nell’agosto del 2013, all’indomani del massacro di piazza Rabaa Al-Adawiya in cui le forze dell’ordine egiziane avevano ucciso quasi un migliaio di pacifici manifestanti ammassati intorno a questa rotonda nell’est del Cairo per chiedere il ritorno del presidente deposto Mohamed Morsi, il presidente americano Barack Obama annuncia la sospensione degli aiuti militari da parte del suo paese. Aderiscono alla proposta degli Stati Uniti anche la Francia e tutti i paesi europei, congelando le esportazioni di materiale d’armamento utile alla repressione.

Ebbene, a meno di tre mesi da questo bagno di sangue, “il peggiore omicidio di massa della storia moderna dell’Egitto” secondo l’organizzazione Human Rights Watch, una nota dello Stato maggiore delle forze armate svela le reali intenzioni di Parigi. “Il Ministero della Difesa [egiziano], forte di un’autonomia finanziaria stimata in oltre dieci miliardi di euro […] mira nell’immediato a modernizzare sia gli impianti che le infrastrutture possibilmente prima che un nuovo potere democratico chieda di renderne conto”, sottolinea un documento reso noto da Disclose. La Francia è pronta a sostenere la giunta militare alla guida dello Stato egiziano.

Dei caccia Rafale a spese dei diritti umani

Mentre in Egitto si intensifica la repressione contro ogni forma d’opposizione, nel settembre 2014 ha luogo un primo incontro tra Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa di François Hollande, e il presidente al-Sisi. Da quel momento, iniziano a fioccare i contratti. L’Egitto acquista quattro corvette dal costruttore Naval Group; poi, a inizio 2015, un lotto di 400 missili dagli industriali Safran e MBDA. E soprattutto, acquista 24 caccia militari Rafale della Dassault Aviation. L’operazione frutta ai produttori francesi un ammontare complessivo di 6,2 miliardi di euro. Nel giro di pochi mesi, il regime di Al-Sisi sale al terzo posto tra i clienti per la vendita di armi francese, dietro Arabia Saudita e India, secondo la classificazione dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI).

Con il pretesto della lotta al terrorismo, “Parigi approva i toni ideologici del presidente al-Sisi”, sostiene Jalel Harchaoui, intervistato nel documentario di “Complément d’études”. “Ovviamente, tutto ciò ha a che fare con la vendita delle armi, perché se non ci fosse quest’ossessione autoritaria, non ci sarebbe ossessione per la sicurezza e quindi non ci sarebbe la possibilità di vendere armi”, insiste questo esperto associato alla Global Iniziative against Transnational Organised Crime, una ONG con sede a Ginevra.

È una “diplomazia delle armi”2 pilotata dalla Difesa francese, che relega in secondo piano l’intelligence del Ministero degli Affari Esteri. Nel 2016, per ben due volte viene bypassata la sua opposizione, giustificata dai rischi dell’impiego di attrezzature militari a fini repressivi contro la popolazione, per convalidare l’invio di veicoli blindati Titus e Bastion.

Da un presidente all’altro, la partnership strategica tra Francia ed Egitto è andata avanti. Il suo grande artefice, Jean-Yves Le Drian, è stato promosso ministro degli Esteri dopo aver ricoperto la carica di ministro della Difesa, favorendo in questo contesto la cooperazione con l’Egitto. Subito dopo l’elezione di Emmanuel Macron, il ministro è stato in visita al Cairo per l’ottava volta, rassicurando i suoi interlocutori che avrebbe continuato a seguire la questione della vendita di armi.

Nel maggio 2021, dopo altre rivelazioni di Disclose, l’Egitto ha formalizzato l’acquisto, grazie a un prestito fino all’85% garantito dalla Francia, di 30 caccia bombardieri Rafale per un importo totale di 3,95 miliardi di euro. Il Cairo è ora il secondo cliente per le aziende di produzione francesi.

Quando Parigi sostiene la répressione

Per loro, la manna egiziana non finisce qui. Disclose ha inoltre scoperto l’esistenza di un massiccio sistema di cyber-sorveglianza installato da tre società della Francia continentale in Egitto con il tacito accordo delle autorità francesi. A partire dal 2014, la Nexa Technologies, l’Ercom-Suneris, che nel 2019 è diventata una controllata di Thalès di cui lo Stato è azionista al 25%, e la Dassault Sistèmes hanno fornito, per conto dell’intelligence militare egiziana, dei sistemi altamente sofisticati in grado di monitorare la sorveglianza Internet, le intercettazioni telefoniche, le geolocalizzazioni in tempo reale e l’elaborazione dei dati raccolti.

