Terrorismo

Cosa resta di Al-Qaida ?

Da organizzazione unificata, incarnazione del jihad internazionale, Al-Qaida si è trasformata nel corso dei decenni in attrice di più insurrezioni in tutto il mondo. In seguito all’intervento americano del 2001, i suoi adepti si sono sparpagliati a partire dal focolaio afghano su diversi teatri di guerra, specialmente nella regione del Sahel.

Osama bin Laden (1998)
AFP

Al-Qaida1 è sopravvissuta alle morti violente dei suoi due principali fondatori: il palestinese Abdallah Azzam e il saudita Osama Bin Laden; l’uno, teorizzatore del jihad proveniente dalla causa palestinese, e l’altro, ricchissimo ereditiere legittimato dalla sua aura yemenita. Entrambi sono stati uccisi in Pakistan a distanza di 22 anni, Azzam a Peshawar in un bombardamento nel 1989 e Bin Laden ad Abbottabad sotto il fuoco di un commando americano nel 2011.

La caduta dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan in seguito all’intervento americano del 2001 spinge nuovamente Bin Laden e i suoi uomini sulla via dell’esilio. Privato della nazionalità saudita e del suo rifugio sudanese qualche anno prima, Bin Laden si ritrova quindi senza santuario. È così che la sua famiglia si rifugia in Iran insieme a dei membri dell’alto comando dell’organizzazione, alcuni dei quali vi si trovano ancora oggi, come l’egiziano Saif Al-Adl. Quanto a Bin Laden, passerà insieme ad altri la frontiera con il vicino Pakistan. Ma invece di spegnersi, Al-Qaida si trasferirà per sopravvivere, e sarà un altro intervento americano a dargli nuovo respiro, questa volta in Iraq.

Se la branca mesopotamica sostiene la casa madre

È con l’installazione di Al-Qaida in Mesopotamia che nel 2003 si attua uno dei primi trasferimenti del gruppo sotto il comando del celebre Abu Musab al-Zarqawi. Quest’ultimo è un pregiudicato giordano, respinto da Bin Laden qualche anno prima in Afghanistan, e infine accettato tra i ranghi di Al-Qaida dopo la disfatta dei talebani e l’intervento americano in Iraq del 2003. Dopo aver attraversato l’Iran, Zarqawi viene ricevuto dai primi jihadisti d’Iraq, ovvero i curdi di Ansar al-Islam di Halabja nel Kurdistan iracheno, e diventa molto velocemente uno degli “alibi” più sfruttati dall’amministrazione Bush che lo accusa (a torto) di mettere in relazione Al-Qaida e Saddam Hussein. Si dice anche ufficialmente che Zarqawi cerchi di munire Al-Qaida di un armamento chimico con il sostegno del regime iracheno. Ora si sa che queste affermazioni non avevano alcun fondamento…

L’intervento americano sconvolge radicalmente l’equilibrio di forze. Bin Laden, che ha perso in buona parte i sostegni, i mezzi e le reti di cui godeva prima dell’11 settembre, ha ormai bisogno di Zarqawi. All’interno di questa equazione, sarà la nuova branca irachena a sostenere finanziariamente Al-Qaida centrale, assicurandole continuità in termini di esistenza e reclutamento sulla scena internazionale. Nel 2003 gli Stati Uniti, prima potenza mondiale, “vittoriosa” secondo i suoi dirigenti, è di fatto invischiata in due conflitti asimmetrici e si trova alla portata dei jihadisti di Al-Qaida. Bin Laden è riuscito così a realizzare il suo desiderio: “attirare gli Stati Uniti sul campo di battaglia”

Tuttavia, si apre un dibattito trai vertici di Al-Qaida riguardo ai benefici che una filiale irachena guidata da Zarqawi potrebbe portare. L’uomo, benché carismatico, ha un effetto repellente tra “la comunità dei musulmani” per via della sua radicalità, delle sue mire contro la comunità sciita e del suo gusto per l’ostentazione morbosa2.Il dibattito si spegne dato che Zarqawi viene ucciso dalle forze americane nel giugno 2006. Qualche mese più tardi, diversi gruppi iracheni, tra cui Al-Qaida in Mesopotamia, si uniscono ad altri clan sunniti per formare lo Stato Islamico dell’Iraq, embrione dell’attuale Stato Islamico (IS).

La branca irachena di Al-Qaida si dissolve quindi all’interno di questa nuova formazione. Pur non essendo il fondatore dell’IS, Zarqawi ne è il padre spirituale. Nel 2007, Ayman Al-Zawahiri (numero uno al tempo) annuncia pubblicamente che Al-Qaida non è più presente in Iraq. Per alcuni sostenitori alla zona di influenza, bisogna infatti dissociarsi dalle azioni degli eredi di Zarqawi e dai loro metodi; per altri, Al-Qaida ha appena preso atto della perdita di un territorio a forte potenziale in favore di un gruppo che potrebbe eclissarla. L’organizzazione non potrà più fare ritorno in Iraq. Le conseguenze di questa separazione si concretizzano definitivamente in un divorzio sanguinoso sei anni più tardi in Siria e nell’espansione mondiale dell’IS.

