“Nefertiti vuole tornare a casa”

Realizzato intorno al 1340 a.C., negli anni ultimi del regno del faraone Akhenaton, il busto di Nefertiti è senza dubbio uno dei capolavori più affascinanti della ritrattistica dell’antico Egitto. Scoperta insieme a una serie di reperti archeologici nel 1912, la scultura raffigurante la regina egizia fu esposta per la prima volta a Berlino nel 1913, scatenando un vero e proprio terremoto. Resta aperta però la spinosa questione sulla legittima proprietà dei manufatti trafugati sotto il dominio straniero.

Agence Rol, “Testa della statua della regina Nefertiti”, 1923
Biblioteca nazionale di Francia - gallica.bnf.fr

Come ogni studente che ha frequentato la scuola francese – nel mio caso, al Cairo – anch’io ho scoperto e ammirato sui libri di storia, nel capitolo dedicato all’Egitto dei faraoni, il busto della regina Nefertiti, insieme alle statue di suo marito il faraone Amenofi IV, più conosciuto con il nome di Akhenaton, fondatore del culto monoteistico di Aton, il Dio-sole.

Come ogni studente cresciuto in Egitto, ho provato una sensazione di frustrazione per essere stato privato di quei reperti da una spedizione tedesca che li aveva esportati a Berlino alla vigilia della Prima guerra mondiale. Uno dei francobolli della mia collezione, stampato il 15 ottobre 1956 (nel riquadro in basso), recava impresso il ritratto della regina per attestare la sua ascendenza egiziana. Non a caso, il francobollo successivo della serie, stampato nel dicembre 1956, celebrava la resistenza della popolazione di Port Said di fronte all’occupazione militare da parte di Francia, Regno Unito e Israele, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez.

Per aggiungere fascino alla leggenda, sfogliando la serie a fumetti dal titolo Il mistero della grande piramide1, mi appassionavo alle avventure del capitano Blake e del professor Mortimer, alle prese con la ricerca della tomba e del tesoro nascosto di Akhenaton. La tomba era stata sepolta in segreto da due fedeli al culto di Aton per evitare la profanazione della sua mummia ordinata dal giovanissimo figlio Tutankhamon e dai suoi successori intenzionati, su pressione dei sacerdoti di Amon, a cancellare e distruggere ogni bassorilievo o statua, proibendo così ogni possibile richiamo al padre eretico.

Inviato a Berlino nel 1913, il busto di Nefertiti rimase nella capitale tedesca, attraversando le vicissitudini di due guerre mondiali. Spesso esposta, talvolta nascosta, la storia del busto è emblematica, non solo per le sorti dei reperti archeologici trafugati – altri sostengono rubati – dagli archeologi scavando nel sottosuolo straniero nel corso delle spedizioni, ma anche sul terremoto che questi reperti potrebbero ancora provocare, anche a distanza di secoli e a migliaia di chilometri di distanza.

A chi appartengono le opere d’arte?

Mi è tornata in mente questa storia ascoltando le lezioni tenute al Collège de France da Bénédicte Savoy, docente di Storia dell’arte all’Università tecnica di Berlino, sul tema della bellezza2. L’argomento della lezione era la favolosa epopea degli oggetti d’arte e dei dipinti nel corso delle epoche, dai due bronzi raffiguranti un topo e un coniglio trafugati durante il saccheggio del Palazzo d’Estate di Pechino nel 1860 al trono del regno di Bamoun (Camerun), dono al Kaiser Guglielmo II nel 1908, fino al busto di Nefertiti. Un’epopea che fa riemergere la spinosa questione della proprietà delle opere d’arte, molte delle quali non provenivano però dalle colonie – come il famoso quadro L’insegna di Gersaint, dipinto da Antoine Watteau nel XVIII secolo, e conservato a Berlino. La decisione della Germania e del Metropolitan Museum of Art di New York di restituire alla Nigeria i cosiddetti “bronzi del Benin”, dopo il saccheggio britannico nel 1897, ha suscitato unanime consenso fino a quando non è stata resa nota la decisione del presidente nigeriano Buhari di donare il risarcimento ai... diretti discendenti della famiglia reale a cui erano stati rubati e non al governo centrale3.

Ma torniamo a Nefertiti e Akhenaton. Siamo nel 1912, una missione di archeologi tedeschi guidata da Ludwig Borchardt è impegnata da un anno in una campagna di scavi nella località di Tell el-Amarna, nel Medio Egitto, dove era stata costruita la nuova capitale in onore del dio Aton in sostituzione di Tebe dove era venerato Amon. L’Egitto è sotto l’occupazione degli inglesi, ma la Francia, erede della campagna d’Egitto di Napoleone Bonaparte, può vantare il diritto esclusivo su tutto il “sottosuolo”, cioè sui reperti archeologici di migliaia di anni di civiltà sepolti sotto la sabbia. Il direttore del Servizio egiziano delle antichità archeologiche è il francese Gaston Maspero che decide in totale autonomia di concedere i permessi di scavo oltre a “distribuire” i ritrovamenti: l’accordo è che metà deve rimanere in Egitto, il resto alla spedizione che ha effettuato la scoperta.

