Le elezioni in Iraq e i limiti di un sistema politico bloccato

Le prossime elezioni non mirano a cambiare un sistema politico bloccato, ma segnano una tappa importante nella ridefinizione delle élite al potere.

Una strada con diversi manifesti pubblicitari colorati su un muro di fondo.
Manifesti elettorali in vista delle elezioni del novembre 2025, via Nabi Jarjis, Mosul, Iraq. 7 Ottobre 2025
Wikimedia Commons

Le elezioni parlamentari irachene, previste per l’11 novembre prossimo, rappresentano un momento politico importante per il paese, nonostante la crisi di legittimità che soffre il sistema politco da qualche anno. Il governo del primo ministro uscente, Mohammad Shia al-Sudani, ha riscontrato una certa popolarità, e si presenta alle elezioni con una nuova formazione politica, la “Coalizione per la ricostruzione e lo sviluppo”. Mentre il resto delle forze sciite è diviso tra astensionismo – la “corrente sciita nazionale” di Muqtada al-Sadr (i “sadristi”) - e una feroce lotta intestina tra le forze che si riconoscono nell’alleanza “Il quadro di riferimento” (al-Itār al-tansīqi).
Il sistema politico iracheno si basa su una lotta di potere tra élite politiche consolidate. Nonostante il fatto che la partecipazione popolare sia limitata, le elezioni sono comunque un passaggio politico chiave perchè sono il momento in cui i rapporti di forza vengono rinegoziati. In questo contesto politico, la decisione da parte del movimento sadrista di boicottare le elezioni è il dato politico più rilevante; fatto che potrebbe avere un peso importante se ci sarà, come pare, una forte astensione. Se ciò avvenisse, ciò potrebbe delegittimare il prossimo parlamento e creare una dinamica politica nuova, in cui il movimento sadrista stesso potrebbe trovare un nuovo ruolo più decisivo. Una opzione su cui questi stanno probabilmente scommettendo. Il premier uscente al-Sudani, intanto, e i suoi sostenitori, accreditati come i probabili vincitori di una elezione troncata dall’astensionismo, sperano di poter formare un nuovo governo. Ma questa eventualità è tutt’altro che scontata, anche perché il gruppo intorno a al-Sudani dovrà fare i conti con il resto delle forze sciite, che puntano a consolidare o incrementare la loro forza elettorale.

Il funzionamento del sistema politico iracheno

Il sistema politico iracheno si basa su due principi fondamentali: la “muhasasa” o consociativismo, e la suddivisione politica comunitaria su base etnico-confessionale. Le fondamenta su cui si è basato il patto sociale dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, sono state poste sul principio che il paese fosse formato da identità civiche e comunitarie multiple: su tutte quelle (arabo)- sunnite e sciite, e curde. Su queste fondamenta, se ne è sovrapposta un’altra, quella consociativa. E cioè il concetto per cui il governo del paese deve essere formato da un’alleanza di tutte le forze politiche, secondo la formula del “governo di consenso”. La distribuzione delle posizioni istituzionali è proporzionale non solo ai voti presi (e quindi al peso politico specifico) ma anche alla quota comunitaria di riferimento. In effetti, si è consolidata dal 2005 una prassi (non costituzionale) per cui ogni elettore vota per il suo candidato “comunitario” di riferimento.

Questo sistema si è delineato durante il processo elettorale del 2005, che ha visto approvata la costituzione ed eletto per la prima volta il Consiglio dei Rappresentanti (il Parlamento). A queste elezioni si presentarono tre grandi blocchi elettorali (o alleanze), ciascuno per ogni comunità: la coalizione “Alleanza Unita Irachena”, che metteva insieme tutte le forze politiche sciite; Tawafuq (“Accordo”), contenitore di quelle sunnite; infine, l’“Alleanza del Kurdistan”, che riuniva le tradizionali forze curde (il Partito Democratico e l’Unione Patriottica). Questo nuovo regime politico, che dichiarava voler preservare la transizione dalla dittatura al pluralismo, ha però finito per creare un sistema di impunità. Le nuove élite subentranti, sfruttando il nuovo sistema di spartizione consociativo, sono riuscite in effetti a preservare il loro potere senza doverne render conto ad un elettorato sempre più impotente.

