Stati, crimini, e crimini di Stato: l’omicidio di Giulio Regeni sei anni dopo

A sei anni di distanza dal rapimento e assassinio di Giulio Regeni al Cairo, verità e giustizia continuano ad eludere coloro che da anni le chiedono a gran voce. Presentiamo una versione abbreviata della «Giulio Regeni memorial lecture», tenuta da Elisabetta Brighi all’Università di Cambridge il 25 gennaio 2022. L’autrice ringrazia la Cambridge University Italian Society per l’invito e per l’organizzazione.

Murale di Eduardo Castaldo, Piazza Bellini, Napoli. Foto di E. Castaldo, per gentile concessione dell’autore.

A sei anni di distanza dal rapimento e assassinio di Giulio Regeni, lo studente di dottorato italiano dell’Università di Cambridge scomparso durante le sue ricerche sul campo al Cairo, Egitto, il 25 gennaio 2016, e ritrovato torturato e privo di vita nove giorni dopo, verità e giustizia continuano ad eludere coloro che da anni le chiedono a gran voce. Eppure conoscere la verità su questo crimine sarebbe importante ora più che mai. Nel murale che Eduardo Castaldo, detto edie, ha dedicato a Giulio Regeni a Piazza Bellini, Napoli, si legge che la «verità su Giulio è la verità sull’Egitto». A questo occorre aggiungere che dire finalmente la verità sull’assassinio Regeni vorrebbe dire inevitabilmente dire la verità anche su noi europei, sui nostri governi, e sulle loro responsabilità.

L’omicidio di Giulio Regeni ha segnato uno spartiacque, ha scritto recentemente lo storico egiziano Khaled Fahmy.1 Infatti, questo omicidio non è stato solo un attacco inaccettabile e senza precedenti al principio della libertà di ricerca, sempre più minacciata in paesi come l’Egitto, ma questo crimine ha rivelato l’ampiezza e la brutalità della repressione controrivoluzionaria in atto in Egitto, così come il senso di impunità ostentato dal regime del generale Abdel Fattah al-Sisi. Sebbene quattro ufficiali della National Security Agency siano stati ufficialmente accusati2 dell’omicidio Regeni all’interno del relativo processo in corso a Roma, il procedimento è attualmente in uno stato di stallo3 dato il continuo rifiuto da parte dell’Egitto di fornire gli indirizzi degli indagati, dei quali il regime nega qualsiasi responsabilità. L’impunità dell’Egitto, tuttavia, è solo una faccia della medaglia. L’altra ha il volto dei governi europei e delle loro complicità con il regime di al-Sisi.

IL FLUSSO DI ARMI TRA EGITTO E EUROPA

Secondo i dati dello Stockholm Peace Research Institute,4 l’Egitto è diventato il terzo importatore di armi al mondo, dietro solo all’Arabia Saudita e all’India. Le importazioni militari egiziane sono più che raddoppiate negli ultimi cinque anni. Di questo passo, l’Egitto diventerà presto la potenza marittima più importante della regione – e per questo primato l’Egitto deve ringraziare i propri alleati europei, la Francia e l’Italia soprattutto. Tra il 2013 e il 2017 la Francia ha sorpassato gli Stati Uniti5ed è diventata la prima nazione fornitrice di armi all’Egitto dopo la Russia (una posizione che gli Stati Uniti potrebbero, però, riprendersi dopo l’accordo di fornitura d’armi recentemente siglato tra Biden e al-Sisi).6 Attualmente un terzo di tutte le importazioni egiziane di armi proviene dalla Francia, e un quarto di tutte le esportazioni francesi vanno all’Egitto. Le esportazioni di armi francesi hanno registrato un incremento del 40% negli ultimi cinque anni – un incremento dovuto in gran parte alla crescente domanda proveniente dai paesi della regione mediorientale, in primis l’Egitto.

