Marocco

I marocchini esasperati dall’aggravarsi della crisi sociale

In Marocco, il tasso di disoccupazione è più alto che mai, e l’economia crea solo pochissimi posti di lavoro. Il governo di Mohamed VI, guidato da un potente uomo d’affari, non è in grado di risolvere questo male endemico. La crisi sociale è aggravata dalle pessime condizioni in cui versano l’istruzione e il sistema sanitario, oltre che dall’arroganza, dalla corruzione delle élite e da una feroce repressione.

Manifestazione contro la povertà e la situazione economica organizzata dal Fronte Sociale Marocchino a Casablanca, 23 febbraio 2020.
Fadel Senna/AFP

Il Marocco gode di buona stampa in Europa, e non si tratta solo di propaganda. Ha compiuto notevoli progressi grazie all’estensione della scolarizzazione, all’edilizia abitativa, all’elettrificazione nelle zone rurali e all’accesso all’acqua potabile. Inoltre, con la costruzione di nuove infrastrutture viene considerato realmente un paese in via di sviluppo.

Eppure, questi progressi non possono mascherare il grosso punto debole rappresentato dalla mancata creazione di posti di lavoro e di benessere. La maggior parte della popolazione attiva è ridotta alla disoccupazione, reale o sommersa. Gli espedienti che hanno permesso di tenere a galla la situazione, come la produzione di fosfati, le privatizzazioni, i prestiti, le vaghe promesse fatte oggi solo per essere dimenticate un anno dopo con altre promesse, non permettono più di mantenere la rotta in caso di congiunture sfavorevoli (pandemia, siccità, guerra in Ucraina, inflazione, ecc.).

In termini di occupazione, su una popolazione di 36 milioni di persone, poco più di un milione è impiegato nel settore privato, secondo i dati dell’Alto Commissariato per la pianificazione del Marocco (HCP)1 Un altro milione è impiegato nel settore pubblico, la metà nell’esercito, nella polizia o in altre forze. Tre milioni lavorano nel settore dell’economia informale, 2,3 milioni sono collaboratori familiari non retribuiti e 3,4 milioni lavorano in proprio (soprattutto in attività di sopravvivenza come il commercio ambulante).

I disoccupati iscritti negli elenchi di collocamento sono un milione e mezzo, mentre 148.000 lavoratori occupati hanno meno di 18 anni, di cui 88.000 svolgono attività pericolose2. Solo 3 milioni delle persone in età lavorativa, considerate dalle statistiche ufficiali come “inattive”, risultano scolarizzate, mentre gli 11 milioni senza attività professionale, il più delle volte, sono scoraggiati dall’interminabile ricerca di un lavoro. Il rapporto da 1 a 36 tra i lavoratori del settore privato formale, il vero fulcro della crescita economica, e il resto della popolazione, la dice lunga sullo stato pietoso in cui versano l’economia e la società.

L’istruzione, un settore disastroso

È quindi facile capire quanto sia assai ridotta la capacità di creare ricchezza. Tanto più che la bomba della disoccupazione incombe sempre di più, visto che, in media, vengono creati meno di 100.000 nuovi posti di lavoro (indipendentemente dalla categoria), mentre la popolazione in età lavorativa aumenta all’incirca di 400.000.

L’istruzione naviga in cattive acque e il livello di scolarizzazione è drammaticamente basso. Il Marocco è tra gli ultimi cinque paesi nella classifica delle valutazioni TIMSS3. E si colloca tra gli ultimi cinque paesi, ovvero occupa il 75° posto su 79, anche nella classifica PISA (Programma per la valutazione internazionale dello studente) condotta dall’OCSE4, che valuta le competenze in Lettura, Matematica e Scienze.

Per far fronte al calo del livello d’istruzione che risulta dall’indagine, i genitori stanno facendo enormi sacrifici per iscrivere i figli in istituti privati, che attualmente accolgono il 17% degli alunni iscritti, perché la scuola pubblica non è più ritenuta in grado di garantire un futuro per i bambini.

