La scena si ripete, continuamente. Venerdì 25 giugno 2021 alla Kasbah, Hasna Ben Slimane, la portavoce del governo, è seduta alla sua scrivania. Con voce monocorde e in un arabo letterario e burocratico che non dice nulla sulla gravità della situazione, la portavoce ricorda i provvedimenti ancora in corso e farfuglia su quelli che entreranno in vigore nelle prossime due settimane, alla luce delle nuove allarmanti cifre rese note dal ministero della Salute. È stato decretato un lockdown generale nei quattro governatorati dove l’incidenza ha superato la soglia dei 400 casi ogni 100.000 abitanti.
Una settimana più tardi, è toccato alla metà dei governatorati del paese. Il coprifuoco è stato anticipato alle 20 anziché alle 22. I governatori dell’area metropolitana di Tunisi («Grande Tunisi») hanno vietato l’ingresso e l’uscita dalla regione, salvo casi di forza maggiore. Rimarranno lettera morta senza applicazione pratica.
Era da un bel po’ che i provvedimenti decretati dal governo non cadevano nel vuoto. Caffè affollati, mancato rispetto dell’obbligo di indossare la mascherina o di osservare il distanziamento, matrimoni, assembramenti... Sono pochi quelli che rispettano le disposizioni, anche quelli che se lo potrebbero permettere. Per giustificare la palese assenza di sanzioni, Hasna Ben Slimane taglia corto: “Lo Stato non può mettere un poliziotto per ogni cittadino”. Una retorica difensiva, che oscilla tra la responsabilità individuale e la confutazione di ogni “eccezione tunisina” in questa crisi sanitaria globale.
UN RECORD MOLTO TRISTE
Eppure, il bilancio è più preoccupante che mai. Il numero dei morti ha superato quota 15.000, facendo della Tunisia il primo Paese africano per numero di decessi per milione di abitanti (secondo i dati ufficiali). Il tasso d’occupazione dei posti letti negli ospedali è vicino al 100% a livello nazionale e lo supera in alcune regioni. “Siamo oltre la medicina delle catastrofi”, mette in guardia Ahlem Belhaj, segretario generale del sindacato dei medici, dentisti e farmacisti ospedalieri al microfono di una radio nazionale.
A completare il quadro, la percentuale dei test positivi che supera il 35% in un Paese dove il costo del test PCR nel settore privato (170 dinari, equivalenti a 51 euro) è a carico del cittadino, limitando di fatto lo screening su larga scala. Ma soprattutto è stata ormai confermata la presenza della variante Delta. E quando il consiglio scientifico ha dichiarato che solo un lockdown generale di sei settimane avrebbe potuto allentare la tensione, Nissaf Ben Alaya, portavoce del ministero della Salute, ha risposto timidamente che lo Stato non ha i mezzi per pagare gli aiuti alla popolazione, sottolineando la crisi economica che affligge la Tunisia, dove 1,5 milioni di persone lavorano nel settore informale, quasi metà della popolazione attiva.
La pandemia ha anche messo a nudo la mancanza di infrastrutture mediche e risorse umane. Ogni anno lasciano il paese tra i 700 e gli 800 medici, diretti soprattutto in Francia o Germania, e il numero non fa che aumentare. I medici di terapia intensiva, indispensabili in questo momento, sono 160 nel settore pubblico, 250 nel privato… e 500 all’estero.
LE REGIONI COLPITE
All’ospedale regionale di Nabeul, che accoglie tutti i pazienti della regione di Capo Bon (nord-est), le camere con due posti letto ospitano attualmente cinque o sei pazienti, spesso due per letto. Negli ambulatori, i pazienti affetti da coronavirus si affiancano, per mancanza di spazio, a chi è lì per altre emergenze. I bagni o le stanze dei medici di guardia e degli infermieri sono ora locali adibiti alle cure. Vedere due pazienti con insufficienza respiratoria condividere una maschera di ossigeno in un corridoio d’ospedale è diventata una triste realtà. Quanto al personale medico e paramedico, è stremato e lavora sette giorni su sette.
