Reportage

Salonicco, una città sospesa tra Oriente e Occidente

La grande città del mare Egeo, conosciuta come la Gerusalemme dei Balcani, è orgogliosa della sua tradizione cosmopolita. Con le sue radici ebraiche, turche e greche, Salonicco coltiva la nostalgia del passato e la sua ospitalità leggendaria, ma si proietta verso le sfide di oggi: dalla crisi economica e sociale aggravata dall’emergenza sanitaria al pericolo di un ritorno dell’estrema destra.

L'immagine mostra una vista panoramica di una città, probabilmente al tramonto. In primo piano si vede una parte di una muraglia o di una fortezza, con alcune persone che passeggiano. Sullo sfondo, si dispiega un vasto panorama urbano con edifici e strade, mentre il mare è visibile all'orizzonte, con alcune navi. I colori caldi del cielo creano un'atmosfera suggestiva, tipica delle ore serali.
Salonicco (2017)
Maragathou/Wikimedia Commons

“Dal 1492 al 1912, la città ospitò la più grande comunità di ebrei sefarditi (giudeo-spagnoli) del mondo”, spiega Yorgos, una guida turistica che organizza passeggiate nella Città Alta (Άνω Πόλη), quella più antica e arroccata sulla collina che s’inerpica fino all’Acropoli di Salonicco. In questo dedalo di stradine si nasconde un’altra città: sghemba, obliqua, irregolare. Una città antichissima che ne contiene una costruita appena un secolo fa sulle rovine di un’altra perduta per sempre nel grande incendio del 1917 che distrusse quasi interamente il quartiere ebraico, oggi Ladadika. Delle 33 sinagoghe presenti ne sopravvissero solo 17 (oggi solo due). Salonicco perse per sempre una parte dei suoi tratti orientali e divenne per anni la città degli sfollati, dei senzatetto e dei rifugiati. Di colpo, si trasformò nella “capitale dei rifugiati”.

Nel 1912, Salonicco contava circa 150mila abitanti, di cui 70mila erano ebrei, che dopo l’incendio si spostarono fuori dal centro della città. “Con l’occupazione nazista del 1941 e le deportazioni in massa nel campo di Auschwitz-Birkenau dal 1943, rimasero in città meno di duemila superstiti” spiega Alexandros, un ragazzo di una ventina d’anni. È nato a Salonicco da una famiglia d’origine ebraica e in estate accompagna i visitatori all’interno di Yad Lezikaron. “La sinagoga è stata costruita su ciò che restava delle altre sinagoghe sopravvissute all’incendio, alla distruzione e ai bombardamenti. Il nome significa “memoria” ed è dedicata alle vittime dell’Olocausto”.

Mi mostra delle grandi lapidi di marmo su cui sono indicati i nomi delle tante sinagoghe costruite a partire dalla prima Askenaz del 1376 fino a quelle del 1917. “Fino a inizio secolo, questo era il quartiere ebraico, dove si commerciava e si parlava in sei o sette lingue. La lingua dominante però era il ladino1, poi con l’arrivo dei profughi greci fu sostituito dal greco. Mio nonno lo parlava, io no. Oggi tutto quello che resta della comunità ebraica di Salonicco si trova intorno alla sinagoga”.

Museo ebraico di Salonicco
Museo ebraico di Salonicco
© Luigi Toni

Poco distante si trova anche il Museo ebraico. Al primo piano, c’è una foto che mostra la grande deportazione degli ebrei di Salonicco. 11 luglio del 1942: il “sabato nero”. Vengono invitati a presentarsi quasi 6500 ebrei, tra i 18 e i 45 anni. È il giorno dello shabbat. Tutti indossano i vestiti più belli, quelli della festa. Per ore interminabili, vengono disposti in fila sotto il sole e torturati da soldati nazisti nell’indifferenza della popolazione affacciata ai balconi e delle gerarchie di fede cristiana ortodossa.

Dei radunati, nessuno farà più ritorno. Durante l’occupazione, un terzo della popolazione di Salonicco viene cancellato per sempre. Tutto avviene in Plateia Elefhteria, piazza della Libertà. La macabra ironia della storia mette fine al sogno di convivenza tra popoli. Oggi la piazza è un enorme parcheggio di auto dove campeggia solo un piccolo monumento commemorativo. Eppure, è solo nella memoria dei vivi che può sopravvivere il ricordo della tragedia. “Se chiedi a un ebreo da dove vengono i suoi genitori ti dirà dalla Germania, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Bulgaria o forse dalla Romania, ma se chiedi da dove viene la sua famiglia, da dove vengono i suoi nonni o i suoi avi ti risponderà sicuramente da Salonicco”, racconta Yorgos.

