Esaminare il materiale che abbiamo raccolto tre mesi dopo l’assegnazione della Coppa del Mondo di calcio al Qatar nel 2011 può dare un’immagine di com’era la capitale Doha, oggi sotto i riflettori per l’evento sportivo in corso. Un lavoro che invita inoltre a non ridurre la città alle immagini delle sue infrastrutture sportive – all’epoca, nel 2011, appena costruite – o del suo skyline, centro della comunicazione ufficiale dell’Emirato, che oggi sono ovunque.
La serie di scatti inediti che qui presentiamo sottolinea soprattutto due aspetti della trasformazione di Doha nel corso del decennio di preparazione al Mondiale. In primo luogo, le foto testimoniano che, se è vero che un gran numero di cantieri è stato avviato dopo l’assegnazione della Coppa del Mondo, questi ultimi sono in continuità con i grandi lavori avviati negli anni 2000, al fine di realizzare una diversificazione economica post-idrocarburi. Il primo decennio degli anni 2000 è stato anche quello dell’affermazione del soft power del Qatar nel campo dello sport, dell’istruzione e della cultura, nonché della clientelizzazione delle élite di tutto il mondo. Le principali realizzazioni urbanistiche prefiguravano già allora l’attuale trasformazione di Doha, con una crescente capacità d’attrazione internazionale: il complesso universitario Education City che ospita dal 1999 varie sezioni di atenei stranieri, l’inaugurazione del “quartiere dello sport” (e della sua accademia) nel complesso sportivo Aspire Zone nel 2004, l’organizzazione dei Giochi asiatici e la riqualificazione del mercato Souq Waqif nel 2006, la costruzione dell’isola artificiale The Pearl nel 2007, l’apertura del Museo d’arte islamica nel 2008, e molti altri.
In secondo luogo, questa serie di scatti mostra anche una parte della città che non esiste più: parliamo del quartiere centrale di Msheireb, distrutto per tre quarti nel 2011 nell’ambito di un’operazione “ruspa” di rinnovamento urbano, o di altri spazi fuori dal centro o periferici, però abitati e da anni destinati agli stranieri (che costituiscono l’88% della popolazione del Qatar). Questa città popolare, frutto di antichi traffici e logiche transnazionali, non è completamente scomparsa per effetto di queste grandi opere, ma, già nel 2011, sembrava a rischio a causa dalle nuove politiche di urbanizzazione in atto.
La grande trasformazione urbanistica
In un decennio, sono stati costruiti3 sette stadi (su dodici inizialmente previsti!), è stata realizzata una rete di metropolitane4 e autostrade, sono stati creati un nuovo aeroporto e migliaia di camere d’albergo, sono stati portati a termine un museo nazionale (opera di Jean Nouvel) e una nuova città, Lusail City. E proprio a Lusail, nel nuovissimo Iconic Stadium firmato dallo studio Foster and Partners, si terrà la finale della Coppa del Mondo 2022.
Doha si è aperta così, come in precedenza Dubai, all’urbanistica dei megaprogetti, che riesce a finanziare grazie allo sfruttamento di North Field, il più grande giacimento di gas naturale del mondo. Uno accanto all’altro, questi megaprogetti collegano la città a livello mondiale – perché Doha cerca di competere sia con i suoi vicini del Golfo che di essere annoverata tra le “città globali” – ma la frammentano a livello locale, favorendo un’espansione urbana che genera distruzioni e spostamenti che escludono di fatto le popolazioni più povere5.
Una trasformazione urbanistica che è frutto di un enorme lavoro da parte delle autorità sull’immagine di Doha. Con la distruzione di una parte importante del suo centro per impiantarvi il complesso Souq Waqif/Msheireb Downtown Doha, la città, secondo la ricercatrice Miriam Cooke6, sta creando contemporaneamente il suo passato e il suo futuro. Da un lato ricostruisce un suq da zero, più simile a Khan el-Khalili, il più grande mercato del Cairo, che a quello del vecchio mercato popolare che c’era prima. D’altra parte, la città si proietta nella modernità con il quartiere di Msheireb Downtown Doha, che promuove una “città sostenibile e intelligente” al posto di un quartiere di piccoli edifici funzionali costruiti a partire dagli anni ‘60 per ospitare la manodopera straniera arrivata per prendere parte all’ascesa economica e urbana del Qatar7.
