Rayak, Libano. Delle acacie crescono tra i binari diretti chissà dove. Nel campo accanto, giace un vagone solitario, abbandonato in tutta fretta mezzo secolo fa. Della vernice verde delle locomotive rimane solo qualche macchia. Fori di proiettile e graffiti con la scritta “Esercito siriano” all’interno di uno dei vagoni rimandano ai giorni bui del passato.
Nella valle della Bekaa, in Libano, a cinque chilometri dal confine siriano, la stazione di Rayak appare come uno scheletro monumentale. Ai tempi degli Ottomani era diventata la più grande officina del Medio Oriente per la riparazione dei treni. Lì si aggiustavano quelle stesse locomotive che T.E. Lawrence e i rivoluzionari arabi sabotavano durante la lotta contro l’Impero ottomano.1 Durante la sua epoca d’oro, i binari di Rayak salutavano viaggiatori diretti a Beirut, Istanbul, Damasco e Baghdad. In seguito Rayak diventò una base dei servizi segreti dell’esercito siriano.
Per quarantasette anni, però, la stazione è stata anche la casa di Asaad Namrud.
In un tiepido mattino autunnale, Asaad, 94 anni, è occupato a tagliuzzare cipolle per uno stufato, nella sua umile casa a Rayak, a pochi passi da quello che rimane della stazione. Le poche decorazioni del salotto consistono in un quadro raffigurante dei binari, una vecchia foto della sua locomotiva e la sua patente da macchinista.
Nel 1976, a un anno dallo scoppio della guerra civile che avrebbe travolto il Libano per quindici anni, Asaad guidò il treno da Beirut verso il confine siriano. “Ho trasportato 800 capre da Beirut a Rayak. Fu il mio ultimo viaggio”, ricorda. Sceso lui dalla locomotiva, nessun motore a vapore ruggì più lungo la tratta Beirut-Damasco. Fu la fine della linea ferroviaria.
Questo declino era iniziato già da tempo. Il primo treno della tratta Damasco-Beirut partì il 3 agosto 1895, inaugurando così il trasporto ferroviario nel Vicino Oriente. Nel 1911 fu costruita una stazione a Tripoli, nel nord del Libano, per collegarla alle città siriane di Homs e Aleppo. Nella prima metà del XX secolo, i passeggeri facevano i pendolari tra Beirut e Damasco, Istanbul, Baghdad e addirittura La Mecca, dopo il collegamento con la ferrovia dell’Hegiaz. Tuttavia, quando scoppiò la guerra civile negli anni ’70, la ferrovia libanese fu lasciata marcire. E quella siriana ha conosciuto un destino simile dopo il 2011.
Ora abbandonati alla ruggine, i binari che un tempo solcavano la Siria e il Libano testimoniano ciò che avrebbe potuto essere. Raccontano storie di nostalgia e legami mancati, ma anche di donchisciottesche battaglie per tentare di connettere una regione isolata.
L’ultimo macchinista
Quando Asaad, allora adolescente, annunciò al padre che intendeva lasciare la scuola per lavorare alla ferrovia, ricevette uno schiaffo. Non passò molto tempo e si ritrovò ad affiancare un ingegnere francese alla stazione di Rayak. “Erano gli anni del Generale de Gaulle«, racconta,»e i francesi erano responsabili della ferrovia”. Allora, all’inizio degli anni ’40, Libano e Siria erano sotto il mandato francese.
Dopo quattro anni di gavetta, Asaad diventò ufficialmente macchinista. La Giordania, all’epoca un protettorato britannico noto come Transgiordania, fu la sua prima destinazione. “Il viaggio durò due giorni. Lasciai il Libano e dormii a Damasco. Il giorno dopo arrivai in Giordania e poi di nuovo a Damasco, e in seguito fino al porto di Beirut, dove scaricarono varie merci, tra cui, ad esempio, la porcellana”, ricorda.