La Gerusalemme dei Balcani

Passeggiando per la città alta, la sensazione un po’ straniante è che ci si ritrovi d’improvviso in un altro tempo, in un’altra epoca, persi nel labirinto di una città ricostruita innumerevoli volte, un’araba fenice risorta dalle sue ceneri. Una “città di fantasmi”2, di conti in sospeso con la Storia, di sogni infranti di convivenza pacifica, di profughi, rifugiati e apolidi, di tentativi falliti di cancellare per sempre un passato che non ha diviso, ma unito. Una città di contraddizioni che fino all’inizio del secolo scorso era conosciuta come la Gerusalemme dei Balcani. È proprio da questo punto d’incrocio tra i Balcani e l’Oriente, da questo lato oscuro3 che bisogna partire. Qui siamo sulla via che portava a Costantinopoli, lo sguardo rivolto ad Est, siamo a cavallo tra due mondi e due civiltà in questa città sospesa tra Oriente e Occidente.

Panoramica di Salonicco, prima dell'incendio del 1917.
Panoramica di Salonicco, prima dell’incendio del 1917.
Commons.Wikimedia

Sotto il dominio ottomano, la città era una delle più prosperose dell’impero. Ancora oggi si possono ammirare edifici bellissimi sopravvissuti nei secoli accanto ad alcuni abbandonati e altri che cadono a pezzi. Anche nel centro storico sono visibili le tracce del passato bizantino, e soprattutto dell’epoca romana. Nella regione romana di Macedonia viaggiò anche Paolo di Tarso trovando l’antica Tessalonica, a quel tempo sede del governatore, una città unica, aperta e multietnica. Nel corso dei secoli, Salonicco è stata soprattutto un crocevia di culture dei Balcani, dove s’incrociavano minareti e sinagoghe, monasteri e chiese bizantine, imam e rabbini, mercanti e pellegrini.

Prete ortodosso al mercato Kapani
Prete ortodosso al mercato Kapani
© Luigi Toni

Una crisi senza precedenti

La crisi economica del 2009 e i tassi di disoccupazione toccati nel 2011 hanno costretto molti giovani a trasferirsi all’estero e peggio a sacrificare aspirazioni professionali per cercare lavoro nel settore turistico, anche stagionale, che fino a qualche anno fa ha avuto un vero e proprio boom. Vassilis, è un ragazzo di una ventina d’anni che ha deciso di restare e lavorare a Salonicco. “Molti giovani della mia età preferiscono partire, andare all’estero, nei paesi del nord Europa. Io no. Amo questa città e voglio vivere qui”. Oggi anche lui gestisce un piccolo appartamento nel centro cittadino, proprio accanto all’antico anfiteatro romano.

Al tramonto, la zona dell’Agorà e il Foro romano diventano il luogo alternativo per eccellenza per moltissimi giovani. Con pochi euro si può acquistare una birra e sedere sulle antiche rovine dell’anfiteatro, godendo di una vista unica. “È da un po’ di anni che i turisti sono tornati in città”. Questo nuovo turismo di massa ha permesso una parziale ripresa economica della città, anche grazie alle scelte coraggiose e spesso impopolari dell’ex sindaco Yiannis Boutaris che ha promosso l’identità multietnica di Salonicco, cercando di non rinnegare e far convivere le sue tre anime: ebraica, turca e greca. “Forse il turismo non basta alla ripresa economica, ma per ora ci permette di resistere”, aggiunge Vassilis, soprattutto dopo i due anni di emergenza sanitaria che hanno arrestato bruscamente questo processo cominciato dopo la crisi del 2011.

In ogni angolo di Salonicco ci sono caffè e locali di ogni tipo, molti in stile ottomano dove si può fumare la shisha o il narghilè seduti al tavolino mentre si sorseggia un caffè turco. Di sera, accade di ascoltare della musica che ha il sapore della nostalgia, che parla di chi ha perduto tutto perché ha lasciato la sua terra, di un mondo che non tornerà più. Ma Salonicco è conosciuta anche come la città di halara (in greco χαλαρά), dove lo stile di vita è rilassato, si è convinti che ci sia sempre un po’ di tempo per tutto e nessuno ama lo stress.

A Salonicco, c’è anche una scena culturale molto vivace. Nella Città Alta, abita una comunità di artisti che si è trasferita lassù per i prezzi meno cari degli affitti. Sui muri campeggiano spesso enormi graffiti, murales, ma anche manifesti o scritte anarchiche che indicano la presenza del forte movimento greco. Sono tanti gli edifici abbandonati diventati squat, centri sociali e culturali, cooperative o case editrici.