In entrambi i casi, queste operazioni di rigenerazione urbana si sono tradotte in una gentrificazione a ritmo forzato, segnata dalla sostituzione di una popolazione con un’altra: connazionali e stranieri occidentali hanno così potuto far ritorno in centro città, mentre tra i 7.000 e i 9.000 residenti provenienti dall’Africa e dall’Asia sono stati dislocati con, nel migliore dei casi, una compensazione che ha permesso loro di aprire un negozietto o di affittare un appartamento in quartieri periferici come Barwa Village, ai margini del deserto tra Doha e Al-Wakrah.
Il lavoro in città
Le autorità dei paesi del Golfo hanno cercato a lungo di limitare le interazioni sociali della manodopera straniera nelle loro nuove metropoli, organizzando rigorosamente flussi e attività: cantieri notturni, spostamenti con flotte di autobus “scolastici”, assegnazione residenziale in quartieri-dormitorio divisi per nazionalità, ecc. Lo sviluppo urbano a 360 gradi degli ultimi decenni, in Qatar come nei paesi confinanti, dove le condizioni di lavoro sono state denunciate anche da numerose Ong internazionali, ha aumentato la visibilità degli operai immigrati all’interno della città. In alcune aree ancora da completare, spesso sono anche gli unici occupanti, addetti alle rifiniture, alla manutenzione e alla messa in sicurezza di nuovi quartieri e nuove città in attesa dell’arrivo di abitanti e visitatori.
L’obiettivo del fotografo ha cercato di cogliere i corpi e i volti di coloro che non hanno il “diritto alla città”, secondo la formula coniata dal filosofo e urbanista Henri Lefebvre8, ma che sono tuttavia al centro della dinamica capitalista di produzione dello spazio urbano del Qatar. La divisione del lavoro in base al colore dell’abbigliamento – giallo per la sicurezza, blu per la costruzione, verde per il paesaggio, arancione per la manutenzione, senza dimenticare il rosa, che non c’è in queste foto, per il lavoro domestico femminile – ricorda l’estrema codificazione del lavoro urbano e la sua razionalizzazione per “competenze” (e nazionalità) che risponde a una logica disumanizzante secondo Natasha Iskander9, e questo nonostante le recenti riforme in materia di diritti del lavoro introdotte in Qatar: smantellamento teorico del sistema della kafala (messa sotto tutela dei lavoratori stranieri), regolamentazione del lavoro domestico, creazione di tribunali specializzati, definizione di un salario minimo, creazione di un fondo d’indennizzo per le retribuzioni arretrate, costruzione di un campo per migranti in grado di ospitare quasi 70.000 persone (Labour City) per rispondere alle critiche sulle condizioni di vita negli alloggi dei lavoratori.
L’urbanità dei margini
La “gentrificazione” che ha rigenerato il centro di Doha, dove sopravvivono solo poche forme residue di habitat popolare, costituisce un precedente in materia di adeguamento agli standard internazionali della città. L’estensione di questa strategia ai quartieri periferici era già in atto nel 2011, come dimostrano le demolizioni avvenute ad Al-Saad a ovest del centro urbano. Una strategia che ha permesso il recupero di importanti riserve fondiarie in questo quartiere situato a metà strada tra il centro della città e il “quartiere dello sport”, Aspire Zone, dove oggi passa una delle tre linee della metropolitana di Doha.