Scarsi investimenti nella sanità

Non fa eccezione il settore della sanità marocchino, che si colloca al 133° posto su 195 paesi valutati da uno studio di The Lancet. La stima si basa in particolare sul tasso di mortalità causato da 32 patologie (difterite, tubercolosi, appendicite, alcuni tipi di tumore e malattie cardiovascolari, ecc.), decessi che si potrebbero, in teoria, evitare con un accesso più rapido a cure efficaci. Anche il Ministero della Salute riconosce che è un settore affetto da molte inefficienze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene che lo standard, per tutti i paesi, sia quello di destinare il 12% del bilancio globale al settore sanitario, mentre il Marocco ne impiega solo il 5,69%. Una mancanza di fondi che si traduce in una drastica carenza di personale – secondo una stima ufficiale ci sono 30.000 medici e 67.000 infermieri/e – e di attrezzature mediche.

Nel 2022, c’è stato un aumento di budget del 19%, ma ciò è dovuto principalmente all’ampliamento del proprio ambito, perché gli oneri della previdenza sociale sono stati inclusi nelle voci di competenza del Ministero della Salute.

Nuove aspettative

La disparità di reddito, stimata secondo il coefficiente di Gini5, è del 46,4%, ovvero al di sopra della soglia socialmente tollerabile (42%).

La pandemia di Covid e il lungo isolamento del paese deciso dalle autorità hanno portato lo Stato a concedere, nella primavera del 2020, aiuti per 25,5 milioni di persone. I beneficiari sono, a giusto titolo, trattati come soggetti vulnerabili, cioè a rischio povertà estrema in caso di crisi sociale o economica. Secondo i dati ufficiali, il 20% della popolazione è in stato di povertà assoluta (reddito inferiore a 1,9 dollari al giorno, ovvero 1,81 euro), il 40% in povertà relativa (reddito inferiore a 3,2 dollari al giorno, ovvero 3 euro), e il 60% in condizioni di precarietà (reddito inferiore a 4,8 dollari al giorno, vale a dire 4,5 euro).

Numeri che vanno considerati in un contesto caratterizzato da aspettative sociali incomparabilmente più elevate rispetto al passato. Le aspirazioni e le aspettative della popolazione sono cambiate per effetto dell’urbanizzazione, della diffusa e rapida scolarizzazione, ma anche dell’apertura della popolazione al modello consumistico dominante in tutto il mondo. Le nuove generazioni aspirano all’ascesa sociale e chiedono un reddito dignitoso e standard minimi sociali. La lenta crescita economica e l’appropriazione di gran parte di questa ricchezza ad opera di una piccola minoranza sono difficili da accettare. E la frustrazione delle nuove generazioni rende ancora più evidente lo sperpero delle risorse del paese, la corsa agli armamenti con l’Algeria, la corruzione diffusa e le spese voluttuarie dello Stato e delle sue élite.

In passato, quando la crescita era più elevata, la classe politica non ha colto l’occasione per trasformarla in sviluppo. Il Marocco, in particolare, ha goduto di un contesto molto favorevole, con un tasso di crescita annuale del prodotto interno lordo (PIL) superiore al 4% tra il 1997 e il 2007. Un tasso che si è attestato al di sotto del 6-8% previsto per stabilizzare l’occupazione e far rientrare il Marocco tra i paesi in via di sviluppo. Ma per quanto relativi possano essere, i vantaggi di questa inaspettata fortuna sono stati sperperati in spese voluttuarie invece di essere utilizzati per creare delle condizioni di sviluppo. Da allora, la crescita è scesa al 3%.

In altre parole, se è vero che il Covid, la siccità e gli effetti della guerra in Ucraina hanno aggravato la situazione, non sono queste le vere cause dell’attuale crisi sociale. A partire dal programma di aggiustamento strutturale (1983-1993) si è avviato un processo di rapido impoverimento dei cosiddetti ceti medi, mentre le altre classi popolari hanno perso ogni speranza di uscire dalla povertà e di vedere una qualsiasi mobilità sociale.