All’inizio del XX secolo, Maspero, preoccupato per le grandi opere “in superficie” intraprese dagli inglesi (costruzione di dighe, sistemi di irrigazione, ecc.) che minacciano di inondare e distruggere ciò che si trova “nel sottosuolo”, concede con grande magnanimità dei permessi di esumazione e trasferimento all’estero. È ancora lo stesso Maspero a scrivere: “Introdotta vent’anni fa nel sistema di irrigazione, la riforma ha restituito alla coltivazione grandi distese di terra rimaste aride per secoli, impregnando gli oggetti che vi erano racchiusi”4. E invoca “una partecipazione in massa degli studiosi”. È per questo che occorre essere di manica larga con loro, a patto però che gli scavi siano effettuati per conto di accademie, università o governi stranieri, il che esclude... gli egiziani che non sono indipendenti, né hanno università “moderne” con dipartimenti di egittologia.

Bufera su Berlino

Nel dicembre 1912, Borchardt scopre lo studio dello scultore egizio Thutmose, dove sono raccolte statue, sculture, schizzi e un’intera serie di capolavori fin lì sconosciuti, appartenenti a quella che verrà definita arte amarniana, dal nome di Tell el-Amarna. Nonostante il grande fascino che già esercita, scrive Savoy, il “monoteismo radicale di Akhenaton, la vicinanza del suo linguaggio religioso a quello dell’Antico Testamento, e più in generale la sorprendente affinità dell’antico Egitto con il mondo biblico”, non si conosce quasi nulla di quest’arte, considerata al più come “grottesca”, “caricaturale”, “buffa”, nonché lontanissima dalle rappresentazioni associate all’Egitto dei faraoni. Tra i reperti ritrovati ce n’è uno che però avrà fama mondiale: il busto policromo in pietra calcarea e stucco della regina Nefertiti, moglie del faraone Akhenaton.

Borchardt ottiene il diritto di trasferire i reperti archeologici ritrovati in Germania. È così che l’archeologo riesce a far passare il busto di nascosto senza dichiararlo. Il 5 novembre 1913, nel Museo egizio di Berlino, viene inaugurata una mostra speciale dedicata ad Amarna con tutti i ritrovamenti degli scavi, fuorché il busto di Nefertiti. Il timore dell’archeologo è che Parigi scopra la poca “trasparenza” delle sue dichiarazioni.

Nel frattempo, il 20 settembre 1913, la vivace capitale tedesca, vero e proprio centro della creazione europea, del modernismo, del femminismo, del movimento operaio e del... tango, le cui calde notti accolgono ricchi turisti provenienti da tutto il continente, ospita una grande mostra d’arte contemporanea dal titolo “Der Sturm” (La Tempesta), che presenta la grande rivoluzione operata dal cubismo, dall’espressionismo, dal futurismo, da artisti come Max Ernst, Paul Klee, Marc Chagall e Francis Picabia.

“In quel momento avviene”, spiega Savoy,

Qualcosa che non era mai avvenuto prima nella storia dell’egittologia e dell’appropriazione collettiva delle culture straniere da parte dell’Occidente: non è la comunità scientifica internazionale la prima a comprendere l’enorme importanza dei reperti esposti, ma un pubblico molto eterogeneo di appassionati non specialisti. È irrilevante che Borchardt sia riuscito a non esporre il busto colorato di Nefertiti: è il pubblico berlinese ad essere entusiasta dell’arte di Amarna.

L’incontro inatteso tra due civiltà separate da tremila anni e migliaia di chilometri infiamma il pubblico, affascinato dalle analogie tra il mondo di ieri e quello di oggi, tra i busti di Akhenaton e la scultura d’avanguardia. Un critico tedesco arriva al punto di lodare Thutmose come “il più grande artista mai esistito, il più contemporaneo di tutti noi, molto più degli espressionisti".

