I nodi sul tavolo: emergenza clima e repressione.

COP27. Nord Africa-Medio Oriente, una regione esposta ai cambiamenti climatici.

Fino al 18 novembre, la località balneare di Sharm el-Sheikh ospiterà la 27ª Conferenza delle Parti (COP27). Dopo il Marocco (2001, 2016) e il Qatar (2012), quest’anno spetta all’Egitto presiedere i lavori del nuovo vertice sul clima e ambiente. L’obiettivo del summit in corso è quello di trovare soluzioni che consentano all’umanità di adattarsi ai cambiamenti climatici. Il punto della situazione.

Alberi di arancio inariditi nella regione di Agadir, dopo la decisione delle autorità marocchine di deviare il corso d’acqua dalle dighe che irrigavano le fattorie verso le aree residenziali, per garantire l’approvvigionamento di quasi un milione di persone, a seguito della siccità sempre più forte (ottobre 2020)
Fadel Senna/AFP

All’ordine del giorno della 27ª Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (COP) che si è aperta il 6 novembre in Egitto: maggiori finanziamenti, cooperazione multilaterale e più fonti energetiche rinnovabili e meno fossili. Per il Medio Oriente e il Nord Africa, tre questioni sul tavolo che rappresentano altrettante sfide per una regione dalle forti disparità economiche, oltre a numerosi conflitti armati e una dipendenza dai combustibili fossili a cui è difficile ovviare. Il cambiamento climatico resta, più che altrove, una realtà a cui gli Stati e le società devono adeguarsi al fine di limitarne gli effetti deleteri.

Una ripartizione diseguale delle responsabilità

I successivi rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) concordano nel presentare uno stato della ricerca scientifica a sostegno dell’ipotesi di un riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas serra (GHG) d’origine antropica. Un riscaldamento che, a sua volta, sta causando un cambiamento climatico, le cui ripercussioni sono già tangibili, anche se non colpiscono in egual misura le diverse parti del globo. Se si escludono le regioni polari o le vette più alte, la regione del Nord Africa e Medio Oriente è la più vulnerabile ai futuri cambiamenti. Ma ha senso individuare le responsabilità di questo fenomeno, quando le disparità socioeconomiche sono così grandi tra gli Stati e anche al loro interno?

Il pianeta ha emesso 34 milioni di chilotoni (kt) di CO2 nel 2019, e il 7% di queste emissioni, equivalenti a 2,5 milioni di kt, sono dovute ai paesi dell’area MENA1.

Ci sono notevoli differenze tra lo Yemen, che ha emesso 11.000 kt, e l’Iran, con 630.000 kt, che ne fa il sesto paese al mondo per numero di emissioni. Rispetto ai grandi “inquinatori”, come Cina, Stati Uniti e India, l’area MENA rappresenta una parte relativamente esigua sul totale. Tuttavia, quando si esaminano le emissioni per persona, il bilancio si fa molto più pesante. Infatti, dei primi 10 paesi per emissioni di CO2 pro capite nel mondo, 6 fanno parte dei paesi del Golfo. Ancora una volta, ci sono contrasti significativi tra lo 0,4 T/persona per gli yemeniti contro il 32 T/persona per i qatarioti; la media per la regione è del 5,6 T/persona (contro il 4,5 T/persona su scala globale). È evidente la correlazione tra le emissioni di anidride carbonica e il livello di ricchezza. Di conseguenza, il PIL pro capite è di 690$ (691,05 euro) per lo Yemen, mentre sale a 60.000$ (60091,5 euro) per il Qatar, 90 volte più elevato. Qui abbiamo preso i due estremi in modo da mettere in evidenza il contrasto. La media pro capite della regione è di circa 7.700$ (7711,74 euro).

Lo sviluppo urbano può anche spiegare l’aumento della quota di emissioni. Il settore delle costruzioni, che richiede una gran quantità di cemento (il 15% della produzione globale si trova in Medio Oriente), ma soprattutto lo stile di vita urbano, fanno aumentare in maniera esponenziale il consumo di energia elettrica. L’uso dei condizionatori, spesso spinto all’eccesso, oltre al consumo di energia elettrica, produce l’emessione di un gas serra particolarmente attivo, l’idrofluorocarburo2.