Le minacce di espulsione e demolizione dei quartieri popolari di Doha sono caratteristiche dell’impermanenza dello spazio urbano, secondo la formula del docente d’architettura Yasser Elsheshtawy10. Progettate per un uso effimero – in questo caso l’evento sportivo – e abitate da residenti temporanei – i lavoratori immigrati, Doha e le altre città del Golfo sono a loro volta, secondo Elsheshtawy, delle “città temporanee”.
Malgrado tutto, anche in questo contesto possono avvenire legami, forme di radicamento e un’appropriazione dello spazio. Negli interstizi della città-spettacolo standardizzata, appare un’altra città, ordinaria e cosmopolita, che mette in atto, soprattutto attraverso gli spazi di consumo e circolazione, una globalizzazione e una cittadinanza “dal basso”. Questi margini urbani di Doha, già indeboliti dalle politiche urbane prima della Coppa del mondo di calcio, resisteranno alle trasformazioni del decennio? Ci vorranno altre ricerche sul campo per dirlo...
1Per una panoramica su queste ricerche Cfr. Manuel Benchetrit, Roman Stadnicki, “Visualizing the margins of Gulf cities”, CITY: analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, vol. 18, n. 6, 2014; Roman Stadnicki, Manuel Benchetrit, “Enquête (géo-photographique) aux marges des villes du Golfe Arabique… Ou comment dépasser la critique”, Carnets de géographes, n. 4, 2012.
2Per una panoramica su queste ricerche Cfr. Manuel Benchetrit, Roman Stadnicki, “Visualizing the margins of Gulf cities”, CITY: analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, vol. 18, n. 6, 2014; Roman Stadnicki, Manuel Benchetrit, “Enquête (géo-photographique) aux marges des villes du Golfe Arabique… Ou comment dépasser la critique”, Carnets de géographes, n. 4, 2012.
3Raphaël Le Magoariec, « Les stades de la Coupe du monde 2022, reflets d’un Qatar à deux vitesses », Les Cahiers d’EMAM, no. 33, 2020.
4Costruita da Vinci (di cui è azionista il fondo di investimento sovrano del Qatar, Qatar Investment Authority) e gestita da un consorzio RATP/SNCF, la metropolitana di Doha è il simbolo delle strette relazioni diplomatiche ed economiche tra Francia e Qatar sin dalla sua indipendenza nel 1971.
5Andrew Gardner, « The transforming landscape of Doha : an essay on urbanism and urbanization in Qatar », jadaliyya.com, 2013 ; Mehdi Lazar, « Doha », Abécédaire de la ville au Maghreb et au Moyen-Orient, PUFR, 2020.
6Miriam Cooke, Tribal Modern. Branding New Nations in the Arab Gulf, University of California Press, 2014.
7Nadine Scharfenort, « Large Scale Urban Regeneration: A New “Heart” for Doha », Arabian Humanities, no. 2, 2013.
8Cfr. Le Droit à la ville, I, 1968 (seconda edizione); trad. it. Il diritto alla città, Ombre Corte, Verona 2014. Le Droit à la ville, II - Espace et politique, 1972; trad. it. Spazio e politica: il diritto alla città II, Ombre Corte, Verona 2018 (con la nuova prefazione di Francesco Biagi).
9Natasha Iskander, Does Skill Make Us Human?: Migrant Workers in 21st-Century Qatar and Beyond, Princeton University Press, 2021.
10Yasser Elsheshtawy, Temporary Cities. Resisting Transience in Arabia, Routledge, 2019. Professore associato di Architettura alla United Arab Emirates University, dove insegna dal 1997, Elsheshtawy è l’autore di “Dubaization”, definito uno dei migliori “city blog” del mondo da The Guardian.
11Per una panoramica su queste ricerche Cfr. Manuel Benchetrit, Roman Stadnicki, “Visualizing the margins of Gulf cities”, CITY: analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, vol. 18, n. 6, 2014; Roman Stadnicki, Manuel Benchetrit, “Enquête (géo-photographique) aux marges des villes du Golfe Arabique… Ou comment dépasser la critique”, Carnets de géographes, n. 4, 2012.