Una “sorveglianza made in France” utilizzata dal regime per rafforzare il suo controllo sulla società egiziana. Più di 60.000 prigionieri di coscienza sono già finiti dietro le sbarre. Attivisti per i diritti umani, avvocati, giornalisti, oppositori politici, ma anche omosessuali o utenti della piattaforma di condivisione video TikTok, chiunque esca dai ranghi tracciati dal potere militare può finire in carcere.

Oltre a facilitare gli abusi commessi contro la popolazione, si tratta di una tecnologia che potrebbe essere utilizzata anche per operazioni di spionaggio per conto di vari servizi d’intelligence. È una dittatura molto opaca, secondo l’opinione di Rami Raouf, un ricercatore egiziano specializzato in questioni di privacy online e cybersicurezza.

“Non ho mai visto una repressione così violenta”, denuncia al microfono di France 2 Gamal Eid, avvocato difensore dei diritti umani che esercita da più di trent’anni. “La Francia si comporta da nemica della democrazia”, continua il direttore della Rete araba per l’informazione sui diritti umani (ANHRI). “Gli egiziani amavano la Francia, ma oggi il paese appoggia la dittatura. I cittadini francesi devono fare pressione sul loro governo. Per noi è già abbastanza difficile dover lottare qui contro un dittatore, senza dover combattere anche contro i suoi alleati all’estero”.

Si mostra scettico anche l’attivista Mohamed Lotfy. Il direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà trova scioccante il “coinvolgimento logistico dello Stato francese in gravissime violazioni dei diritti umani”. “Il presidente Macron deve rivedere quest’accordo. Come alleato del popolo egiziano, prima che del governo, bisogna mettere fine a tutto ciò”, invoca. Mohamed Lotfy chiede inoltre l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente da parte delle Nazioni Unite, “a nome degli egiziani che hanno pagato a carissimo prezzo questa cooperazione”.

In Francia, i deputati di France Insoumise (LFI) hanno annunciato di voler chiedere l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta all’Assemblea nazionale, per “far luce sull’operazione Sirli, ma anche sul legame esistente tra quest’ultima e la vendita di armi della Francia all’Egitto”, come confermato da Amnesty International in un comunicato. L’organizzazione in difesa dei diritti umani chiede inoltre l’istituzione di un controllo parlamentare sulle esportazioni di armi. Alla fine del 2020, una relazione parlamentare in favore di tale controllo ha ricevuto il rifiuto del Segretariato generale per la difesa e la sicurezza nazionale (SGDSN), responsabile delle esportazioni di armi.

Il segreto militare contro la démocrazia

Nel programma “Complément d’Investigation”, il deputato Sébastien Nadot, ex-La République En Marche (LaREM), ha annunciato di voler far ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Alla domanda di una giornalista del sito di news online Médiapart sulle possibili dimissioni del ministro degli Esteri, artefice della collaborazione tra Francia ed Egitto, ha risposto: “Se Jean-Yves Le Drian ha un po’ di rispetto per la Repubblica che dovrebbe servire, penso che sia il minimo che si possa fare”.

Ma anche dopo le rivelazioni di Disclose, i dirigenti francesi ed egiziani restano fermi sulle proprie posizioni. Nessun dubbio in merito a questa collaborazione strategica. La ministra delle Forze Armate Florence Parly ha sollecitato un’inchiesta volta in primis a determinare l’identità della fonte al centro di questa vicenda di Stato. “Sarà fatta giustizia in maniera tempestiva” per quanto riguarda questo punto, ha spiegato il portavoce del governo Gabriel Attal. Vale a dire, la “palese violazione del segreto militare”. Ha poi aggiunto che quest’inchiesta consentirà anche “di verificare che le regole fissate per questa cooperazione in materia d’intelligence e le misure che erano state prese per la loro applicazione siano state realmente attuate”.

In Egitto, dove l’accesso a Disclose è stato bloccato dalle autorità, c’è stato un silenzio radio. “Tutta la redazione ha ricevuto telefonate che esortavano a non insabbiare quelle rivelazioni”, secondo la testimonianza anonima di un giornalista egiziano. Secondo il sito, la missione franco-egiziana Sirli sarebbe tuttora in corso nel deserto egiziano al confine con la Libia.