Questo sistema politico ha quindi presto presentato i suoi limiti. Le elezioni del 2010 aprirono in effetti una decade di contestazioni, politiche e sociali, che hanno messo in discussione il consenso comunitario-consociativo, sia all’interno della comunità sunnita che sciita1. Queste elezioni videro la vittoria elettorale della corrente politica legata ad Iyad Allawi, che proponeva un programma laico e anti-consociativo. Nonostante la coalizione “Movimento nazionale iracheno” (nota col nome “Iraqiya”) avesse ottenuto il maggior numero di deputati, non riuscì a formare un governo, ostacolata dal “revanscismo sciita”. In effetti, il progetto di Allawi era soprattutto sostenuto dai sunniti, che costituivano anche la maggior parte dei candidati della lista (nonostante Allawi fosse uno sciita). Ciò rientrava in una dinamica di tensioni tra la comunità sciita e sunnita sulla questione della “de-baathificazione”, che era stata sfruttata ad arte dall’allora potentissimo Primo Ministro Nouri al-Maliki, che, riattivando la retorica settaria, era riuscito a coalizzare la componente sciita a favore di uno sbarrramento parlamentare anti-sunnita che gli permise di formare un nuovo governo2.

Mentre la crisi del 2011-2012 si era svolta tutta all’interno dello spazio comunitario sunnita, che in maniera totalmente speculare al settarianismo sciita percepiva il governo di Baghdad come un “potere sciita”, le crisi successive si sono svolte tutte all’interno dello spazio sciita (Bayt al-shi‘a). Il sollevamento “sciita” esplose inizialmente nel 2015, nel bel mezzo della guerra contro ISIS; poi nel 2018, con la partecipazione di enormi masse popolari; e infine nel 2019, dando vita al movimento Tishreen, che per poco non aveva fatto saltare l’intero sistema politico.

I blocchi comunitari del 2005 nel frattempo si erano frantumati, e nuove esperienze politiche sono nate da allora: la ex “Alleanza Unita Irachena” sciita ha prodotto la “Coalizione per la Ricostruzione e lo Sviluppo” del Primo Ministro uscente Sudani, lo “Stato di Diritto” di Nouri al-Maliki, “Sadiqoun” di Qais al-Khazali, “Badr” di Hadi al-Ameri e l’“Alleanza delle Forze dello Stato Nazionali” di Ammar al-Hakim. Il Partito Democratico del Kurdistan, l’Unione Patriottica del Kurdistan e una serie di movimenti più piccoli, tra cui il partito “Nuova generazione”, si contendono oggi le elezioni nel campo curdo; mentre il partito “Taqaddum” di Mohammed al-Halbousi, “al-Siyada” di Khamis al-Khanjar e l’”Alleanza Azm” di Muthanna al-Samarrai, sono i fuoriusciti dell’ex coalizione “Tawafuq”. In totale, a contendersi i seggi in Parlamento la prossima settimana saranno 31 alleanze, 38 partiti politici e 75 candidati indipendenti.

Nonostante questa pluralizzazione di liste dentro ogni campo comunitario e la crisi del sistema politico, le regole del gioco sono rimaste sostanziammente immutate, e le campagne elettorali continuano ad essere una competizione tra élite dentro il sistema di potere stabilito. I partiti politici, che si presentano sfilacciati e in competizione tra di loro, si ricostituiscono in blocco subito dopo le elezioni per partecipare alla spartizione consociativo-comunitaria del potere.

Il fattore sadrista, i “partiti emergenti” e la competizione intra-elite

In questo contesto, due soggetti politici hanno cercato (e cercano) di rompere lo “status quo” del sistema politico iracheno: il movimento sadrista e i cosiddetti “partiti emergenti”. Il movimento sadrista, ribattezzato nell’aprile del 2024 “corrente sciita nazionale”, è il movimento che ha rotto il “consenso sciita” dopo le elezioni 2021, quando si è rifiutato di aderire alla coalizione “quadro di coordinamento” formata al fine di perpetrare la prassi consociativa di un governo a guida sciita3. I “partiti emergenti” sono quei nuovi partiti che sono nati sull’onda del movimento di protesta del 2019-2020, e che hanno tentato di far emergere una nuova classe dirigente non compromessa con la vecchia élite di potere.