Però a rilasciare la maggior parte dei gas serra, resta sempre la combustione di combustibili fossili, durante l’estrazione, o per esigenze energetiche. Ed è a questo proposito che l’area MENA svolge un ruolo centrale nella misura in cui quasi il 65% delle riserve di oro nero si trova lì e 7 dei 13 membri dell’OPEC3 provengono dalla regione. La dipendenza dalle rendite di petrolio (o gas) rappresenta quindi un ostacolo che questi paesi dovranno superare se vogliono che la loro transizione ecologica vada in porto.

Un impatto già devastante

Nell’area MENA, il cambiamento climatico ha già iniziato a mostrare i suoi effetti. Tra il 1960 e il 1990, la temperatura è aumentata di 0,2°C per decennio e da allora la crescita ha registrato un’accelerazione. Le conseguenze sulla regione, che ha, a livello locale, una diversità climatica e di ambienti naturali, anche se la caratteristica principale è l’aridità, tendono a:

➞ un aumento globale delle temperature;
➞ aumento della pressione sulle risorse idriche;
➞ un aumento, se non in numero, almeno in intensità, di eventi climatici estremi (siccità, ondate di calore, inondazioni);
➞ innalzamento del livello medio del livello del mare.

Per la prossima conferenza di Parigi sulla biodiversità (COP15) dal 5 al 17 dicembre a Montréal4, gli esperti dell’IPCC hanno previsto un aumento della temperatura globale tra i 2°C e i 4°C entro il 2050, a seconda delle diverse condizioni. Per via del suo ambiente, nell’area MENA si dovrebbe registrare un aumento ancor più considerevole. Si prevede che le temperature aumenteranno, con una media dai 3°C ai 4°C per un incremento globale di 2°C, e fino a un previsto +8°C con un aumento complessivo di 4°C. Il riscaldamento medio si concentrerà in particolare nei mesi estivi, il che fa temere un incremento delle ondate di calore. Anche la distribuzione spaziale di questo aumento non sarà uniforme. In realtà, saranno le aree desertiche dell’Algeria, dell’Arabia Saudita o dell’Iraq ad essere maggiormente interessate dal riscaldamento globale.

A titolo puramente indicativo, ecco alcuni dati che illustrano le previsioni degli esperti in merito ai cambiamenti climatici in Nord Africa e Medio Oriente:

➞ Le notti più calde hanno attualmente una temperatura media inferiore a 30°C. Già a partire dal 2050, dovrebbero superare tale soglia e, con una previsione d’aumento di +4°C, dovrebbero raggiungere addirittura i 34°C entro la fine del XXI secolo.
➞ Le temperature massime, che hanno una media oggi di 43°C, dovrebbero avvicinarsi a 47°C entro la metà del secolo, e toccare i 50°C entro il 2100, nella peggiore delle ipotesi.
➞ In questo inizio secolo, le ondate di calore durano in media 16 giorni. Per l’anno 2050, la loro durata dovrebbe oscillare tra gli 80 e i 120 giorni, e fino ai 200 se la temperatura globale aumenterà di 4°C.

Risulta una maggiore incertezza negli indicatori delle precipitazioni. Le proiezioni vengono esaminate con cautela dato il valore ipotetico dei modelli. Tuttavia, si possono individuare alcune tendenze generali, che non lasciano presagire nulla di buono per la regione. Con un incremento della temperatura globale di 2°C, i paesi che si affacciano sulla costa meridionale del Mediterraneo dovrebbero vedere una diminuzione del livello di precipitazioni annue, laddove per la costa dell’Oceano Indiano, soggetta al regime dei monsoni, ci sarà maggiore umidità. In maniera schematica, a nord del 25° parallelo si dovrebbe assistere a una diminuzione generale delle precipitazioni, che, insieme all’aumento dell’evaporazione (dovuta all’aumento della temperatura), potrebbe portare alla desertificazione dell’area, mentre la zona a sud del 25° parallelo sarà ancor più umida. Da una parte all’altra di questa linea immaginaria, tuttavia, non saranno al sicuro dall’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, con un rischio crescente di inondazioni o siccità. E quella che sta colpendo il bacino del Mediterraneo orientale dal 1998, è, a pieno titolo, la peggiore siccità degli ultimi 900 anni.