“Vedevi passare un treno merci o un treno passeggeri ogni dieci minuti, continua Asaad. D’inverno, i treni non potevano passare per le montagne intorno a Dahr al-Baidar, la parte della catena che separa il litorale libanese dall’entroterra della Valle della Bekaa. Si doveva prendere il treno che attraversava la galleria. “Stavamo sottoterra per venti minuti, con la montagna sopra di noi. Era buio pesto!”. Si è ustionato le mani per attizzare il fuoco del motore a vapore.
I binari sono diventati la sua vita. “Guidavo fino a Deraa, Homs, Damasco, salivo verso la Turchia e poi riscendevo a Tripoli, Beirut, per finire al confine con Israele”, racconta Asaad. Enumera poi le distanze tra le varie stazioni come fosse una lezione imparata a memoria: “Da Rayak a Homs sono 85 chilometri; da Rayak a Damasco, 80; da Damasco alla Giordania, 70; da Aleppo alla Turchia, 75”.
Questi viaggi potevano durare un mese, tenendolo lontano dalla moglie e dai sei figli. “Appena arrivavo alla stazione di Rayak, facevo fischiare il treno – potevi sentirmi dalle montagne fino al mare – così mia moglie capiva che ero tornato”.
Agli inizi del XX secolo, la linea Beirut-Damasco si collegava alla ferrovia ottomana dell’Hegiaz, che attraversava l’odierna Giordania e continuava verso sud fino a Medina, passando per il deserto. La linea Taurus collegava Beirut a Istanbul via Tripoli e Aleppo. Da Istanbul, l’Orient Express trasportava passeggeri diretti in Europa. Treni francesi, polacchi, tedeschi, americani e svizzeri attraversavano la regione. Al suo apice, la stazione di Rayak impiegava 2.500 persone, spiega Elias Maalouf, autore del libro Lebanon on Rail. Beirut e Damasco erano connesse al resto del mondo.
Visto il potere economico e militare che la ferrovia implicava, le potenze coloniali di Francia e Inghilterra lottarono per aggiudicarsene la progettazione. Alla fine, secondo Maalouf, fu Youssef Motran, un uomo d’affari attivo nell’area di Baalbek nell’odierno Libano, il primo a ottenere dagli Ottomani il permesso di costruire la linea Beirut-Damasco nel 1891. In seguito cedette i diritti di costruzione ai francesi.
“Rayak era meglio di Londra, c’erano così tante persone qui”, dice Asaad. Apre con cautela una scatola di vecchie foto. In uno scatto del 1973, Asaad è in posa con una donna bionda. “Era la figlia del capo della ferrovia a Londra, aveva chiesto di guidare insieme a me la locomotiva. Dissi allora al mio assistente di pulire il sedile e le diedi la mia giacca”. Si mette poi a sfogliare Lebanon on Rail. Su una delle ultime pagine, un giovane macchinista fissa stoicamente l’obiettivo della fotocamera. Il suo nome era Fares Garabet.
Le corse all’alba
Il nipote di Fares Garabet, anche lui di nome Fares, vive in Germania da quando è fuggito dalla sua casa a Damasco sei anni fa.
Anche il vecchio Fares, di origini armene, viveva a Damasco. Come Asaad cominciò a lavorare nelle ferrovie quand’era ancora adolescente. Aveva falsificato la carta d’identità aumentandosi l’età di due anni per poter lavorare. Funzionò. Guidò i treni da Rayak negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. In seguito, anche suo figlio diventò macchinista.
Con la fine del mandato francese e l’indipendenza di Libano e Siria, la compagnia ferroviaria Damas Hama and Prolongement (DHP) fu divisa lungo il confine tra i due paesi; il governo siriano espropriò la sua parte, quello libanese comprò la propria. Anche treni e lavoratori furono spartiti.
“Mio nonno dovette scegliere se restare in Libano o andare in Siria”, racconta Fares il giovane via Skype dalla Germania. “Preferì andare a Damasco e lavorare con le ferrovie siriane negli anni ’70 e ’80, più tardi fu impiegato come capo deposito”. Alcuni parenti di suo nonno, comunque, restarono in Libano. Una parte della famiglia divenne libanese, l’altra siriana. Il vecchio Fares è morto nel 2017, in Siria.
