Orient XXI, anno 8

Resistenze

Foto originale Arezki Ighemat (Algeri, 4 gennaio 2020)

Il 20 settembre 2020 Herbert R. McMaster, per un anno consigliere alla sicurezza nazionale del presidente americano Donald Trump, ha reso noto che Al-Qaeda e l’organizzazione dello Stato Islamico (IS) dispongono oggi di capacità superiori rispetto a prima dell’11 settembre e che hanno accesso a mezzi di distruzione di gran lunga più devastanti. Questa dichiarazione è giunta contemporaneamente ai negoziati per la pace in Afghanistan avviati in Qatar, che sanciranno probabilmente il ritorno dei Talebani al potere, se non ai pieni poteri. Quasi vent’anni di guerra «contro il terrorismo» per ritrovarsi così? Tutto questo per cosa?

Una guerra è sinonimo di bombardamenti, distruzione, morti e rifugiati per una regione che si estende dal Marocco al Golfo. Le speranze nate nel 2011, riaccese nel 2019 dalle sommosse in Iraq, Libano e Algeria, non sono state ancora esaudite : la transizione (caotica) in Tunisia e il rovesciamento della dittatura trentennale in Sudan restano dei successi isolati. L’ondata di Covid-19 ha amplificato le sofferenze indicibili della popolazione, stretta nella morsa di un sinistro dilemma, morire del virus o morire di fame. Ovunque, incompetenti élite al potere si aggrappano alle loro cariche, ai loro privilegi e ai loro conti all’estero. Le strutture statali, là dove non sono state fagocitate dalle guerre civili, si riducono a un apparato repressivo sempre più brutale.

Dinanzi a questa disgregazione in atto alle sue frontiere, l’Europa — come del resto gli Stati Uniti — ha ritrovato i suoi vecchi tropismi : difendere la stabilità « contro il terrorismo », i regimi esistenti contro le aspirazioni dei popoli, come quello del presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi, il cui bilancio repressivo è molto più cruento di quello —– già poco glorioso —– del suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan. Per l’Occidente questi regimi sono dei baluardi contro il terrorismo, che è invece alimentato dalle loro stesse politiche ; contro le ondate migratorie, esse stesse risultato dell’immobilismo che affligge una gioventù per la quale la partenza all’estero diventa l’unico orizzonte possibile.

La cecità dell’Occidente si manifesta anche nella « pace » firmata tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Si può chiamare « pace » un accordo che « dimentica » i palestinesi e i loro diritti e che anzi premia la colonizzazione dei territori palestinesi occupati in barba al diritto internazionale ? Per ottenere la collaborazione del Sudan, gli Stati Uniti hanno posto le sue nuove autorità di fronte a un odioso ricatto : firmare un accordo con Israele o restare sulla lista americana degli Stati che sostengono il terrorismo, il che priva di risorse vitali uno dei Paesi più poveri del pianeta. Immaginiamo l’indignazione che susciterebbe un tale cinismo se provenisse da Mosca o da Pechino.

Sia Washington che Tel Aviv sanno che il tipo di soluzione da loro auspicata è attuabile solo con delle dittature. La scelta degli Emirati non ha nulla di casuale: questi mini Stati ricordano infatti 1984, il romanzo distopico di George Orwell, dove lo sfavillio tecnologico camuffa a malapena il controllo meticoloso dei corpi e delle menti. E i loro mezzi d’informazione acquiescenti possono proclamare in tutta impunità che « la guerra è la pace ». Spingere il Sudan nella stessa direzione, malgrado l’opposizione della sua gente, significa contribuire al fallimento di quella già fragile transizione verso la democrazia.

Queste griglie di analisi della regione – minacce terroristiche, islamiste, migratorie – e le risposte militari e securitarie che ne scaturiscono occultano i veri problemi. Come spiega Bertrand Badie nel suo ultimo lavoro,1 le crisi che oggi conosciamo sono innanzitutto sociali, sanitarie, alimentari e climatiche. Sono esse stesse ad alimentare i conflitti e a rendere impotenti gli eserciti e l’uso della forza.

Dalla sua nascita sette anni fa, il 1° ottobre 2013, Orient XXI ha voluto promuovere, nel suo piccolo, un’altra visione di questa regione, lontano dagli spauracchi di una « guerra di civiltà » e di una « grande sostituzione », mostrando al contrario la complessità di ciascuna situazione con l’ausilio di ricercatori, ricercatrici e specialisti del settore. Una visione che dia inoltre risonanza alle resistenze delle società, dall’Iraq al Libano, senza tralasciare iniziative più modeste attuate per lottare contro il Covid-19, difendere la biodiversità e inventare una nuova scena culturale. lottare contro il Covid-19, difendere la biodiversità, o inventare una nuova scena culturale.

Questa scommessa contro il semplicismo e le semplificazioni che dominano spesso e volentieri i social network e i canali di informazione non-stop, l’abbiamo vinta grazie a voi. Mezzo di informazione indipendente, gratuito e senza pubblicità, Orient XXI è finanziato dai suoi propri lettori, dei quali ha visto crescere costantemente il numero2. Un’opera di resistenza che rema contro un tipo di informazione preconfezionata e riduttiva: è ciò che ci impegniamo a proseguire e contiamo su di voi per sostenerci e per spargere la voce.

1Inter-socialités. Le monde n’est plus géopolitique, CNRS éditions, 2020.

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