Sul fronte del Maghreb…

L’Algeria è uno dei primi paesi a subire il ritorno al loro paese di origine di certi “afghani arabi” all’inizio degli anni ’90. Seguirà il “decennio nero”, con i drammi, le manipolazioni, le atrocità e l’amnistia generale del 2002 che metterà fine alla guerra civile, senza contare gli irriducibili tra i jihadisti, che nel 1998 formano il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (GSPC) con il fine di “purificare i ranghi dagli infiltrati e dai devianti”. Il GSPC giura fedeltà ad Al-Qaida nel 2007 sotto il nome di Al-Qaida nel Maghreb islamico (AQMI). L’architetto di tale decisione è il defunto Abu Musab Abdel Wadoud Droukdel.

Le forze armate algerine mettono il gruppo in gran difficoltà sin dalla sua formazione, costringendolo a cercare alternative ai santuari sulle montagne o, in mancanza di altro, delle vie di rifornimento per sopravvivere alla pressione sempre maggiore. Il 2009 vede l’uscita di AQMI dal territorio algerino con la conferma della sua presenza nel Mali del Nord e la rivendicazione di un attacco diretto all’ambasciata francese a Nouakchott, capitale della Mauritania. Il caos delle rivoluzioni arabe aiuta: AQMI e Al-Qaida in generale vedono di buon occhio i sollevamenti delle “primavere arabe” e sostengono con dei comunicati l’Hirak in Algeria e le manifestazioni di Khartoum e Bamako. Dal 2011 AQMI trova degli alleati anche dal lato tunisino della frontiera in Ansar Al-Shari’a, poi dissoltasi e chiamatasi Unità Ukba Ibn Nafi che dal 2015 rivendica operazioni a nome di AQMI. Più membri di questo gruppo trovano rifugio presso Ansar Al-Shari’a in Libia, mentre centinaia sono già partiti dalla Tunisia e dalla Libia verso il Levante, principalmente per unirsi ai ranghi di Al-Qaida dal 2012, e dello Stato Islamico e del Levante (ISIL) dal 2013. I legami tra le due versioni di Ansar Al-Shari’a sono molto forti; Abu Ayad Al-Tunsi è al capezzale di Mohamed Al-Zahawi, emiro di Ansar Al-Shari ’a in Libia, quando questi muore in combattimento a Bengasi nel 2015 contro l’esercito nazionale libico del maresciallo Khalifa Haftar.

… e del Sahel

Con la destituzione di Mu’ammar Gheddafi a fine 2011, unità intere dell’esercito libico si trovano abbandonate a loro stesse. Tra queste ci sono le unità a maggioranza tuareg originarie del Mali del Nord, i cui combattenti decidono di fare ritorno al loro paese. Questi spingono l’esercito maliano fino al centro del territorio, ma sono estromessi a loro volta dai jihadisti che li hanno spalleggiati contro l’esercito maliano. I pochi mesi di potere jihadista che seguono nel Mali del Nord nel 2012 sono ricchi di insegnamenti: si constatano un tentativo di amministrare il territorio e le popolazioni, ma anche una trasgressione delle direttive e degli ordini di AQMI, che invitava a un’applicazione misurata della sharia per conquistare i cuori e le menti. I pochi mesi di governo si concludono con l’intervento francese nel gennaio 2013.

Oggi JNIM è profondamente inserito nelle dinamiche dei conflitti locali, nel tessuto sociale e in quello economico. Tuttavia, il gruppo esprime a più riprese il suo desiderio di negoziare, affermando che la guerra con la Francia si limita al Sahel. Concetto insolito per una branca di Al-Qaida, quello di “guerre epiche jihadiste” per raggiungere obiettivi più realisti. Paradossalmente, i paesi occidentali, Francia compresa, si trovano rinchiusi in una guerra senza fine “contro il terrorismo”. Queste sono certamente dichiarazioni politiche e si rivolgono all’opinione pubblica africana, francese ed europea, ma sono anche la conseguenza della pressione militare francese e della guerra in corso con l’IS dopo la fine dell’eccezione nel Sahel di fine 2019. Ciò non impedisce a JNIM di tenere un ostaggio francese, il giornalista Olivier Dubois, né di avere delle mire ancora più a sud verso i paesi del Golfo di Guinea, zona in cui si concentrano interessi strategici per la Francia e che ancora sfugge alla portata del rivale Stato Islamico.