Oggi gli rimane soltanto una zia in Libano, mentre la maggior parte dei parenti siriani è partita per il Canada, la Francia, la Germania o l’Australia. Fares lotta per mantenere vivi i ricordi della famiglia un tempo unita. “D’estate andavamo da mia zia a Beirut. I più bei giorni della mia vita. La Siria era un paese chiuso, al contrario del Libano”.
La sua missione di preservare il patrimonio ferroviario della Siria si è materializzata nel 2000, quando Fares ha proposto all’allora Ministro dei trasporti – un suo amico – di creare un museo a Damasco per i vecchi treni a vapore. Il museo è diventato poi una realtà, riaccendendo così vecchi ricordi. “Mio padre mi mostrava le tracce delle pallottole presenti sui treni che guidava mio nonno e che erano stati attaccati dai rivoluzionari siriani”.
I suoi ricordi più cari sono quelli legati ai viaggi tra Damasco e Serghaya, un paese di montagna, ultima tappa prima del confine libanese. Suo padre lasciava che si sedesse accanto al sedile del conducente nella locomotiva. Guidavano per tre ore da Damasco a Serghaya, dormivano là, poi riprendevano la strada del ritorno la mattina presto. “Mio padre mi svegliava alle quattro del mattino, il treno era gelido”. Una volta scaldato, il treno partiva alle cinque, per riportare lavoratori e commercianti a Damasco verso le otto. “I contadini che lavoravano la terra, il canto degli uccelli, l’odore del vapore, il suono del fischietto... era una scena così bella, non la dimenticherò mai”.
La “colonna sonora” della tratta Tripoli-Aleppo
Il ricordo più vivido di Nassif el Murr dei suoi giorni da macchinista è la colonna sonora del motore. “Il suono del vapore che si propagava tra le montagne era più bello di qualsiasi musica”, racconta questo ex macchinista di 93 anni, nella sua casa di Tripoli.
Il viaggio di Nassif nel mondo delle ferrovie cominciò nel 1947. Un anno dopo, durante la guerra che seguì la creazione dello Stato di Israele, le forze israeliane bombardarono la linea tra Naqura, nel sud del Libano, e Haifa, in Palestina, costruita appena sei anni prima. Questi bombardamenti preannunciarono la violenza tra le frontiere che avrebbe in seguito sbriciolato le aspirazioni di cui era simbolo la ferrovia.
Nonostante tutto, Nassif continuò a sognare di diventare macchinista. Per questo, dovette aspettare 12 anni, passati come assistente deposito. Poi, agli inizi degli anni ’60, diventò il macchinista della linea Beirut-Homs. Ricorda ancora i dettagli del percorso. “Il treno per Homs era un notturno, quello per Beirut un diurno. Il viaggio durava quattro ore e il limite di velocità era tra i 30 e i 35 chilometri all’ora”.
Nassif guidava locomotive tedesche della serie G8, parte di un “regalo saccheggiato” dagli Alleati dopo la sconfitta della Germania nella Seconda guerra mondiale. È quello che sostiene Nabil Doumani, un tripolitano appassionato di treni nonché vicepresidente di una ONG che vuole rilanciare le ferrovie libanesi. Tre di quelle gigantesche locomotive giacciono dormienti nella stazione abbandonata di Tripoli, relegate a sfondi “vintage” per servizi fotografici di matrimoni. Nassif non ce la fa a visitare la stazione: il degrado è troppo doloroso. Guidò il suo ultimo treno nel 1971, per poi diventare supervisore nell’ufficio ferroviario di Tripoli.
Del periodo trascorso come macchinista tra Libano e Siria, ricorda momenti di grande turbolenza. “Ogni due settimane c’era un colpo di Stato. Durante l’era di Amin al-Hafez, sono rimasto bloccato in Siria col treno durante uno dei golpe”, racconta. Il presidente siriano al-Hafez fu destituito nel 1966. Dall’indipendenza della Siria fino all’ascesa di Hafez al-Assad nel 1971, i colpi di Stato furono frequenti.
