
Tregua, cessate il fuoco, pausa del conflitto? I termini variano a seconda dei sentimenti contrastanti che accompagnano il previsto accordo, annunciato per questa domenica 19 gennaio 2025. Contrastanti, innanzitutto, perché sappiamo che la violenza bagnata dal sangue che si abbatterà sulla Striscia di Gaza nei prossimi giorni, si protrarrà fino all’ultimo minuto prima della firma dell’accordo; come è già accaduto in Libano, e come è sempre avvenuto nelle guerre condotte dal governo di Tel Aviv.
Contrastanti, inoltre, per termini dell’accordo, i cui dettagli sembrano per ora appena abbozzati. Regna l’incertezza, cosa che permette a Israele di sottrarsi ai suoi impegni, come durante il cessate il fuoco con Hezbollah, che, a quanto pare, non riguarda i villaggi al confine sud del Libano. Per non parlare del continuo tira e molla del governo israeliano, che mette in dubbio fino all’ultimo minuto la sua accettazione dell’accordo, con false accuse ad Hamas e il rinvio della riunione del gabinetto di sicurezza per la ratifica dell’accordo.
Il fallimento della strategia israeliana
Non meno paradossale è il fatto che l’accordo per un cessate il fuoco a Gaza sia arrivato grazie al risoluto impegno del presidente americano Donald Trump, che ha fatto forti pressioni per riuscire a convincere Netanyahu. Nonostante avesse cercato di attribuirsi il merito di questa svolta, il presidente Joe Biden aveva, già l’8 ottobre, appoggiato la linea politica del premier israeliano fornendo ogni mezzo necessario per la distruzione del territorio palestinese, compreso violare le leggi americane sull’uso delle armi vendute da Washington1. L’ex presidente americano aveva anche accettato tutti i sotterfugi e le menzogne israeliane per giustificare l’uso della fame come arma contro la popolazione.
La tesi sostenuta dall’amministrazione democratica era che Israele non avrebbe mai ceduto a diktat e pressioni. In pochi giorni, invece, Donald Trump ha dimostrato il contrario, presentando una bozza di accordo che, a grandi linee (e dettagli), ricalca quella proposta otto mesi fa. Tuttavia, è meglio farsi poche illusioni su questo accordo che lascia molti dubbi: se il futuro presidente americano si ostina a vantare un successo diplomatico ottenuto giusto in tempo per la sua cerimonia di insediamento, non intende però voltare le spalle al governo israeliano di estrema destra. Se, da una parte, Trump toglie a Israele con una mano a Gaza, dall’altra, secondo gli articoli della stampa israeliana, potrebbe ampiamente restituirlo in Cisgiordania, dove i coloni potrebbero agire indisturbati nella totale impunità. Da una pulizia etnica all’altra.
Questa tregua, più o meno duratura, dimostra anche il fallimento della strategia israeliana, che si è posta un duplice obiettivo: eliminare Hamas e liberare gli ostaggi. La distruzione a Gaza è senza precedenti, e il terribile bilancio delle vittime – oltre 46.000 “secondo Hamas”, come amano ricordare molti media – è stato rivisto al rialzo dalla rivista scientifica di ambito medico The Lancet. A gennaio, la rivista ha rivelato che, secondo le sue stime, il numero di morti aveva superato i 60.000 alla fine di giugno 2024, di cui quasi il 60% erano donne, bambini e anziani di età superiore ai 65 anni2. L’esercito israeliano non ha sconfitto la resistenza armata, che è continuata fino alla fine: negli ultimi dieci giorni sono stati uccisi una quindicina di soldati israeliani. Tutti gli osservatori riconoscono che l’organizzazione è ancora presente nella Striscia, nonostante le gravi perdite del suo apparato militare. Il segretario di Stato americano uscente, senza dubbio uno dei maggiori responsabili del genocidio a Gaza, Antony Blinken, ha riconosciuto il 14 gennaio davanti al Consiglio Atlantico che Hamas è riuscita a reclutare lo stesso numero di combattenti persi negli scontri.