Nella conferenza stampa del 22 giugno, il ministro della Salute Faouzi Mehdi ha imputato la situazione estremamente critica in alcune regioni a “un’immunità inferiore alla media nazionale”. Strana coincidenza visto che si tratta solitamente di regioni periferiche e abbandonate. Il governatorato di Qayrawan è un caso esemplare. È la regione con il più alto tasso di povertà nazionale (29,2%), un tasso di disoccupazione superiore al 15% e il più alto numero di suicidi nel paese. Nonostante l’allestimento d’urgenza di due ospedali da campo – rapidamente congestionati – la situazione sanitaria è ancora catastrofica: 50% di test positivi al giorno e un rianimatore per nove pazienti. A fine giugno, 180 pazienti Covid di Qayrawan sono stati trasportati presso gli ospedali di Susa e Sfax per mancanza di spazio.
Eppure, Qayrawan è stata sommersa da promesse. Nota per la sua Grande Moschea risalente al IX secolo, è la più antica città islamica del Nord Africa, che gli è valsa nel 2016 un budget di 85 milioni di dollari (71,63 milioni di euro) elargito dall’Arabia Saudita per costruire il Centro ospedaliero universitario di re Salman. Salito al potere nell’ottobre 2019, il presidente della Repubblica Kaïs Saïed ha rilanciato e promesso a sua volta una “città della salute”. Fino ad oggi, non è stata posta alcuna pietra per nessuno di questi progetti.
VERIFICARE, STUDIARE, RIFLETTERE… SENZA AGIRE
Se la Tunisia si trova in una tale condizione d’emergenza, una grossa parte delle colpe è della sua classe politica. Non contente di aver fatto cadere un governo (luglio 2020) durante la crisi sanitaria, che aveva comunque gestito con un certo successo la prima ondata (51 morti), diverse organizzazioni politiche – sia a sostegno dell’esecutivo che dell’opposizione – hanno a più riprese violato le norme sanitarie. Il partito islamista Ennahda, il suo alleato più conservatore Al-Karama, Qalb Tounès del sulfureo uomo d’affari Nabil Karoui, o anche il Partito desturiano libero di Abir Moussi, nostalgico di Zine El-Abidine Ben Ali: tutte hanno organizzato manifestazioni, violando il coprifuoco o il divieto di spostamento tra le regioni quando era in vigore. Quanto al governo, sembra incapace di ogni tipo di previsione. Solo quando è avvenuto il disastro – ma annunciato con largo anticipo – il governo ha fatto appello timidamente alle misure adottate, ma nessuno le ha prese sul serio. Così, tre giorni dopo la conferenza stampa del 25 giugno, il capo del governo Hichem Mechichi ha convocato la Commissione nazionale per la lotta al coronavirus per “studiare le proposte del comitato scientifico”. La principale conclusione a cui si è giunti al termine dell’incontro è stata... quella di continuare a mettere in atto le misure annunciate, o ripristinare quelle sospese, come dare la priorità allo smart working.
Il personale medico e paramedico, duramente provato, continua a denunciare l’assenza di qualsiasi politica sanitaria. Lo stato d’emergenza sanitaria, previsto ad aprile e che avrebbe consentito la mobilitazione delle cliniche private nello sforzo nazionale, si fa ancora attendere. Da nove mesi, gli infermieri, assunti a tempo determinato per far fronte all’emergenza sanitaria, non percepiscono il loro stipendio. Venerdì 2 luglio a Tozeur (sud-ovest) sono andate perdute 1.643 dosi di vaccini a causa di un’interruzione di corrente, in una regione dove il termometro sfiora i 50 gradi all’inizio dell’estate. Dal canto suo, l’esecutivo è impantanato nella burocrazia e nelle riunioni senza fine. La sua priorità sembra innanzitutto quella di dare l’impressione di agire. Messo alle strette tanto dalla popolazione e dai media quanto dal consiglio scientifico, il governo annuncia che dal 1 al 6 luglio invierà i suoi ministri in giro ai quattro angoli del Paese “per verificare le carenze negli ospedali e nella campagna di vaccinazione, e rispondere quanto prima”. E non importa se si sono ridotti ad essere tutto fumo e niente arrosto a beneficio delle telecamere.