Negli ultimi dieci anni, la crisi ha colpito duramente anche la classe media. Come Maria, un’impiegata comunale di Salonicco. “Dopo il taglio degli stipendi statali è stata dura, anche se oggi viviamo un po’ meglio”. Durante le vacanze, aiuta suo fratello nella gestione di una struttura turistica nella penisola di Sithonia. “È un bel posto. Lì non c’è inquinamento, il mare è bello, e poi ci sono tante spiagge gratuite per tutti. Vengono da tutti i Balcani, ma anche dall’Italia. Qui nella penisola la crisi si è sentita meno”.

La crisi si è fatta sentire anche per chi lavora nel settore ospedaliero, soprattutto nei due anni della diffusione del virus. Come racconta Panos, un medico quarantenne di Salonicco. “Ora la situazione sta tornando lentamente alla normalità, o almeno così sembra. Io lavoro in una struttura pubblica, mentre mia sorella è impiegata nel settore turistico. Per anni, il turismo è stato uno dei settori trainanti dell’economia. Negli ultimi due anni però c’è stata una battuta d’arresto e la paura della crisi ha spaventato tutti. Sembrava un incubo senza fine”.

In Grecia, le misure d’emergenza da Covid-19 hanno portato a provvedimenti molto restrittivi con il ricorso a un rigido lockdown di oltre due mesi. Un’emergenza che è stata strumentalizzata per il controllo delle frontiere via terra e via mare. L’attuale governo ha cavalcato la retorica dell’immigrazione clandestina, promettendo rimpatri immediati (“Operazione Scopa”) per fronteggiare gli ingressi considerati illegali nel paese. Sono migliaia i migranti, confinati e ammassati nei campi allestiti alla periferia della città, nella Grecia continentale o nelle isole, in attesa di attraversare la frontiera con la Macedonia. Sono gli invisibili, chiusi in recinti, bersagli facili della nuova propaganda politica ai tempi della crisi, che vivono in una sorta di no man’s land4. Un paradosso nella città che un tempo era “la capitale dei profughi”.

Un sindaco controcorrente

Salonicco ha vissuto un momento di grande rinascita anche durante la crisi grazie a Yiannis Boutaris5, l’ex sindaco della città, fortemente contestato dai nazionalisti e dagli ortodossi per le sue posizioni controverse di apertura culturale. Durante il suo mandato, Boutaris ha cercato di recuperare il passato cosmopolita di Salonicco, promuovendo l’identità ebraica e turca – a lungo cancellate nel progetto di occidentalizzazione della città – e incoraggiando visite dalla Turchia e da Israele.

Salonicco (in turco, Selanik) è anche la città in cui è nato Mustafa Kemal Atatürk, fondatore e primo presidente della Turchia moderna, nonché responsabile del grande esodo dei profughi greci dall’Asia minore, cosa che molti qui, soprattutto i fautori del nazionalismo e della rigida Chiesa greco ortodossa, non sono disposti a dimenticare.

Oggi la sua casa natale si trova all’interno dell’ambasciata turca ed è costantemente videosorvegliata per le recenti contestazioni, oltre ad essere un museo che attira molti turisti da tutto il mondo, in particolari turchi. All’interno della casa, c’è la sagoma di Atatürk a grandezza naturale disposta su una poltrona, già in posa per i tanti selfie che ammiratori e ammiratrici di tutte le età scattano, con aria alquanto familiare, durante la loro visita al museo. Lo strano paradosso di vedere la storia perdere ogni dimensione tragica, ridotta a selfie del mondo.

La casa-museo di Atatürk.
La casa-museo di Atatürk.
© Luigi Toni

Ma l’apertura alla cultura turca è anche una delle questioni più controverse della politica culturale dell’ex sindaco, sostituito nel 2019 da Konstantinos Zervas. “È stato un uomo di grande apertura mentale. Ha affrontato la crisi economica, ha sanato il bilancio fallimentare della città lasciato dal suo predecessore. Ha promosso anche un’apertura importante verso la cultura ebraica e ottomana” risponde Alexandros.

Ma è stato anche duramente contestato, in particolare dagli ortodossi e dai nazionalisti dell’estrema destra. “Sì, è vero. Sono stati quelli di Alba Dorata, un gruppo cresciuto con la crisi e che si richiama apertamente al nazismo e al dittatore fascista Metaxas. Anche oggi, dopo lo scioglimento forzato del 20206, il pericolo di un ritorno dell’estrema destra è molto forte. Siamo preoccupati per le continue profanazioni di tombe e monumenti ebraici”.