La prosecuzione del genocidio, con altre modalità
Lo stesso Antony Blinken era presente, insieme alla vicepresidente Kamala Harris, al discorso di Joe Biden al momento dell’annuncio del cessate il fuoco, dicendosi, senza alcuna vergogna, “profondamente soddisfatto” del fatto che i palestinesi di Gaza potranno ora ricostruire “le loro vite e il loro futuro”. Tutti sanno però che la fine dei bombardamenti e il ritiro parziale dell’esercito israeliano non significheranno un ritorno alla vita normale per gli abitanti di Gaza. Anche se dovessero cessare le operazioni militari, il genocidio proseguirà con altre modalità. Negli ultimi 15 mesi, Israele ha messo in campo tutto l’armamentario necessario in modo metodico per annientare i palestinesi di Gaza, non più con le uccisioni, ma impedendo loro ogni possibilità di vita. Con oltre 100.000 tonnellate di bombe sganciate, l’80% degli edifici distrutti, il sistema sanitario e la rete idrica ed elettrica distrutti e le 12 università presenti sul territorio demolite, di quale futuro osa ancora parlare l’inquilino a fine mandato della Casa Bianca? Malgrado ciò, la determinazione degli abitanti a tornare alle loro case, a piantare una tenda, anche in mezzo alle macerie – le loro rovine – merita rispetto.
Questi quindici mesi di massacri sono stati possibili non solo grazie al sostegno di Biden, ma anche a quello di molti Paesi occidentali ed europei, tra cui la Francia, che si sono astenuti dall’adottare anche la minima sanzione contro il “rischio di genocidio” denunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG).
Parigi è stata, insieme a Berlino, una delle capitali che più ha criminalizzato non i “sostenitori del genocidio” che sfilano sui canali all news 24, ma chi si è opposto all’annientamento di un intero popolo. Dalla censura fino alla condanna in appello, è stato adoperato ogni strumento giuridico dello Stato contro tutti i principi del diritto internazionale. Mentre la Corte penale internazionale (CPI) accusava Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, Emmanuel Macron e il suo governo facevano un passo indietro, dichiarando che il primo ministro israeliano non sarebbe stato arrestato nel caso si fosse recato a Parigi. L’8 gennaio, il presidente francese ha persino decorato il segretario di Stato Antony Blinken con la Legion d’Onore. Una vicenda che non ha bisogno di ulteriori commenti. Malgrado le lacrime di coccodrillo per le vittime civili, la Francia non ha messo fine alla cooperazione militare tra i due Paesi, che va oltre la vendita di armi, ma include molti componenti a doppio uso utilizzati dalla tecnologia bellica israeliana3. Attendiamo ancora l’arresto dei soldati israeliani di nazionalità francese per la partecipazione al genocidio.
Un fallimento deontologico
Infine, senza “la scorta mediatica del genocidio”, tutti questi crimini non sarebbero potuti durare per oltre 460 giorni. Orient XXI ha ripetutamente ricordato il modo in cui i media hanno riportato i resoconti falsificati del 7 ottobre, rifiutando per molto tempo di dare la parola ai giornalisti palestinesi con il pretesto della mancata “obiettività”, a differenza dei giornalisti franco-israeliani. I media hanno protestato solo a parole contro il rifiuto delle autorità israeliane di far entrare i giornalisti a Gaza, ma anche contro il numero senza precedenti di giornalisti uccisi rispetto a qualsiasi altro conflitto. Rendendo i palestinesi invisibili e sposando intenzionalmente la narrazione israeliana, trasformata in cassa di risonanza per la propaganda militare, i media hanno partecipato in maniera attiva nelle loro società alla fabbrica del consenso collettivo di fronte al primo genocidio “trasmesso in diretta” del XXI secolo. In pochissimi casi, il giornalismo ha conosciuto un tale fallimento deontologico.
