La trappola dorata: i rapporti tra Italia e Egitto oggi

Nonostante l’onda d’urto della controrivoluzione sanguinaria di al-Sisi sia arrivata in Italia prima con l’assassinio di Giulio Regeni, poi con l’arresto arbitrario di Patrick Zaki, negli ultimi cinque anni si e’ assistito ad un poderoso avvicinamento tra Italia e Egitto. L’intensificarsi degli scambi tra i due paesi, che hanno toccato settori sensibili come la vendita di armi e l’estrazione di gas, hanno legato a doppio filo le sorti di questi due paesi, trascinandoli in una morsa nella quale, a dispetto degli squilibri e debolezze strutturali del regime autoritario di al-Sisi, potrebbe essere l’Italia a finire schiacciata.

Il Cairo, 14 gennaio 2020. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in visita ufficiale e Abdel Fattah Al-Sisi

Riflettendo sullo stato delle relazioni tra Egitto e Italia, è impossibile non cogliere dati che illuminano il momento di grande difficoltà, se non il generale processo di declino in cui versano le democrazie liberali europee nei confronti dei maggiori stati mediorientali. Questa difficoltà riflette un cambiamento profondo degli equilibri non solo geopolitici, e dunque materiali, ma normativi e politici tra queste due aree del mondo – e la definitiva erosione di un quadro multilaterale condiviso. È all’interno di questo contesto di disordine e declino, dunque, che occorre leggere le complesse vicende che hanno legato i due paesi in questione negli ultimi cinque anni. Nonostante il potenziale divisivo di alcune di queste, gli ultimi cinque anni hanno legato a doppio filo le sorti di Egitto e Italia, trascinando i due paesi in una morsa nella quale, a dispetto degli squilibri e debolezze strutturali del regime autoritario di al-Sisi, potrebbe essere l’Italia a finire schiacciata.

Dal ‘buon vicinato’ alla cooperazione economica

Le relazioni tra Italia e Egitto sono storicamente sempre state significative, per motivi che non sono sostanzialmente cambiati sin dall’epoca di Gamal Abdel Nasser (Jamāl ‘Abd al-Nāṣir).1 Questi motivi si riconducono alla forte dipendenza energetica italiana, alla relativa ricchezza di idrocarburi dello stato egiziano, e alla posizione strategica del Cairo nell’area mediorientale. Negli ultimi cinque anni, tuttavia, le relazioni tra i due paesi hanno segnato un momento di particolare intensità, nonostante i fatti drammatici legati alla controrivoluzione di al-Sisi abbiano coinvolto da vicino l’Italia dapprima con l’efferato assassinio di Giulio Regeni (il dottorando all’Università di Cambridge originario di Fiumicello in Friuli) avvenuto al Cairo nel febbraio del 2016, e più di recente con l’arresto arbitrario di Patrick Zaki (studente egiziano all’Alma Mater Studiorum di Bologna) nel febbraio 2020.2 Se queste vicende tragiche, assolutamente esemplari del livello di repressione della società civile egiziana da parte del regime di al-Sisi, sono state capaci di generare autentico sdegno e una significativa mobilitazione dell’opinione pubblica italiana, esse non sono però riuscite a frenare un poderoso riavvicinamento tra i due paesi che ha toccato, negli ultimi anni, una pluralità di fronti.

Dal punto di vista economico e commerciale, negli ultimi anni l’Italia è diventata il secondo partner commerciale e politico dell’Egitto in Europa, e il quarto al mondo dopo Stati Uniti, Cina e Germania. La collaborazione commerciale tra i due paesi ha riguardato una vasta gamma di settori, ma quello energetico è stato di gran lunga il più importante. Nel marzo 2015 il più importante gruppo industriale italiano degli idrocarburi, l’ENI, aveva firmato un accordo per un investimento di cinque miliardi di dollari destinato a sviluppare risorse minerali egiziane e a fronteggiare le carenze energetiche dell’Egitto. A questo è seguita la scoperta di enormi giacimenti di gas offshore sulla costa egiziana. Il giacimento di gas naturale Zohr, scoperto dall’Eni nell’agosto 2015, rappresenta oggi il più grande bacino di gas nel Mediterraneo e uno dei più grandi al mondo. Per l’ENI, dunque, l’Egitto è oggi uno dei più importanti bacini di produzione e un importante tassello nella creazione di un più vasto hub di gas nel Mediterraneo orientale.3