La scissione lungo il confine tra Siria e Libano complicò il lavoro di Nassif. “Quando la compagnia ferroviaria era una sola, era più semplice; c’erano lavoratori siriani in Libano e libanesi in Siria”. Dopo l’indipendenza, invece, Nassif doveva fermarsi in una stazione a 5 chilometri dalla Siria per cedere la locomotiva al suo collega siriano. “C’era la General Security dal lato libanese e siriano. Ci voleva un bel po’ di tempo, controllavano treno, passeggeri e merci”.
Agatha Christie e la coperta dimenticata
Arda Kashkashian non si ricorda delle ispezioni al confine: era ancora piccola quando viaggiava in treno tra Tripoli e Aleppo. Divisi fra le due città, i suoi familiari percorrevano regolarmente questa tratta.
Di origini armene, la famiglia di Arda si stabilì ad Aleppo più di un secolo fa. Alla fine degli anni ’60, dopo uno dei vari colpi di Stato in Siria, le scuole smisero di insegnare francese e inglese. La famiglia decise allora di trasferirsi a Tripoli. “Il Libano era più aperto e democratico della Siria”, spiega Arda.
Arda, 59 anni, è una psicologa. Ha vissuto a Tripoli fino a due anni fa, quando ha deciso di tornare ad Aleppo dopo aver perso tutti i suoi risparmi a causa della crisi finanziaria che ha travolto il Libano.
Suo padre, Jean, commerciava tappeti ad Aleppo e Tripoli, così la famiglia faceva spesso la tratta. “Il viaggio era così lungo, davvero noioso, mi veniva pure la nausea”, ricorda. “Ero soltanto una bambina”.
Arda sorride però al ricordo dell’incidente “della coperta”. La famiglia era solita passare l’estate a Hadath al-Jebbeh, un paesino nelle montagne libanesi. Una di quell estati, capitò la disgrazia: si dimenticarono ad Aleppo la coperta preferita di Arda. “Non dormii per due o tre notti, piansi tutto il tempo”. Suo padre non ebbe altra scelta che chiedere al macchinista, Manuel, di portare con sé la coperta da Aleppo a Tripoli. “Mia madre scese poi a Tripoli, recuperò la coperta e me la portò, per farmi dormire e smettere di piangere”.
La storia della famiglia di Arda è legata anche alla principale stazione ferroviaria di Aleppo, chiamata Stazione Bagdad per le tratte che portavano a est fino alla lontana capitale irachena. Quando suo padre aveva sei anni, il padre di lui lo mandava alla stazione per attirare i viaggiatori in arrivo al piccolo hotel gestito dalla famiglia.
Anni dopo, prosegue Arda, suo padre divenne direttore dello storico Hotel Baron. Era un albergo lussuoso, costruito per i viaggiatori stranieri di un certo livello, in un’epoca in cui Aleppo era un vivace snodo commerciale. Agatha Christie soggiornò nell’hotel e vi scrisse una parte di Assassinio sull’Orient Express. La scena iniziale di questo giallo si svolge proprio nella stazione di Aleppo.
Addio treni, benvenute macchine
Guidare il treno a vapore in mezzo alla neve: è un bel ricordo per Walid Kamari. Per 42 anni suo padre ha guidato i treni da Beirut fino al confine con la Siria. E da là, i suoi zii li guidavano fino in Turchia. La famiglia Kamari, come molte altre, era sparpagliata tra vari paesi. I nonni di Walid sono nati in Turchia, i suoi genitori ad Aleppo e lui in Libano.
Walid ricorda di aver accompagnato suo padre alla guida della locomotiva “più di dieci volte” da bambino: “Mi spiegò come funzionava. Furono giorni meravigliosi, soprattutto d’inverno con la neve”. Andavano spesso ad Aleppo per far visita ai parenti, e Walid ricorda le stramberie e i cibi che la gente trasportava da Aleppo a Beirut. “C’erano moltissimi passeggeri. I siriani spesso venivano sulle montagne libanesi per vedere la neve”.