Una recente inchiesta de L’Humanité magazine4 basata sui quotidiani Libération, Le Figaro, le JDD, Le Monde e L’Humanité, dimostra che il problema non è solo quello della faziosità dei canali di informazione o sulle notizie diffuse dalla tv spazzatura. Non c’è mai stato un vero dibattito sul rischio di genocidio. Il termine “genocidio” lo troviamo solo nel 6-8% dei primi tre quotidiani, nell’11% di Le Monde e di non oltre il 18% in L’Humanité. Ad eccezione di quest’ultimo, la parola “attacco” è stata in larga parte sostituita dal termine “raid”. Mentre nel 63% degli articoli di Libération e nel 72% di quelli di Le Figaro, dedicati a Gaza, i palestinesi non vengono neppure menzionati. Ricordiamo che la “eufemizzazione” della parola bombardamento è iniziata con la guerra contro l’Iraq nel 1990-1991 perché l’esercito americano voleva imporre un vocabolario in linea con i suoi obiettivi. Le distruzioni di edifici civili diventano allora “danni collaterali”, gli omicidi diventano “attacchi mirati” e i bambini uccisi da Israele vengono misteriosamente “ritrovati morti”. Il genocidio è stato ridotto a fatto di cronaca.
Nulla è stato ancora risolto. Già la sera del 15 gennaio, qualche ora dopo la conferenza stampa del primo ministro qatariota, sono state uccise 73 persone. Il cessate il fuoco prevede tre fasi e nulla indica che la seconda fase sarà attuata, né che ci sarà il ritiro dell’esercito israeliano. Resta irrisolta anche la terribile questione della ricostruzione di Gaza, dei suoi ospedali, delle sue scuole e, soprattutto, del suo tessuto sociale. Allo stesso tempo, l’offensiva israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est si sta intensificando, con il divieto delle attività dell’UNRWA dalla fine di gennaio, la confisca delle terre, lo sfollamento di popolazioni e la morte di oltre 800 palestinesi dal 7 ottobre 2023, da parte di coloni che agiscono indisturbati. C’è anche il rischio che Israele possa far leva sulle sue “concessioni” per cercare di trascinare gli Stati Uniti in una guerra contro l’Iran.
Eppure, malgrado le paure e i tanti interrogativi, per le vite umane che saranno risparmiate, per le centinaia di detenuti palestinesi e di ostaggi che saranno rilasciati; ma anche per il nostro corrispondente a Gaza Rami Abu Jamou, per suo figlio Walid di tre anni e i suoi tre fratelli maggiori, per sua moglie incinta Sabah, non possiamo che sentirci sollevati. Anche solo per una tregua provvisoria.
1Si vedano le dichiarazioni di Andrex Miller, responsabile del Dipartimento di Stato su Israele-Palestina, in Ben Samuels, “Former Biden Officials Slam U.S. Failure to Curb Israel’s Disproportionate Use of Force in Gaza”, Haaretz, 13 gennaio 2025.
2Zeina Jamaluddine, Hanan Abukmail, Sarah Aly, Oona M R Campbell, Francesco Checchi, “Traumatic injury mortality in the Gaza Strip from Oct 7, 2023, to June 30, 2024: a capture— recapture analysis”, The Lancet, 9 gennaio 2025.
3Si veda Ariane Lavrilleux e Nina Hubinet “Guerre à Gaza : la France a fourni en secret des équipements de mitrailleuses à Israël”, Disclose, 25 marzo 2024. E anche l’articolo molto dettagliato di Coralie Pinson-Hindawi, “Exposing the Iceberg: France’s Discreet Ties to Israel’s Military Sector and Grassroot Activism to Decenter Arms”, Prisme, autunno 2024.
4Arthur Dumas, “Ces Palestiniens que la presse française ne saurait voir”, L’Humanité magazine, 9-15 gennaio 2025.