Sul fronte strategico-diplomatico, negli ultimi cinque anni l’Italia ha di fatto assegnato all’Egitto il ruolo di garante della stabilità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Modulandosi su direttive stabilite a Washington e appoggiate a Berlino e a Parigi, l’Italia ha conferito all’Egitto un grande valore strategico sia per il suo continuo ruolo di mediazione nel conflitto arabo-israeliano che, specialmente, per il suo impegno alla lotta contro il terrorismo islamista. Questo ravvicinamento si è inserito in una strategia di ‘pivot mediterraneo’ dell’Italia, con la quale il Paese si è impegnato a ricoprire il ruolo di avanguardia dell’Ue e della Nato, attraverso proprio partnership bilaterali con paesi come l’Egitto.4

Sostegno politico e cooperazione militare

Al sostegno politico-diplomatico dell’Italia all’Egitto si è affiancata anche una cooperazione strategica e militare sempre più stretta, al punto che nel 2019 l’Egitto è ufficialmente diventato il primo cliente al mondo dell’industria militare italiana.5 Un tale risultato, straordinario se si considera che interessa uno stato non-democratico esterno alle alleanze militari alle quali fa ufficialmente riferimento la politica estera italiana, poggia su una fitta rete di accordi e scambi sviluppatasi già dal gennaio 2015, con la firma di un nuovo accordo di difesa comune, e intensificatasi con il progressivo incremento della vendita di equipaggiamenti militari e di polizia, incluse armi di piccolo calibro e software di sorveglianza.

È da notare che questa stretta collaborazione tra Italia e Egitto nel settore militare e di polizia continua a cozzare contro la sospensione dei trasferimenti di armi all’Egitto che vige in tutta l’Ue dal 2013, in risposta alla strage di Rabaa.6 Ancora più eclatante, allora, è risultato l’accordo da 9 miliardi di dollari raggiunto nel maggio 2020 per la vendita di ingenti sistemi militari italiani all’Egitto7 Definito da molti come ‘la commessa del secolo’, questo accordo comprende la vendita di due fregate multiruolo Fremm, quattro navi e 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter, e altrettanti aerei addestratori M346.

Se le consistenti vendite di armi leggere erano già state stigmatizzate in passato proprio perché ‘armavano’ la repressione interna di al-Sisi, la vendita di sistemi militari segna un salto qualitativo nella cooperazione tra i due paesi e consente all’Egitto di perseguire con più mezzi quella politica estera nazionalista, revisionista e muscolare con la quale il regime spera di scongiurare la perdita di influenza regionale e puntellare il proprio traballante consenso interno.

Quale interesse nazionale?

Lo stretto rapporto tra Italia e Egitto, consolidatosi in parallelo all’intensificarsi della controrivoluzione di al-Sisi e a dispetto dei gravi fatti legati alle vicende Regeni e Zaki, espone tuttavia più di una criticità, e solleva qualche domanda. La prima è una domanda strategica. La relazione tra Egitto e Italia si fonda su considerevoli, eppure oramai ambigue, asimmetrie di potere, vulnerabilità e legittimità. Sebbene lo si consideri come un alleato importante in vari teatri e degno di ingenti investimenti, l’Egitto rimane un paese a legittimità limitata e questo costituisce una possibile vulnerabilità strategica per un paese come l’Italia.

I benefici di breve periodo possono essere eclissati da passività di lungo periodo, in parte perché il governo al-Sisi si fonda sul difficile e costoso mantenimento di un regime repressivo, in parte perché le convergenze tra interessi e strategie tra i due paesi non sono affatto scontate, visto soprattutto il nazionalismo ‘volatile’ che caratterizza l’attuale politica estera egiziana. L’Italia, in altre parole, ha attaccato il suo carro a un cavallo difficile da controllare. Vicende quali la recente e ingente vendita di armi e sistemi militari italiani al Cairo, inoltre, sembrano tradire cambiamenti di equilibri e ruoli che di fatto sono sempre più globali – ad avere potere negoziale, ossia, non sono più gli stati occidentali produttori di armi, ma i loro clienti mediorientali. Così, da junior partner dell’alleanza, l’Egitto sembra essere passato ad essere senior partner, con l’Italia rassegnata ad inseguire la volontà egiziana, captarne l’interesse, ricambiarne le attenzioni.