Peggioramento dello stress idrico e innalzamento del livello del mare

Un clima più caldo potrebbe rendere molti territori inabitabili. Nel resto della regione, l’accesso all’acqua rischia di diventare ancora più problematico di quanto non lo sia già. 11 dei 17 paesi più colpiti dallo stress idrico si trovano nell’area MENA. Il 90% dei bambini di questa parte del mondo vive in un’area di stress idrico tra l’elevato e l’estremamente elevato, con conseguenze significative sul loro sviluppo mentale e fisico.

Il cambiamento climatico sta aggravando una situazione di scarsità preesistente. Vanno presi in considerazione anche altri fattori, come l’incremento demografico, la mancanza di infrastrutture per il trattamento delle acque reflue, insieme a una negligenza quasi generalizzata degli Stati. Non bisogna tuttavia dimenticare che l’80% del consumo d’acqua è dovuto al settore dell’agricoltura (rispetto al 70% su scala mondiale).

Si prevede inoltre che lo scioglimento dei ghiacciai e l’espansione termica degli oceani causeranno, nel 2100, un innalzamento del livello del mare di circa 25 cm a livello globale. La regione del MENA confina con l’Oceano Atlantico, il Mediterraneo, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano, il Golfo Persico e il Mar Caspio. Ad eccezione di quest’ultimo, per cui si prevede un abbassamento del livello fino a 9 metri, i mari e gli oceani rappresentano una minaccia per le popolazioni che vivono sulla costa. Città come Alessandria o Bassora sono particolarmente vulnerabili all’innalzamento del livello del mare, cosa che colpirebbe milioni di persone. Anche le monarchie del Golfo si trovano in aree ad alto rischio.

Insicurezza alimentare, rischi per la salute, disuguaglianze di genere

Il cambiamento climatico non influisce solo sulle temperature e sulle risorse idriche, ma, con un effetto domino, rischia di destabilizzare anche società e Stati in una regione già in conflitto. Uno dei principali timori legati alle conseguenze indirette dei cambiamenti climatici in Nord Africa e Medio Oriente è la sicurezza alimentare. Difatti, la regione è strutturalmente dipendente dalle importazioni alimentari, in particolare di cereali. Anche se i paesi dell’area MENA rappresentano solo il 4% della popolazione mondiale, rappresentano tuttavia un terzo dell’acquisto mondiale di cereali. Oltre a questa dipendenza, la perdita di potenziale agricolo dei terreni, a causa dei cambiamenti climatici, aggraverebbe una situazione già tesa. Per molti paesi, si stima che il calo della produzione agricola sarà del 20%. Il rapporto tra insicurezza alimentare e instabilità politica è ormai pienamente provato dopo le “rivolte della fame” che hanno colpito diversi paesi della regione nel 2007-2008 e, ancor di più, sono all’origine della “primavera araba” del 2011. La malnutrizione colpisce già 55 milioni di persone che vivono nella regione.

Con l’aumento delle temperature e delle ondate di calore, gli organismi saranno messi a dura prova. In alcune zone della costa del Golfo Persico, il fenomeno delle ondate di calore umido (“bulbo umido”5) sta rendendo la vita particolarmente difficile, o addirittura impossibile, senza adeguate misure o dispositivi (aria condizionata, isolamento, ecc.).

Il calo della biodiversità è un’altra grande paura legata al riscaldamento globale. Tuttavia, alcune specie di parassiti, come scarafaggi o ratti, riusciranno più facilmente ad adattarsi alle nuove condizioni, promuovendo la diffusione di malattie.

Le popolazioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici sono quelle che non dispongono di risorse finanziarie, culturali e sociali per organizzare la loro resilienza. Le conseguenze del riscaldamento globale, indicate in precedenza, potrebbero aggravare una situazione già abbastanza sotto pressione per alcuni gruppi sociali.