Ma la cooperazione militare tra Egitto e Francia va oltre alle statistiche. Poco prima di Natale, il sito di giornalismo investigativo Disclose ha rivelato dei documenti confidenziali che bene illustrano la profondità degli scambi in campo militare tra i due paesi. I cosiddetti ‘Egypt papers’ provano che tra il 2016 e il 2018 la Francia ha partecipato a una serie di esecuzioni extra-giudiziali al confine tra Egitto e Libia. Questi memorandum dettagliano inoltre l’ingente flusso di materiali e software di sorveglianza proveniente da quattro ditte francesi del settore – materiali e software che venivano regolarmente utilizzati dall’Egitto per monitorare e attaccare l’opposizione interna. Il fatto che la Francia abbia letteralmente armato la repressione di al-Sisi non è sfuggito al sistema giudiziario francese, che ha recentemente messo a processo quattro manager delle compagnie di sorveglianza interessate, condannandoli per «complicità nelle pratiche di tortura e sparizioni forzate in Egitto tra il 2014 e il 2021».7

Nel 2019 l’Egitto è anche diventato il maggior cliente di armi Italiane8 e tale è rimasto anche nel 2020, con un volume di trasferimenti militari autorizzati che è aumentato esponenzialmente tra il 2016 e il 2020: dai 7 milioni di Euro del 2016, a 60 milioni di Euro nel 2017, a 800 milioni di Euro nel 2019 e quasi 1 miliardo di Euro nel 2020.9 Questa crescita davvero imponente non è dovuta solo alla quantità di armi esportate, ma al tipo di armi. Il trend è cominciato nel 2015, sotto il governo di Matteo Renzi, quando si è registrato un forte aumento delle esportazioni di armi leggere e software di sorveglianza – esportazioni che, dunque, erano già in violazione della legge 185/90 che vieta le forniture a paesi impegnati in conflitti o che violano i diritti umani.10 Ma la tendenza è aumentata ulteriormente nel 2019, quando Egitto e Italia sono arrivati a concludere un accordo – storico per entrambi i paesi – per la fornitura di sistemi d’arma che, oltre alle 2 fregate già consegnate, include 4 fregate, 24 jet Eurofighter, un satellite militare, e 24 aerei da combattimento leggero M-346.11 È bene notare che gran parte di queste forniture sono state commissionate a compagnie, come Fincantieri, a partecipazione statale.

Se questo è vero nel settore militare, c’è un altro settore nel quale l’Egitto è letteralmente diventato il paese più importante al mondo per l’Italia, e questo è il settore degli idrocarburi. Come noto, nel 2015 la più importante compagnia energetica italiana, ENI, ha effettuato la scoperta del più grande bacino di gas naturale del Mediterraneo – il bacino di Zohr, che si trova a largo della costa egiziana. La compagnia ha bruciato le tappe per iniziare l’estrazione e la produzione di gas prima possibile e, grazie anche a ulteriori scoperte di bacini minori, consentire all’Egitto di raggiungere quell’autosufficienza energetica che solo 10 anni fa sarebbe stata impensabile per il paese mediorientale. Qualche settimana fa è giunta la notizia che all’ENI sono state concesse altre cinque licenze esplorative dal governo egiziano,12 il che conferma la posizione dell’Egitto come bacino di produzione più importante al mondo per la compagnia italiana.

LE RESPONSABILITÀ EUROPEE NELLA REPRESSIONE DI AL-SISI

Tra il 2016 e il 2020, dunque, si può concludere che proprio all’aumentare della repressione di al-Sisi si è intensificata anche la cooperazione militare e economica tra l’Egitto e i suoi partner europei, Francia e Italia soprattutto. La lotta al terrorismo ha fornito non solo un mantra particolarmente utilizzato dai governi delle due sponde del mediterraneo, ma ha fornito un pretesto per un poderoso processo di riarmamento di cui hanno beneficiato soprattutto le compagnie produttrici di armi e le élite al governo in Egitto e in Europa. In particolare, le ingenti forniture di armi – spesso finanziate grazie a prestiti13 elargiti all’Egitto dagli stati esportatori di armi – e gli investimenti di natura economica hanno creato una sempre maggiore interdipendenza tra le due sponde del Mediterraneo, al punto che oramai gli stati Europei hanno un interesse non solo politico ma anche finanziario nella sopravvivenza del regime di al-Sisi.

