“Nelle famiglie arabe l’eredità più antica è il silenzio. Il silenzio sulla sessualità, sull’evoluzione del genere e delle loro espressioni”. Le parole di Haifa, libraia a Parigi, mi toccano particolarmente mentre le faccio vedere This Arab is Queer, il libro che ho sul comodino in questo momento. Il silenzio che evoca è l’eco perversa della tradizione che ingabbia, di un patriarcato che sopravvive e di un doppio gioco dovuto tra l’intimo trasgressivo e la norma che incatena.
È ciò di cui parlano 17 storie che potremmo definire testimonianze d’autore e d’autrice queer di Egitto, Giordania, Libano e Palestina, di Somalia e Sudan e degli Emirati Arabi Uniti nel libro This Arab is Queer. Questa antologia, costruita dal giornalista e autore palestino-libano-australiano Elias Jahshan, è un patchwork di stili letterari, storie, toni e concettualizzazioni delle esistenze queer della diaspora araba. Ma passare dall’ombra alla luce, è il loro obiettivo comune.
Tra malizia e drammi familiari
La scrittrice e militante egiziana-statunistense Mona El-Tahtawy ripercorre i passi della sua bisessualità. Il giordano Khalid Abdelhadi ricorda le difficoltà della censura che ha attraversato il suo giornale online MyKali, mentre l’attivista nera somala, yemenita ed emiratina Amna Ali descrive la costruzione della sua identità queer, molto toccata dal dramma di Sarah Hegazy.
L’orientalismo, la vittimizzazione o la feticizzazione che marcano così frequentemente il concetto di identità queer nel mondo arabo sono liberate da storie talvolta tragiche, come quella dell’autore iracheno-canadese Hassan Nami sulla sua adolescenza ingabbiata nel conservatorismo sciita, o talvolta rivisitate con un pizzico di malizia come “Cacciatori di trofei, salvatori bianchi e Grindr”1, capitolo dal titolo evocativo del designer e comico emiratino Saeed Kayyani.
Al cuore dell’opera, un desiderio nevralgico di riappropriarsi delle rappresentazioni delle soggettività coinvolte. Ad esempio, la famiglia è spesso rappresentata come castrante negli scritti occidentali sulle identità arabe queer. In molti contributi invece, le autrici e gli autori alzano il velo su questa relazione, che può essere tanto tossica quanto amorosa. L’attivista libanese queer Raja Farah racconta una storia d’amore lasciata in sospeso, contestualmente al dolore fisico di suo padre in una complessa struttura fatti di nodi, tanto invasivi quanto confortanti, lontani quindi dalle analisi culturaliste e tradizionali dell’Oriente fatte in Occidente.
Il linguaggio è altrettanto centrale, dal momento che l’arabo è per eccellenza una lingua di poesia e di emozioni. In questo libro, la lingua non rifiuta alcuna apparizione, scivolando tanto nelle espressioni trascritte degli autori e delle autrici, quanto nelle interiezioni ed espressioni che punteggiano l’opera. Il testo ne risulta più vero, gli stili più brutali e capaci di gettarci sin dalle prime righe nella profondità dell’intimo che guida la lettura.
Risposte alle campagne Lgbtq-fobiche
Nel giugno 2022, la campagna sui social network #Fetrah (inclinazione naturale), lanciata in opposizione al mese del Pride, ha imposto una visione LGBTQI-fobica della società araba schiacciata sul binarismo di genere. Nata in Egitto e rapidamente diffusa in tutto il Medio Oriente, ha causato episodi di cyber bullismo, molestie e violenze fisiche contro persone della comunità LGBTQI+, diffondendo sui social la dicotomia di genere e due colori: il rosa o il blu. Molt* attivist* arab* e queer hanno risposto a questa iniziativa con una contro-campagna satirica attraverso l’account Instagram @lgbt_arabic, proponendo una lista di tipi di fitr (funghi), giocando sulla prossimità linguistica con la parola fetrah.
This Arab Is Queer arriva dunque al momento giusto, con la sua copertina color arcobaleno che allinea due parole – “arabo” e “queer” – descritte come antitetiche da quella stessa campagna, e proponendo testi impegnati. I testi che questo libro propone rappresentano anche elementi linguistici utili per rispondere all’assenza di persone queer musulman* e arab* che la campagna #Fetrah suggeriva.
Poiché la sessualità è politica, le autrici del libro non esitano a portarci più vicino alle loro relazioni sessuali, seguendo il modello del coming out femminista e queer, come fece Mona El-Tahtawy dopo la rivoluzione contro Mubarak nel 2011; o del razzismo interiorizzato di Tania Safi, che descrive i suoi racconti sessuali in Australia come motivati dal suo essere araba.
I percorsi descritti in This Arab is Queer sono talvolta oscuri, feriti, sanguinanti. Ma gli autori e le autrici hanno il desiderio di condividerli per scriverne di nuovi. Per citare il poeta australiano di origini libanesi e turche Omar Sakr: “Tu hai detto trauma, io ho sentito umma”.
L’uscita di un’opera simile non può che provocare una forte emozione e, soprattutto, gioia.
1Grindr è una piattaforma di incontri per persone gay, bisessuali, transessuali e queer, utilizzata in tutto il mondo.