Il suo ultimo viaggio in treno fu nel 1969; aveva 15 anni. Dopodiché, le automobili presero il sopravvento.
La prima volta che Georges Said guidò un treno fu a causa di un colpo di Stato in Siria. Era un ragazzino di Aleppo, e, insieme ad altri giovani della città, fu “invitato” a un festival organizzato a Damasco dall’allora presidente Adib Shishakli. “Voleva dimostrare di essere popolare”, spiega Georges. “Ci mettemmo trenta ore per fare 350 chilometri. Dormimmo nella scuola, restammo lì tre giorni, assistemmo alla cosa e tornammo ad Aleppo in treno”.
Qualche tempo dopo, la famiglia di Georges lasciò la Siria, per finire a Beirut. “Il Libano a quell’epoca era il posto migliore, era la Svizzera del Medio Oriente”.
La famiglia prendeva spesso l’automotrice, un treno col motore diesel, per viaggiare tra Aleppo e Beirut, e questo fino al 1963, quando acquistò la sua prima auto, una Opel. Quello fu l’ultimo anno che Georges tornò in Siria. Oggi, a 84 anni, gestisce un negozio di ferramenta nel quartiere di Mar Mikhail a Beirut.
“Non sono più tornato in Siria. Non sto con nessun partito politico, ma il regime siriano non mi piace, preferisco i governi più liberi”. I suoi parenti siriani lo vengono a trovare a Beirut, aggiunge, ma lui non fa il percorso inverso.
Rayak e il suo universo
Elias Maalouf è nato in Ecuador con una “porta virtuale sul Libano”. I genitori hanno lasciato Rayak all’inizio della guerra civile libanese e hanno sovraccaricato di nostalgia i loro figli. “Ci avevano indottrinato: dovevamo per forza amare il Libano. Non sognavamo altro che tornare a Rayak, la città con la più grande stazione ferroviaria e base aerea dell’universo”, spiega Elias dalla sua casa a Rayak. Da bambino, ha spesso immaginato i vecchi cinema della città, i suq e, naturalmente, la stazione.
La famiglia Maalouf tornò a Rayak nel 1991, con la fine della guerra. Erano già passati 15 anni da quando i treni erano diventati silenziosi. “Trovammo solo polvere, capre e gente vecchia e triste, piena di nostalgia per il passato”. Elias, allora undicenne, chiese a suo padre dei vecchi cinema; erano diventati depositi di patate. Era rimasta qualche traccia solo dei vecchi suq e di una fabbrica di gelati. E quando chiese della stazione, suo padre fu categorico: “Non ti è concesso nemmeno di guardarla, la stazione”.
L’esercito siriano, dopo essere entrato in Libano nel 1976 su richiesta del presidente Suleiman Frangieh, si “trattenne” anche dopo la fine della guerra. La stazione di Rayak – così come l’adiacente base aerea – divenne la sua base per i servizi segreti, dove "se la prendevano con la gente”, racconta Elias. I detenuti venivano ammassati nudi nei vagoni arrugginiti “d’estate e d’inverno”, continua Elias, che ha raccolto dozzine di testimonianze di ex ferrovieri e residenti di Rayak. “In entrambi i casi, le condizioni erano pessime”.
Nel 2005, dopo l’assassinio del Primo ministro libanese Rafiq Hariri, l’esercito siriano si è ritirato, e le divisioni politiche in Libano si sono inasprite. Quell’anno, Elias stava finendo gli studi per diventare regista di documentari e decise di filmare il ritiro dell’esercito siriano. “Rayak fu l’ultimo luogo del Libano che lasciarono”, racconta.