Analogie tra il poeta Rilke e Akhenaton

Adolf Behne, un altro giovane critico, pubblica sul Dresdener Neueste Nachrichten un articolo che riassume il terremoto scatenato in Germania:

Ai nomi più gloriosi della storia dell’arte, dovremo ora aggiungerne un altro: quello dello scultore Thutmose! Per una volta, non si tratta di un modernista, non è un giovane pronto a sconvolgere tutto ciò che sto cercando di portare alla massima espressione![...] Thutmose si presenta [...] a noi con una tale immediatezza da fare impressione! [...] La prima e più forte sensazione che si prova di fronte alle sue creazioni è lo stupore: risale davvero all’epoca egiziana ciò che abbiamo davanti agli occhi? Ignoro del tutto le strane analogie con l’arte contemporanea, che però ritornano di continuo – ci sono teste scolpite che d’impulso immaginiamo vengano da altri ambienti, da opere funerarie gotiche. Ci sono altre teste scolpite con un realismo talmente esibito che, a dire il vero, ci fa pensare più a scultori come Meunier o Rodin che all’arte egiziana o Amenofi IV!

Les Cahiers socialistes accenna a queste teste identiche alle “nostre”, e in cui ogni operaio può riconoscersi. Saranno molti gli scrittori che ne scriveranno, a partire da Thomas Mann che vedrà in Akhenaton l’incarnazione del dandy di fine secolo. Il grande poeta Rainer Maria Rilke, ex segretario di Auguste Rodin, lo celebrerà nei suoi versi; la sua amica, la letterata tedesca di origine russa Lou Andreas-Salomé, gli scriverà: “Avrai sicuramente notato anche tu la tua grande somiglianza” con quei busti?

Nel 1914 però scoppia la guerra che spazza via un’intera epoca, facendo crollare tre imperi secolari: l’Impero austro-ungarico, quello ottomano e la Russia zarista. Il direttore che ha sostituito Maspero al Cairo, Pierre Lacau, viene chiamato alle armi, vivendo per quasi due anni nei pressi di Verdun, con l’incarico di recuperare i cadaveri. In lui resta un odio feroce per i “crucchi”5 tanto che al suo ritorno in Egitto, ha una sola ossessione: impedire ai tedeschi di tornare a scavare a Tell el-Amarna, cercando di ottenere la “restituzione” dei reperti ritrovati, tra cui il busto di Nefertiti. Pur riconoscendo la legittimità di quell’operazione e di non avere “armi giuridiche”, Lacau dichiara però di poter far leva su “armi morali”, il che non è del tutto falso, dal momento che l’esportazione dei reperti archeologici è avvenuta occultando il reale valore delle opere. Borchardt ha in realtà raggirato intenzionalmente il Servizio di egittologia mostrando una foto, come scrive lui stesso, “in modo da non rendere visibile tutta la bellezza del busto”6. Una delle conseguenze indirette della disputa è che Lacau si dimostrerà contrario all’invio all’estero dei tesori di Tutankhamon, la cui tomba era stata scoperta da Howard Carter nel 1922.

Nel 1922, la disputa si sposta progressivamente sull’indipendenza dell’Egitto. Ora è compito del governo del Cairo tentare di riportare a casa Nefertiti. Per migliorare le proprie relazioni con il mondo arabo, la Germania di Weimar conclude un accordo con l’Egitto che va in questa direzione, ma sarà Hitler a sconfessare gli impegni presi. Dopo essere stati custoditi in caveau e bunker antiaerei durante la Seconda guerra mondiale, i tesori di Tell el-Amarna verranno esposti al Neues Museum di Berlino. Da allora, periodicamente, riaffiora la questione della restituzione delle opere, che rientra in un dibattito più ampio che va avanti da diversi decenni. Nei primi anni 2000, la Germania pubblica un francobollo con l’effigie stilizzata di Nefertiti con la dicitura “Berlino”, quasi a voler rimarcare l’appropriazione dell’opera da parte di molti tedeschi dopo lo shock del 1913. Un’appropriazione che una parte della società rifiuta, sostenendo, come recita il titolo di un libro uscito di recente: “Nefertiti vuole tornare a casa”.

1Le Mystère de la grande pyramide), pubblicato su tavole settimanali sul Le Journal de Tintin è il secondo racconto della serie a fumetti dedicata a Blake e Mortimer, scritto e disegnato da Edgar P. Jacobs. [NdT].

3Axel Marshall, “Who Owns the Benin Bronzes? The Answer Just Got More Complicated”, The New York Times, 5 giugno 2023.

4Bénédicte Savoy, Néfertiti and co. à Berlin, 1913-1925, Ausonius éditions, 2015. Salvo diversa indicazione, le citazioni sono tratte dal testo o dalla conferenza tenuta al Collège de France il 26 aprile 2017.

5In francese “boches”, termine dispregiativo dell’argot popolare francese usato per designare i soldati tedeschi durante la guerra franco-prussiana del 1870 e poi utilizzato più in generale da francesi, belgi e lussemburghesi a partire dalla Prima guerra mondiale fino alla Seconda.[Ndr].

6Stephanie Pearson, “Buste de Néfertiti à Berlin”, Site Berlin Poche.