La seconda domanda è di carattere politico. Il riavvicinamento tra Italia e Egitto è stato spesso letto come funzionale all’”interesse nazionale” e declinato in chiave di realismo e stabilità. Tuttavia, occorre chiedersi cosa sia rimasto di queste categorie, tanto abusate quanto ideologiche. Secondo questa posizione, infatti, il sostegno al regime di al-Sisi sarebbe essenziale per il mantenimento della stabilità non solo dell’Egitto ma dell’intera regione mediorientale. Questa posizione tuttavia si è oramai rivelata non solo illusoria ma controproducente, sia sul piano internazionale che interno.

Sul piano internazionale, l’appoggio incondizionato ad al-Sisi ha avuto come unico effetto quello di aumentare l’appetito dell’Egitto e incoraggiarlo a perseguire una strategia revisionista, ambiziosa e destabilizzante nello scenario mediorientale e mediterraneo – una strategia che mette, senza mezzi termini, al primo e ultimo posto gli interessi egiziani (la cosiddetta strategia ‘Egypt first’ di al-Sisi). Questo approccio è difficilmente compatibile con gli interessi strategici di lungo periodo di un paese come l’Italia– e il caso della Libia lo conferma. Qui la strategia egiziana di sostegno alla milizia del generale Khalifa Haftar (Khalīfa Ḥaftar) risulta dissonante con la posizione di Roma e di altre diplomazie europee, poiché di fatto estende per procura l’influenza egiziana su regioni della Libia come la Cirenaica, rispetto alla quale l’Egitto ha mire espansive già pienamente formulate in termini sia di intervento militare che di partizione. Dal punto di vista interno, il governo al-Sisi sta di fatto acuendo, invece che risolvere, i problemi economici e sociali dell’Egitto, non da ultimo la pressione migratoria verso l’esterno.

L’appoggio a questo regime ha avuto l’effetto perverso di inasprire la repressione interna e destinare il paese alla più grave crisi dei diritti umani nella sua storia recente, come è stato rilevato da vari studiosi.8 Nemmeno questo può essere considerato un obiettivo compatibile con gli interessi dell’Italia – tanto è vero che un suo cittadino ne è rimasto tragicamente vittima.

Se non sono gli interessi dell’Italia a essere serviti da una partnership così stretta con l’Egitto, occorre chiedersi allora quali interessi lo siano. Come ben si evince dalla questione energetica e dal recente accordo sulla vendita di armamenti, è evidente che siano i grandi gruppi industriali italiani – da ENI a Fincantieri – ad avere forti interessi in Egitto, e che questi interessi siano avvantaggiati da una politica di sostegno incondizionato ad un regime pur così repressivo e autoritario. Tuttavia, un tale appiattimento dell’interesse nazionale su interessi particolari è da ritenersi il risultato di una precisa volontà politica, non di un semplice automatismo legato a qualche presunto senso di ‘realismo’. Ed è da considerarsi imprudente quando espone l’Italia sempre di più alla capacità di ricatto dell’Egitto.

La terza e ultima domanda riguarda una questione etica, e dalla valenza globale. Una critica mossa di frequente alla politica estera italiana nei confronti dell’Egitto è stata quella di aver sacrificato i diritti umani sull’altare degli interessi, di aver prediletto la ragion di Stato e le ragioni della stabilità agli imperativi etici, a partire dal dovere di proteggere i propri cittadini all’estero. Ma questa critica non si spinge abbastanza in avanti. Ciò che l’Italia ha perseguito in Egitto negli ultimi cinque anni non è solo una politica estera riconducibile ad un concetto di democrazia ‘superficiale’, come spesso fatto da altri paesi europei nell’area MENA (Middle East and North Africa).9 Occorre infatti domandarsi se la politica estera italiana nei confronti di al-Sisi non sia stata, e continui ad essere, fondamentalmente antidemocratica.

In primo luogo, prima ancora del caso di Patrick Zaki, è stata la vicenda Regeni ad inchiodare la classe politica italiana alla realtà di una repressione anti-democratica brutale perseguita dal regime di al-Sisi e avallata (anche militarmente) da Roma. Ma una democrazia che si limita a difendere le ragioni di un proprio cittadino, o chiedere giustizia per la sua morte, e al contempo chiude gli occhi davanti alle sparizioni forzate, alla tortura, agli arresti politici che si moltiplicano ogni giorno in Egitto non può essere considerata pienamente democratica. Per giunta, ad una democrazia che instaura una collaborazione militare così significativa con un paese che viola sistematicamente convenzioni internazionali e diritti umani non si può che imputare un grave deficit di democrazia e, nel caso dell’Italia, di legalità.