Così s’intrufolò nell’officina di riparazione della ferrovia. “Sembrava Disneyland: vecchi treni enormi arrugginiti, magnifici edifici coloniali francesi, centinaia di vagoni!”. D’un tratto, i racconti nostalgici di suo padre apparvero reali. “Realizzai che quello che i miei mi avevano raccontato su Rayak era vero. Per la prima volta, gli ho creduto sul serio”.
Elias racconta di aver visto tre soldati siriani fare la guardia a un vagone da cui fuoriusciva del fumo. Quando si allontanarono, Elias si precipitò. “C’erano vecchi archivi bellissimi tra le fiamme, cercai di salvarne qualcuno”. Ma così facendo si ustionò le mani e si lasciò sfuggire un grido. I soldati, accortisi della sua presenza, spararono in aria. Lui si nascose e li vide ritornare al vagone per sorvegliare fino a quando i documenti non fossero stati tutti bruciati. Riuscì a salvare solo una manciata di fogli.
Quel giorno ha segnato per Elias l’inizio di quindici anni di attivismo per preservare il patrimonio ferroviario e riportare i treni in Libano, e di questo impegno è frutto anche la fondazione della ONG Train/Train. Hanno tentato di costruire un museo a Rayak sul modello di quello di Damasco, ma le autorità libanesi non erano interessate.
Elias è entrato in contatto con altri appassionati di treni in Libano e Siria. “Per un certo periodo, c’è stato questo buffo dibattito su chi avesse la stazione migliore: Rayak o Tripoli?”. Poi, hanno unito le forze. “Mi sono innamorato di tutte le stazioni del Libano. La nostra voce si è fatta sentire, la nostra missione è stata raccontata dai quotidiani di tutto il mondo, tutti ne hanno letto, tutti tranne i politici libanesi”, spiega Elias.
Nel 2012 a Elias è stato proibito di entrare in tutte le stazioni di treni del Libano, a causa di un battibecco pubblico con Ziad Nasr, presidente dell’Autorità delle Ferrovie di Stato del governo libanese. “Non ho permesso loro di vendere i vecchi pezzi di treno come rottame”, spiega. Quando gli viene chiesto se tale divieto possa essere legato anche all’epoca in cui si è intrufolato in una stazione riuscendo a guidare una locomotiva per qualche metro, minimizza con un sorriso.
“Prima ti deridono, poi ti combattono, infine vinci", dice Elias, citando una frase spesso attribuita, anche se erroneamente, a Gandhi. Quando ha cominciato a parlare del ritorno della ferrovia in Libano, “le persone mi prendevano in giro, ero Sancho Panza. Poi mi hanno combattuto, e sono diventato così Don Chisciotte”. Dopo quindici anni di attivismo, Elias ha fatto un passo indietro. Ora trascorre la maggior parte del tempo con la sua famiglia e nel suo vigneto a Rayak.
“Non sono ancora arrivato alla parte in cui vinco”.
Il capitolo del declino
Nabil Doumani alza gli occhi al cielo mentre cammina nella stazione di Tripoli e vede una coppia di neo sposi posare per una foto vicino a una locomotiva G8 arrugginita. Sei locomotive, tre francesi e tre tedesche, giacciono nella stazione, tutt’oggi non recintata. “Queste non sono le locomotive originali che c’erano quando la stazione venne inaugurata nel 1911”, spiega Nabil, presidente di Train/Train. “Quelle si trovano probabilmente in Siria”.
Suo nonno fu uno degli imprenditori di Tripoli che finanziarono originariamente la costruzione della stazione. L’unico viaggio in treno che Nabil fece fu a metà degli anni ’60, quando sua madre chiese al conduttore di un treno merci in partenza da Tripoli e diretto alla vicina Chekka di permettere ai bambini di godersi il tragitto nell’ultimo vagone. E se lo godettero eccome. “I treni non sono un hobby, ma una passione”, dice Nabil.
Dalla finestra del deposito abbandonato, un mucchio di pezzi di rotaie è lasciato al degrado. “Queste rotaie erano state comprate dal governo libanese nel 2002, nuove di zecca”, spiega. Quell’anno ci fu un tentativo di ricollegare Siria e Libano via treno, dei fondi furono stanziati per costruire una linea lunga 35 chilometri tra Tripoli e il confine siriano. Ma poi nel 2005 Hariri fu assassinato “e l’intero progetto fu fermato”.