La crisi economica e la protesta contro le élite corrotte ha fatto avanzare i movimenti di ultradestra7 che oggi propongono un ritorno al suprematismo bianco e al nativismo xenofobo, presentandosi come voce del popolo. Nella zona ovest, di fronte a Villa Petridis, un edificio storico d’inizio secolo, c’è un intero palazzo occupato da Alba Dorata. In alto, la bandiera greca è sovrastata dal meandro, antico simbolo greco, su sfondo rosso e da croci celtiche. Per un attimo le due bandiere appaiono spiegate in maniera minacciosa, poi ci pensa un leggero colpo di meltemi8 ad arrotolarle su se stesse.

Malgrado la crisi e l’avanzata dell’estrema destra, è ancora vero che Salonicco è un crocevia di culture? “Sì, ancora oggi a Salonicco convivono queste tre culture: ebraica, turca e greca. Per noi non esistono discriminazioni religiose, la fede ortodossa convive con quella musulmana, l’ebraica con quella cattolica”, replica Aris, un albergatore cinquantenne, che, dopo la crisi del 2009, con una scelta controcorrente ha venduto il suo storico caffè nel centro di Salonicco per gestire la casa di famiglia nel villaggio di Nikiti, nella penisola Calcidica. “Posso considerarmi un uomo fortunato. Sono riuscito a sopravvivere anche durante la crisi. Il mio non è un vero e proprio lavoro, ma un modo di incontrare gli altri”. Aris ha fatto dell’accoglienza e dell’ospitalità il suo stile di vita, la sua personale, umanissima ricetta contro l’intolleranza e la discriminazione.

Gli chiedo se il peso della chiesa ortodossa e della religione è sempre così forte nella vita quotidiana. “La chiesa ortodossa è sempre andata a braccetto con l’impero ottomano. È stata l’alleanza di due poteri. Il potere della chiesa ortodossa l’avverti, lo senti sempre nella vita sociale in ogni suo aspetto. Pensa che l’istruzione in Grecia è sotto il controllo del Ministero dell’istruzione e degli affari religiosi! È una follia, una cosa opprimente!”

L’ex sindaco è stato anche uno dei primi a sostenere i diritti LGBT in Grecia e a promuovere l’organizzazione del primo festival Gay Pride a Salonicco. Si è dimostrato un politico molto coraggioso, controcorrente. “Anche per questo senso di libertà e di ribellione, la Chiesa ortodossa ha guardato l’ex sindaco con sospetto. Per non parlare della loro visione della donna, che ancora oggi per la Chiesa resta il Diavolo!” dice con preoccupazione Aris.

Infine, chiedo che cosa resta oggi dell’esperienza politica di Syriza e del governo Tsipras. “Beh, io provengo da una famiglia di sinistra. All’inizio, ho votato Tsipras, poi non ho condiviso alcune scelte, troppo lontane dalle mie idee di sinistra”. E Varoufakis? “Ah, lui sì, mi piace, però… chi lo ascolta oggi in Europa?”. Proprio Varoufakis, l’ex ministro che rassegnò le dimissioni in segno di protesta contro la troika, aveva dichiarato dopo il referendum del 2015: “Da domani l’Europa inizia a guarire le sue ferite”. Le ferite non sono state rimarginate e il senso di scetticismo nei confronti dell’Europa si è largamente diffuso. Proprio nella terra dov’è nata l’idea di Europa, la bellissima donna amata da Zeus che si tramutò in un toro bianco per poterla avvicinare e distendersi ai suoi piedi. Per usare un’immagine dell’ex ministro ed economista greco, di fronte al Minotauro globale oggi occorre costruire un altro presente.

1Il giudesmo è la lingua parlata dagli ebrei sefarditi del bacino del Mediterraneo.

2M. Mazower, Salonicco. Città di fantasmi. Cristiani, musulmani ed ebrei tra il 1430 e il 1950, Milano, Garzanti, 2007.

3“Il Pireo è il Pireo, la capitale, ma il punto d’incrocio tra i Balcani e l’Oriente e il porto rimane Salonicco. Il lato oscuro è qui” in Vinicio Capossela, Tefteri, Milano, Il Saggiatore, p. 31.

4Nell’isola di Chios, a Idomeni al confine macedone, a Ritsona nell’Attica.

5James Angelos, The full catastrophe, Broadway Books. Trad. it. a cura di Fabio Deotto, L’apostata, articolo estratto e riadattato in The Passenger Grecia, Iperborea, Milano, 2019, pp. 183-219.

6Il 7 ottobre 2020, la Corte d’appello di Atene ha riconosciuto Alba Dorata come organizzazione a delinquere, responsabile di omicidio, di tentato omicidio e di vari attacchi contro migranti ed esponenti della sinistra greca, decretando lo scioglimento del partito.

7Cas Mudde, Ultradestra, Luiss University Press, Roma, 2020.

8Il meltemi è un vento secco e tiepido che soffia periodicamente nell’area del mar Egeo, soprattutto in estate.