Non va meglio nel confronto il palazzo di Cartagine: sabato 3 luglio il presidente della Repubblica ha incontrato “d’urgenza” militari e responsabili della sicurezza. Saïed li ha invitati a “riflettere con tutte le istituzioni interessate ad una nuova strategia per affrontare questa situazione”.
LA PRIORITÀ È ALTROVE
Anche per quanto riguarda la campagna vaccinale, le cifre non invitano di certo all’ottimismo. Per una popolazione di quasi 12 milioni di abitanti, attualmente sono disponibili solo 2,3 milioni di dosi. E sul totale dei 1,9 milioni di vaccinati, solo 574.505 hanno ricevuto la seconda dose. Eppure, il ministro della Salute aveva promesso in aprile che la Tunisia sarebbe stata “inondata di vaccini” a fine giugno. Ma l’unica ondata che sta sommergendo il Paese per il momento è quella della pandemia, data l’assenza di un serio sforzo diplomatico per ottenere i vaccini. Dopo l’incontro con il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) il 9 giugno a Ginevra, Mechichi ha annunciato la consegna a breve di 600.000 dosi supplementari, inshallah.
E che dire di Kaïs Saïed che ha tra i propri compiti la politica estera del Paese? Il Presidente della Repubblica, eletto con una maggioranza schiacciante, non si è finora degnato di mettere la sua popolarità al servizio della lotta alla pandemia e di fare un appello alla popolazione per sensibilizzarla sui pericoli del coronavirus ed esortarla al rispetto del protocollo sanitario. Però Saïed non si risparmia dichiarazioni in cui fustiga con parole a malapena velate i suoi due migliori nemici, vale a dire il capo del governo Hichem Mechichi e il presidente del Parlamento Rashid Ghannushi.
Di fronte alla catastrofe annunciata, Saïed ha rotto finalmente il silenzio, ma non rinuncia alle sue abitudini. Durante la visita del 2 luglio all’ospedale militare di Tunisi dove ha inaugurato un nuovo reparto di terapia intensiva, ha detto con veemenza: “Non sono i mezzi che mancano. Se ci fosse una reale volontà politica, ci troveremmo in una situazione di gran lunga migliore di quella in cui ci troviamo oggi”. Nel corso della giornata, il Presidente si è recato al ministero degli Interni, il cui capo (ad interim) altri non è che Mechichi. Anche qui, senza mascherina e alla presenza di alti funzionari, Saïed ha dichiarato: “La diffusione della pandemia è il risultato di tutta una serie di decisioni politiche guidate dalla pressione di alcune lobby”. E ha poi aggiunto: “Le decisioni sono state prese su proposta del consiglio scientifico, ma non sono state rispettate”, prima di affermare che l’introduzione del coprifuoco spetta esclusivamente alle prerogative del presidente della Repubblica o dei governatori. Non importa che, per attaccare il capo del governo, Saïed dimentica che ad aprile è stato lui stesso ad annullare la decisione di Mechichi di istituire il coprifuoco alle 8 di sera per il mese di Ramadan, al fine di limitare gli assembramenti durante l’interruzione del digiuno.
Il giorno della conferenza stampa alla Kasbah, il 25 giugno, le cifre del Covid-19 contendevano la prima pagina dei quotidiani alla notizia principale del giorno: l’incontro tra Kaïs Saïed e Rashid Ghannushi, dopo diversi mesi di conflitto a colpi di esternazioni. Così le crisi – sanitaria, politica, economica – non si susseguono più in Tunisia, ma si accumulano. L’estate, la stagione del gelsomino, porta già l’odore dei crisantemi.