La politica, ancora una volta, ha bloccato la ferrovia. Ma questa decadenza dal lato libanese può essere attribuita anche a politiche interne. “Dal 1961 fino allo scoppio della guerra civile, il governo libanese non aggiunse nemmeno un metro di rotaia alla rete. L’hanno solo gestita e poi lasciata morire”, spiega Nabil.
Innanzitutto, gli anni ’60 hanno conosciuto la “rivoluzione dell’automobile”. I treni venivano percepiti come superati. E in particolare in Libano, le autorità nutrivano una certa bramosia per il valore immobiliare delle proprietà ferroviarie. “La principale politica economica del Libano consiste negli investimenti edilizi e nei servizi. Quando vedi la terra come una merce, tenterai in tutti i modi di privilegiare il profitto immobiliare rispetto a tutto il resto. E questo è avvenuto a scapito dello spazio e del trasporto pubblico”, spiega l’urbanista Abir Saksouk.
Nei primi anni ’70, quando il governo annunciò la sua decisione di chiudere le ferrovie, i lavoratori del settore – era uno dei sindacati più forti – paralizzarono Beirut, bloccando le strade principali coi treni. “Il governo si rese conto che non potevano chiuderle, così scelsero di lasciarle morire. Ogni volta che un lavoratore andava in pensione, nessuno lo rimpiazzava”, dice Elias.
I treni possono ritornare?
Carlos Naffah racconta entusiasta di fronte a una telecamera della sua esperienza alla guida di una locomotiva storica (del 1948) in Svizzera, da Sissach fino a Ginevra. Accanto al video pubblicato sulla sua pagina Facebook si legge: “Insieme riporteremo il #Libano_sui_binari”.
Carlos si definisce un “maniaco dei treni”. Racconta di non aver mai perdonato il bambino del quartiere che ruppe il suo treno giocattolo verde a sei pile. Nel 1995, mentre era a scuola nel quartiere di Daura a Beirut, così Carlos ricorda, vide un paio di volte un treno verde e giallo passare sbuffando. “Era un treno polacco SU45, introdotto in Libano del 1971”, spiega. Sebbene i treni smisero di circolare con lo scoppio della guerra civile, intorno al 1984 ci fu qualche corsa sporadica per il trasporto merci tra Beirut e Jounieh, Jieh e Zahrani. Dopo la guerra, tra il 1994 e il 1996, qualche treno trasportò cemento da Chekka, appena fuori Tripoli, giù fino a Beirut.
Nel 2018, Carlos è diventato presidente della ONG Train/Train. “Mi sono innamorato di questo nostro patrimonio. Ci vedo un enorme potenziale per riconnettere il paese”.
Tra la Siria devastata da un decennio di guerra e il Libano in caduta libera lungo una spirale economica discendente, parlare di treni può sembrare fuori luogo. Eppure, il sogno di Carlos di riportare in vita la ferrovia va oltre la semplice idea del trasporto.
“Il Libano è distrutto non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale”, dice Carlos. Vede il paese come un patchwork di comunità socialmente disconnesse. “La gente del sud non è mai stata al nord e le persone della zona costiera non sono mai state nell’entroterra della Bekaa”.
“Quello che potrebbe connettere il popolo libanese, e il Libano con il resto del mondo è proprio il treno”, aggiunge Carlos.
D’altro canto, però, ricollegare Beirut a Damasco è difficile. Carlos sostiene che altri paesi con storie complicate sono comunque riusciti a mantenere in vita le loro ferrovie. “Tra l’ex URSS e la Norvegia i confini erano chiusi, eppure i treni continuavano a passare, con misure di sicurezza speciali. Sarebbe possibile ricollegare Damasco a Beirut, o Homs a Tripoli, ma dovremmo applicare complesse misure di sicurezza”.