Un fallimento strategico

Il 2017, anno dell’avanzamento strategico nel Sahel, compensa il pesante fallimento dell’organizzazione in Siria dell’estate 2016, il cui principale responsabile non è altri che il siriano Abu Muhammad al-Jawlani. Quest’ultimo combatteva inizialmente tra i ranghi dello Stato Islamico dell’Iraq quando in Siria scoppiano la rivoluzione e poi la guerra. Nel 2012, il defunto Abu Bakr Al-Baghdadi decide di rimandarlo al suo paese d’origine, insieme a un pugno di altri uomini e alla metà della tesoreria del gruppo, all’epoca molto indebolito. I jihadisti approfittano del terreno favorevole e delle reti logistiche preesistenti in Siria per passare all’azione. Reclutano tra i ranghi dei ribelli e tra la popolazione, e prendono il nome di Fronte al-Nusra, che diventa uno dei gruppi più efficienti nel mosaico di formazioni ribelli siriane.

Nel 2012 i primi combattenti stranieri arrivano sul suolo siriano. Jawlani agisce troppo indipendentemente e rifiuta di eseguire alcuni ordini, giudicati “illegittimi”, della sua gerarchia irachena, e per questo Baghdadi annuncia la dissoluzione del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico dell’Iraq, per poi creare l’ISIL a inizio 2013. Jawlani rifiuta di disgregare il suo gruppo e giura fedeltà ad Al-Qaida e al successore di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri. Il Fronte al-Nusra diventa quindi ufficialmente la branca siriana di Al-Qaida ed entra in guerra aperta con l’ISIL. Col passare dei mesi, gli uomini di Jawlani perdono la guerra inter-jihadista contro l’IS, trasformatosi in califfato nell’estate 2014, e si trovano confinati nella regione di Idlib e dintorni.

Il gruppo prende le distanze da Al-Qaida nel 2016, inizialmente di comune accordo, quando uno dei più alti responsabili di Al-Qaida, Abu al-Khayr al-Masri, annuncia al fianco di Jawlani la rottura amichevole tra le due entità. Quest’ultimo però rompe rapidamente l’accordo e il suo gruppo finisce per bandire i comandanti e membri di Al-Qaida da Idlib. Oggi molti di quelli che non sono stati cacciati o uccisi sono imprigionati. Jawlani fornisce delle prove alla comunità internazionale tra cui, secondo alcune fonti jihadiste, le informazioni che hanno permesso agli americani di individuare e uccidere una buona parte dei comandanti di Al-Qaida presenti sul territorio siriano.

Un’organizzazione decentralizzatz

Dopo più di tre decenni di esistenza, non bisogna credere che Al-Qaida sia un’organizzazione che opera esclusivamente al fine di colpire l’Occidente e gli occidentali, malgrado gli attentati commessi sul territorio europeo e negli Stati Uniti3. Il percorso del gruppo è tanto terrorista quanto insurrezionale e politico, e il terrorismo non è che uno strumento al servizio di un fine politico. Al-Qaida ha sempre cercato di inserirsi in territori spesso già in guerra prima dell’installazione jihadista. È stato così in Afghanistan, in Somalia, nello Yemen, in Iraq, in Siria, in Libano, in Mali, etc.

Colpire il nemico vicino o quello lontano alla fine non è che una questione di opportunità e di circostanze, sempre al servizio del progetto jihadista e sociale di Al-Qaida. La decentralizzazione a oltranza del gruppo è stata confermata pubblicamente da Anabi, oggi a capo di AQMI: “Al-Qaida centrale si accontenta di dare direttive generali che le branche cercano di seguire con i loro mezzi”. Spetta quindi a ogni branca la gestione della propria quotidianità operativa, delle alleanze e delle finanze, il che non esclude l’aiuto tra le diverse entità e tra loro e Al-Qaida centrale, né le consultazioni a diversi livelli e all’interno del comitato Hattin che riunisce le figure principali del gruppo.

Al-Qaida continuerà probabilmente a prosperare nei territori dove è riuscita a resistere alla pressione e alle sfide militari e ideologiche imposte dall’IS dopo l’uscita di questo dal suo ecosistema iracheno. Tutte le ragioni obiettive che hanno portato al suo sviluppo globale e in seguito a quello dell’IS perdurano. E non è certo l’Afghanistan, malgrado la vittoria dei talebani che Al-Qaida considera come propria, né il Levante a rappresentare il teatro più promettente per il suo sviluppo, quanto piuttosto il continente africano. È là che l’organizzazione ha oggi le branche più attive, nel Sahel e in Somalia, e che si è ostentatamente rivelata al mondo attraverso gli attentati simultanei di Nairobi in Kenya e di Dar es Salaam in Tanzania contro le ambasciate americane nell’agosto 1998.

1Questa panoramica dell’evoluzione dell’organizzazione non pretende di essere esaustiva.

2Ha personalmente tagliato la gola dell’ostaggio americano Nicholas Berg, vestito in arancione per ricordare i detenuti di Guantanamo. Un video della decapitazione è stato pubblicato su Internet e fara scuola

3L’ultimo attacco di Al-Qaeda in Europa è stato l’attacco di Charlie Hebdo nel gennaio 2015, e negli Stati Uniti l’attacco di Pensacola in una base della marina americana nel dicembre 2019. Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati da Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), la filiale yemenita del gruppo.