Undici anni dopo la fine delle rivolte arabe, e nonostante il sostegno dimostrato in un primo momento verso le istanze veicolate da quelle proteste di piazza, l’Europa sembra aver riscoperto il proprio amore per i dittatori.14 L’approccio cinico seguito dai governi europei negli ultimi anni è stato spesso giustificato in termini di interessi che prevalgono sui valori. Tuttavia, come noto, quella tra interessi e valori è una falsa oppsizione. In primo luogo, come dimostrato proprio dalle rivolte arabe, non c’è né reale stabilità né sicurezza di lungo periodo senza giustizia sociale, il riconoscimento dei diritti fondamentali e forme di democrazia. In secondo luogo, i tanto sbandierati «interessi nazionali» che queste politiche dovrebbero perseguire sono spesso tutt’altro che tali. Per parafrasare James Rosenau, occorre chiedersi quali interessi siano considerati nazionali, e perchè? Pare ovvio che nel caso della cooperazione militare con l’Egitto gli interessi nazionali siano stati appiattiti sugli interessi dell’industria della difesa e delle élites di governo sulle due sponde del Mediterraneo. Ma questi interessi non rappresentano quelli delle nazioni coinvolte – semmai è vero il contrario, visto che spesso le popolazioni diventano il bersaglio di tali politiche di riarmamento. In terzo luogo, la credibilità dell’Europa è in forte crisi nella regione Mena.15 Questo è dovuto almeno in parte al fatto che, come ha affermato di recente un noto difensore dei diritti umani egiziano, i governi europei «si stanno comportando da nemici della democrazia», piuttosto che da democrazie davvero intente ad aiutare gli altri stati nelle loro transizioni democratiche. Il danno in termini di reputazione è già piuttosto grave, ma grave è anche il fatto che gli standard democratici nei paesi europei si stiano deteriorando a causa di un effetto che è difficile non definire come di boomerang.

Secondo un vecchio adagio, «la verità ha molti nemici, le menzogne molti amici». La verità riguardo a cosa è successo a Giulio Regeni è una verità estremamente sconveniente. È sconveniente per il regime egiziano, che dapprima ha imposto una censura alla stampa egiziana sul caso e poi ha provato a sviare le indagini in qualsiasi modo, arrivando anche a diffondere una serie di teorie cospirative senza fondamento. Ma è una verità sconveniente anche per i governi europei, specialmente per l’Italia. Ci sono settori dello stato italiano che hanno interessi ingenti nello stato egiziano, non da ultimo l’interesse a mantenere inalterati i livelli di cooperazione in corso. Alcuni attori e rappresentanti dello stato italiano sono arrivati, dopotutto, a dare peso e credibilità alla propaganda egiziana sul caso. Basta appena ricordare la vicenda del video The Story of Regeni,16 apparso nella primavera 2021 a ridosso dell’inizio del processo. A questo video parteciparono ex rappresentanti dello stato italiano, come l’ex Ministra della Difesa, Elisabetta Trenta; consiglieri e alti funzionari militari, come Leonardo Tricarico; e noti giornalisti come, Fulvio Grimaldi – tutti intenti a discolpare l’Egitto ed additare altri possibili colpevoli altrove. Questo, peraltro, non deve sorprendere. Dopotutto è stato un capo di governo italiano a definire al-Sisi «un grande leader»17 – proprio lo stesso Matteo Renzi che era Presidente del Consiglio quando Giulio Regeni scomparì al Cairo sei anni fa. Ciò che è certo è che la strategia italiana per assicurare una sufficiente cooperazione da parte dell’Egitto è fallita, come ha dichiarato recentemente il Presidente della Commissione Regeni, on. Erasmo Palazzotto.18

Nel 1919 Antonio Gramsci scrisse che «dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere un atto rivoluzionario».19 Dire la verità sull’omicidio di Giulio Regeni significa dire la verità sull’Egitto, ma significa anche dire la verità su noi europei, sui nostri governi e le loro corresponsabilità. È per questo che, oggi più che mai, arrivare insieme a questa verità sarebbe non solo politicamente importante ma, a undici anni dalle rivolte arabe e a sei anni dalla tragica morte di Giulio Regeni, sarebbe un atto davvero rivoluzionario.

1Kh. Fahmy, «I pericoli per la ricerca accademica nell’Egitto di al-Sisi» in L. Casini e D. Melfa (a cura di), Minnena 2. Repressione, disinformazione e ricerca tra Egitto e Italia, Messina, Mesogea, 2022.