In primo luogo, potrebbe verificarsi un incremento delle disuguaglianze di genere. L’accesso alla proprietà fondiaria e all’occupazione è già distribuito in maniera non equa in tutta la regione. A parte l’agricoltura, dove la parità è d’obbligo, le donne rappresentano oggi solo il 30% della forza lavoro. Oltre alla disparità salariale, in tale situazione economica le donne risultano indubbiamente svantaggiate. Nelle zone rurali, la fornitura d’acqua e legna da ardere è un compito che spetta esclusivamente alle donne. Con la crescente scarsità di risorse, le donne sarebbero costrette ad andare sempre più lontano, con un aumento del disagio e soprattutto con il rischio di essere aggredite. Inoltre, le ragazze sono le prime a essere costrette a lasciare la scuola quando la situazione familiare peggiora, nonostante abbiano spesso risultati scolastici migliori rispetto ai loro coetanei maschi. In contesti emotivamente stressanti che potrebbero verificarsi in alcune società a causa dei cambiamenti climatici, potrebbe esserci il rischio anche di un aumento dei casi di violenza domestica.

Prima dell’ondata rivoluzionaria che ha travolto la regione nel 2011, circa una famiglia su tre (in genere) aveva tra i suoi membri un migrante. L’area MENA conta oggi 40 milioni di migranti e 14 milioni di sfollati interni. Le cause delle migrazioni sono molteplici e, allo stato attuale, il cambiamento climatico rappresenta solo una piccola parte di questo fenomeno. Le condizioni di vita dei migranti, in particolare dei rifugiati yemeniti e siriani, sono destinate però a peggiorare a causa dei cambiamenti climatici. La previsione è che le opportunità economiche tenderanno a esaurirsi e le rotte migratorie diventeranno sempre più pericolose. I migranti climatici dovrebbero presto fare la loro comparsa nell’area MENA, sia stranieri sia provenienti dalla regione.

Gli Stati dell’area MENA possono però vantare una gestione comune della crisi post-catastrofe. Nel caso di cambiamenti climatici, alcuni paesi hanno già avviato alcuni programmi per migliorare la loro resilienza o ridurre le loro emissioni di gas serra. Tuttavia, bisogna considerare che ciò non vuol dire che la generazione degli attuali leader sia pienamente consapevole delle sfide future. Questa almeno è l’impressione che si ha guardando l’Arabia Saudita organizzare i prossimi Giochi asiatici invernali del 2029 o la COP 27 sponsorizzata da... Coca-Cola.

1Il termine MENA è l’acronimo di Middle East & North Africa. Si riferisce ad un’ampia regione, estesa dal Marocco all’Iran, che include la maggior parte sia degli Stati mediorientali che del Maghreb. La popolazione della regione MENA, secondo la sua estensione minima, è di circa 381 milioni di persone, circa il 6% della popolazione totale del mondo. [NdT].

2I Freon o Idrofluorocarburi (HFC) sono i gas refrigeranti ad oggi più diffusi sul mercato. Sono i refrigeranti di terza generazione in quanto hanno sostituito i Clorofluorocarburi (CFC) e gli Idroclorofluorocarburi (HCFC), dannosi per l’ozono. [NdT].

3L’OPEC, Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, è attualmente composto da 13 stati: Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Venezuela (paesi fondatori) e Algeria, Angola, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Guinea Equatoriale, Libia, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo. Hanno, invece, lasciato l’OPEC: Ecuador (2020), Indonesia (2016), Qatar (2019). [NdT].

4Ci sono anche Conferenze delle Parti dedicate alla biodiversità. Si basano sulla Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica e si svolgono ogni due anni.[Ndr].

5In inglese Wet-bulb temperature. Per temperatura di bulbo umido si intende la temperatura più bassa ottenibile dall’evaporazione dell’acqua nell’aria a pressione costante. Un parametro che permette di capire le condizioni di temperatura e umidità relativa a una determinata zona. [NdT].