“I treni possono costruire la pace tra le città perché la gente avrà l’opportunità di spostarsi, di entrare in contatto”, aggiunge.
Elias la pensa in modo simile: “Posso andare in macchina a Byblos, ma non è la stessa cosa potersi sedere accanto a qualcuno, un altro, parlare, lavorare, ridere, innamorarsi”.
Dove andresti se ci fossero di nuovo i treni?
Se potesse, Walid dice che vorrebbe andare in treno ad Aleppo. Fares, ripercorrendo i passi di suo nonno e di suo padre, vorrebbe viaggiare da Damasco a Rayak. Nassif, l’ex macchinista, visiterebbe Beirut.
Georges, il proprietario del negozio di ferramenta a Mar Mikhail, riflette sul suo viaggio immaginario quand’ecco entrare la sua vicina Norma Irani. Suo padre Fuad vendeva biglietti per la tratta Beirut-Damasco nei primi anni ’40, così prende anche lei parte alla conversazione. “È molto importante avere una ferrovia – immagina di poter andare da qua in Siria o in Iraq. In mezz’ora potresti essere a Damasco”, dice Norma.
“Cosa c’entra Damasco? A me interessano soltanto i treni all’interno del Libano”, ribatte Georges.
“Era sono un esempio. Mi piacerebbe fare turismo a Damasco, Homs o Aleppo. Ricordo che mi portavo sempre un po’ di shanklish dalla Siria, era così buono”, racconta Norma, riferendosi a un tipo di formaggio stagionato molto diffuso nel Medio Oriente.
“Tu vai in Siria, io resto a Zahle”, dice Georges, mettendo fine alla conversazione. Zahle è una città nella Valle della Bekaa.
Arda, la psicologa che da piccola viaggiava sulla linea Aleppo-Tripoli, ripercorrerebbe volentieri la tratta “per vedere cosa le ritorna in mente”. “Ma questo è un sogno, e certi sogni non si avverano mai”, aggiunge.
“Gli ostacoli sono troppo grossi, ma è importante poter immaginare la possibilità di una vita diversa”, dice Abir, l’urbanista.
Quella possibilità sembrava potersi realizzare nell’agosto 2019, quando Train/Train ha presentato un piano generale2 nazionale per le ferrovie libanesi. La linea collegherebbe il paese alla Siria via Damasco e Homs. “Da Damasco si potrebbe arrivare a Beirut in 40 minuti, per il fine settimana, oppure da Amman si potrebbe andare a Beirut in un’ora e mezza per una riunione e poi ritornare ad Amman”, spiega Carlos.
Solo due mesi dopo, la rabbia contro una proposta di legge per tassare WhatsApp si è trasformata in proteste di massa in tutto il paese contro il sistema politico ed economico libanese nella sua totalità. Mentre i manifestanti chiedevano a gran voce un nuovo governo, il paese ha cominciato ad sprofondare nella sua peggiore crisi finanziaria da più di un secolo. Due anni dopo, la moneta locale ha perso la maggior parte del suo valore e anche i bisogni più elementari come l’elettricità e le medicine sono difficili da soddisfare per la maggior parte delle persone. Carlos dice che Train/Train ha incontrato potenziali finanziatori di compagnie spagnole, francesi, tedesche, italiane, cinesi e svizzere. Ma le prospettive sono desolanti. “Non possiamo investire in nulla se il caos continua, abbiamo bisogno di riforme, trasparenza e affidabilità”, dice.
Nonostante tutto, il donchisciottesco sogno sembra in qualche modo perseverare. Carlos resta ottimista: “Il nostro treno andrà da Naqura nel sud fino ad Abudieh nel nord, passando per tutte le città della costa mediterranea. Sarà uno dei più bei treni del mondo”.
Asaad, l’ultimo macchinista della tratta Beirut-Damasco, dopo tutti questi anni coltiva ancora la sua passione per i treni. Interrogato sull’origine di questo amore, non esita a rispondere: “I treni sono la via verso la libertà, vanno solo avanti”.