Queste due componenti hanno rappresentato per un periodo l’alternativa al sistema politico attuale e sono stati vicini al punto di cambiarlo. Dal 2015 in poi, i sadristi si sono uniti alla “corrente civica” guidata dal Partito Comunista Iracheno, agendo nell’ottica della costruzione di un “governo di maggioranza” in opposizione al “governo di consenso” proposto dalla tradizionale prassi comunitario-consociativa. Da quella stessa corrente civica sono anche nati i partiti che sono stati definiti appunto, dopo le elezioni politiche del 2021, “partiti emergenti”. A seguito della vittoria elettorale relativa dei sadristi (73 deputati eletti su 329), una coalizione parlamentare di maggioranza assoluta (175 seggi) denominata Inqādh al-Watan (Salvare la Patria)4, si formò per votare un governo di maggioranza. La Corte Suprema Federale, tuttavia, rese questa maggioranza inoffensiva, perchè decretò con una sentenza apposita che era necessaria invece una maggioranza qualificata di due terzi di parlamentari per poter eleggere un nuovo Presidente della Repubblica: la qual cosa è la premessa per l’inizio dei lavori di un nuovo parlamento dopo ogni elezione.

Questa sentenza, innalzando la soglia di sbarramento da 165 a 220 parlamentari, consentì alla coalizione sciita del “quadro di coordinamento” di formare un «terzo ostruzionista». I sadristi (la maggiore forze dietro questa iniziativa) vistosi bloccati, decisero di dimettersi dal parlamento, lasciando via libera alla coalizione delle forze sciite per riproporre nuovamente un governo di consenso, conservando così la prassi consociativo-comunitaria5.

I sadristi, tuttora uno degli attori fondamentali sulla scena, hanno deciso di non partecipare alle prossime elezioni e di boicottarle. La loro scelta rischia di essere il fattore politico principale, perchè questo genera una serie di nuove dinamiche, la più importante delle quali è il probabile aumento dell’astensione al voto, una tendenza già in atto negli utimi anni che potrebbe acuirsi. Da parte loro, i “partiti emergenti” sono tornati a coalizzarsi intorno al partito comunista, formando l’alleanza Badīl (Alternativa), che però non ha grandi pretese elettorali.

La maggior parte degli osservatori prevede che queste elezioni saranno poco partecipate. A dispetto di ciò, una forte competizione si è scatenata tra i candidati appartenenti alle élite tradizionali, generando una certa fibrillazione. A discapito della mancanza della partecipazione ideologica al voto, la campagna elettorale si focalizza in effetti sulla capacità dei leader e delle loro macchine elettorali di mobilitare reti sociali di supporto, spesso attivate da risorse economiche importanti. Con il blocco di molte banche da parte dell’amministrazione statunitense, molti dei capitali iracheni sarebbero confluiti in imprese economiche nazionali, di cui le elezioni ne costituiscono una parte6.

Gruppi clientelari si formano e si consolidano, costituendo la base su cui contrattare nuove posizioni di potere. Per questo, a dispetto di un sistema bloccato, è in corso in questi giorni una feroce competizione elettorale. Le elezioni sono il momento in cui gli equilibri di potere si ridiscutono e si riformano su nuovi dati. Nel campo politico sciita, che determina il governo del paese, su tutti primeggia la figura del primo ministro uscente, Mohammed Shia al-Sudani. La sua coalizione elettorale è accreditata come la vincente delle prossime elezioni, senza che ciò determini tuttavia una sua prossima ri-elezione al premierato. Al-Sudani dovrà infatti fare i conti con il peso elettorale di ciascunsa delle restanti forze sciite, finora raggruppate nel blocco parlamentare “il quadro di coordinamento”, e il cui concorrente più temibile è Nouri al-Maliki. Esse si ricomporrano una volta di più in una coalizione per formare un governo consociativo, in cui al-Sudani verrà però difficilmente confermato come primo ministro. Come era già successo ad Allawi nel 2011 e a Sadr nel 2021, il prossimo presidente del consiglio potrebbe non essere il vincente delle elezioni, confermando una regola non scritta della politica irachena.