Come rilevato da alcuni esponenti della società civile, la recente vendita di sistemi militari italiani è in palese contraddizione con la legge n. 185 del 1990 che vieta le esportazioni di armamenti verso Paesi che violano le convenzioni internazionali in materia di diritti umani, o impegnati in conflitti armati.10 In terzo luogo, da uno Stato democratico ci si può aspettare non solo che persegua politiche estere democratiche ma che, proprio attraverso la sua politica estera, favorisca il consolidamento e la realizzazione della democrazia in altri Stati.

La scarsa democraticità dimostrata dalla politica estera italiana nei confronti di paesi come l’Egitto non solo lede le prospettive democratiche all’interno dell’Egitto, ma finisce per erode gli standard democratici del paese che la persegue, ossia l’Italia. Da ultimo, l’idea che il ‘dialogo’ con stati autoritari come l’Egitto sia l’unica via possibile stride con la realtà di rapporti bilaterali che sembrano oramai destinati a giocarsi sul mero piano della forza o, come ha recentemente dichiarato il Ministro degli Esteri Italiano Luigi Di Maio, sul piano delle ‘dinamiche di mercato’11]. – avulsi, dunque, da un qualsiasi contesto multilaterale condiviso. Invece che denotare lungimiranza, questa strategia di vero e proprio appeasement nei confronti di un traballante eppure efferato regime autoritario segna un definitivo e sorprendente abbandono di quell’internazionalismo democratico che aveva ispirato generazioni di policymakers italiani ed europei; tradisce, inoltre, quanto sia oramai avanzato il declino dell’ordine liberale internazionale, e consegna, infine, le relazioni tra i due paesi ai flutti di un mare Mediterraneo sempre più pieno di insidie.

1Brighi e M. Musso, ‘L’Italia nel Medio Oriente e nel Mediterraneo: gli sviluppi nelle relazioni con Egitto e Libia’,in A. Chiaramonte e A. Wilson (a cura di), Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, Il Mulino, Bologna 2017,

2Sulla tragica vicenda Regeni, si veda L. Casini, D. Melfa e P. Starkey, Minnena: l’Egitto, l’Europa e la ricerca dopo l’assassinio di Giulio Regeni, Mesogea, Messina 2020. Su Patrick Zaki, si veda F. Biancani e A. Teti, ‘Patrick libero: diritti umani, interesse nazionale e violenza di regime’, Il Lavoro Culturale, 20 Febbraio 2020 [https://www.lavoroculturale.org/patrick-libero-diritti-umani-interesse-nazionale-e-violenza-di-regime/francesca-biancani-e-andrea-teti/].

3N. Sartori, ‘La politica energetica’, in E. Greco e N. Ronzitti (a cura di), Rapporto sulla politica estera italiana: il governo Renzi, Nuova Cultura, Roma 2016, pp. 65-69.

4Paolo Gentiloni, Pivot to the Mediterranean Understanding the Region’s Global Significance, «Foreign Affairs», 28 maggio 2015.

5L. Liverani, ‘Armi, gli affari d’oro italiani (e il primo cliente è l’Egitto)’, Avvenire, 16 maggio 2020 [https://www.avvenire.it/amp/attualita/pagine/armi-gli-affari-doro-italiani-e-il-primo-cliente-legitto?__twitter_impression=true]

6dal nome della piazza Rābi‘a al-‘Adawiyya, al Cairo.

8G. Gervasio e A. Teti, ‘Egypt’s Repression Against Civil Society’, in G. Dentice e A. Melcangi, Egypt at the crossroads: pandemic, authoritarianism and geopolitical aspirations, Ispi, Milano 2020.

9A. Teti et al., Democratisation against Democracy: How EU Foreign Policy Fails the Middle East, London, Palgrave Macmillan 2020; Vicky Reynaert, Preoccupied with the Market: The EU as a Promoter of “Shallow” Democracy in the Mediterranean, «European Foreign Affairs Review», 16, 5 (2011), pp. 623-637 and Michelle Pace, Paradoxes and Contradictions in EU Democracy Promotion in the Mediterranean: The Limits on EU Normative Power, «Democratization», 16, 1 (2009), pp. 39-58.

10G. Beretta, ‘Armi all’Egitto: Italia punta a commessa del secolo, ma gli attivisti non ci stanno’, Osservatorio sui Diritti, 8 Giugno 2020 [https://www.osservatoriodiritti.it/2020/06/08/armi-egitto-italia-vendita/].

11Audizione del Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, alla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Morte di Giulio Regeni, Camera dei Deputati, 16 luglio 2020 [https://www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=10918