Quali prospettive di cambiamento

Mohammad Shia al-Sudani è stato apprezzato da una vasta fascia di popolazione irachena perchè ha saputo riportare il paese ad un livello di stabilità e sicurezza interna senza precedenti e perchè ha avviato importanti lavori infrastrutturali. Tuttavia, questo era stato sostenuto nel 2022 dal “quadro di coordinamento”, senza l’appoggio del quale difficilmente riuscirà questa volta ad essere confermato.

Il fattore Sadr intanto resta sullo sfondo. Lungi dall’essere un disinteressamento alla politica, la ritirata dei sadristi dalla campagna elettorale assmiglia ad una mossa tattica che serve al movimento per riposizionarsi su basi più solide per poter contrattare in futuro un governo di maggioranza, il vero obiettivo, quasi “ossessione”, del leader del movimento. Ciò potrebbe portare alla richiesta di nuove elezioni o alla formazione di un governo tecnico delle riforme in cui le condizioni di Sadr potrebbero essere contrattate con maggiore forza.

Qualunque sia l’esito, questa campagna elettorale dimostra ancora una volta che il sistema politico iracheno continua a funzionare secondo la sua logica. Una logica per cui le elezioni sono un momento di competizione tra le élite al potere, che si contendono il voto sulla base di costruzioni di reti di consenso tradizionali, clan e alleanze familiari. In mancanza di una vera partecipazione popolare, e di una concorrenza ideologica, la battaglia si gioca sul fronte del consenso clientelare, quello per cui ogni forza politica cerca di mobilitare risorse economiche.

Opposto al tradizionale blocco di potere, di matrice vagamente islamista, ci sarebbe un fronte riformista vagamente liberale (o social-liberale). Questo fronte è composto dai “partiti emergenti” e dai sadristi. I primi, coalizzati intorno al partito comunista, sono elettoralmente molto deboli, e hanno scarso impatto nella società. I secondi sono una importante forza popolare, e hanno potenzialmente la capacità di cambiare le regole della politica del paese. Tuttavia, i sadristi hanno mancato fino ad ora di credibilità agli occhi dei riformisti puramente liberali, innanzitutto perchè di matrice islamista e comunitaria (in effetti essi hanno cambiato il nome per togliersi di dosso l’etichetta di partito comunitario). Inoltre, i sadristi hanno anche poche possibilità di ricongiungersi al raggruppamento sciita maggioritario, rappresentato oggi dalla coalizione “quadro di coordinamento”. In assenza di un blocco riformatore che da solo possa formare una maggioranza qualificata per la formazione del governo, i sadristi tenteranno probabilmente di cooptare una parte dei partiti sciiti, cercando di nuovo di rompere la consolidata prassi comunitario-consociativa.

1I curdi, pur con qualche similitudine, vivono tuttavia all’interno di dinamiche proprie, poichè godono di un sistema di autonomia regionale

2La crisi che ne seguì fu poi determinante nel creare il contesto favorevole al sollevamento sunnita prima e alla conquista del potere da parte di ISIS. Si veda: Merone, F. (2021). Sunni ideology, contention and the Islamic State in Iraq, Partecipazione e conflitto, 14(2), 727-742.

3Il rapporto tra i sadristi e il resto della componente sciita non è mai stato lineare tuttavia. Per cui non è facile stabilire un preciso momento di rottura.

4Composta da: sadristi, i curdi del KDP, i sunniti “Taqaddum” di Halbousi e il gruppo legato a Khamis al-Khanjar, più parlamentari indipendenti tra cui quelli legati ai partiti emergenti.

5Alfadhel Ahmad (19 Oct 2025), Iraq’s elections and Muqtada al-Sadr’s endgame of power. Al-jazeera.https://www.aljazeera.com/news/2025/10/19/in-iraq-will-muqtada-al-sadrs-endgame-of-power-work.

6Renad Mansour (21 ottobre 2025), Iraq elections 2025: How votes are won and what the results could mean for Iraq’s fragile stability, Chatham House. https://www.chathamhouse.org/2025/10/iraq-elections-2025-how-votes-are-won-and-what-results-could-mean-iraqs-fragile-stability

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