La speculazione ai vertici dello Stato

Il rapporto incestuoso tra denaro e potere a danno della società è rappresentato alla perfezione dalla gestione dei prodotti petroliferi. Nel 2015, c’è stato il fallimento della Società marocchina specializzata nella raffinazione di prodotti petroliferi (Samir), l’unica raffineria del paese che, tra molte critiche, era stata privatizzata. Un anno dopo, nel 2016, il prezzo della benzina è stato liberalizzato e le 15 società di importazione e distribuzione di prodotti petroliferi ne hanno approfittato per aumentare i prezzi ogni qualvolta c’era un rialzo del prezzo del petrolio al barile, ma assicurandosi di non ribassarli quando i prezzi a livello internazionale hanno invertito il trend. Un atteggiamento che ha provocato malcontento e relative accuse. Il 3 aprile 2018, un’intensa campagna di boicottaggio ha preso di mira tre società in Marocco, tra cui Afriquia, la più grande società di distribuzione di carburante, di proprietà di Aziz Akhannouch, amico del re e uomo più ricco del paese, presidente del Raggruppamento nazionale degli indipendenti (RNI) e Ministro dell’Agricoltura.

Mentre il governatore della banca centrale dichiarava pubblicamente che la fissazione dei prezzi dei prodotti petroliferi avrebbe sollevato sospetti in materia di antitrust, il Parlamento istituiva nel 2018 una commissione d’informazione, con esiti inequivocabili. Un accordo illecito sui prezzi avrebbe consentito alle società in questione di incamerare circa 1,6 miliardi di euro di profitti indebiti. Le organizzazioni sindacali hanno delegato il Consiglio della concorrenza, che è in grado di pronunciare sanzioni, per svolgere accertamenti sul caso. Il 22 luglio 2020, il Consiglio si è pronunciato in merito alla violazione delle leggi sulla concorrenza, decidendo, con 12 voti contro uno, di infliggere una sanzione pari al 9% del loro fatturato alle 3 società principali, e all’8% alle altre.

Tuttavia, invece di rendere pubblica la sua decisione e attuarla come previsto dalla legge, il Presidente del Consiglio ha preferito sottoporla preventivamente al palazzo reale. Il 28 luglio, la pubblicazione di un comunicato stampa del gabinetto ha congelato de facto la decisione del Consiglio, consentendo così alle società interessate di evitare la sanzione. Per due anni, a prescindere dalla nomina di un nuovo presidente dell’attuale giunta, le società in questione hanno continuato a fissare i prezzi a propria discrezione, generando notevoli profitti, che ammonterebbero a circa 4,5 miliardi di euro.

Chi si è avvantaggiato in particolare da questa situazione è stato Akhannouch, cosa che ha permesso al suo partito di candidarsi alle elezioni legislative del settembre 2021 senza essere etichettato per una condanna ufficiale e senza l’esborso di consistenti somme di denaro che era condannato a pagare. Secondo diversi osservatori, in Marocco non c’era mai stata prima di allora un’elezione con una così grande compravendita di voti. Elezioni che hanno portato alla vittoria in Parlamento del partito di Aziz Akhannouch, ora alla guida del governo. E così, il nuovo governo ha preso in carico il compito di far modificare la legge sulla concorrenza e di rivedere gli statuti del Consiglio della concorrenza, nonostante Akhannouch sia il principale bersaglio di quanto prevedono tali direttive in materia di trasparenza e controlli.

Predazione, corruzione, nepotismo e repressione

I problemi della società marocchina, quindi, non possono dipendere solo dalla sfavorevole situazione economica che si è aggravata a partire da marzo 2020. È vero che il paese ha risorse limitate, ma il problema è che sono per lo più sperperate tra predazione, corruzione, nepotismo, corsa agli armamenti, conflitto nel Sahara occidentale e costo esorbitante della monarchia e delle sue élite.

Quanto alle manifestazioni di malcontento sociale, sono ostacolate da una repressione che continua a inasprirsi. Molto dura è stata quella che ha colpito i movimenti sociali nel 2017, in particolare con l’arresto di centinaia di attivisti nella regione del Rif e in altre zone, o condanne a vent’anni che i leader dell’Hirak del Rif stanno continuando a scontare.

È stato instaurato un regime di terrore: violazione tramite spyware dei cellulari di migliaia di opinion leader, ricatti con video di rapporti sessuali filmati a loro insaputa, varie forme di stalking e campagne diffamatorie delle voci critiche, pesanti e diverse condanne di blogger per reati di opinione e parodie di processi per accuse di abusi sessuali ai danni dei principali editorialisti critici (Taoufik Bouachrine condannato a 15 anni, Soulaimane Raissouni a 5 anni e Omar Radi a 6 anni) o ancora per appropriazione indebita (lo storico e attivista Maâti Monjib che sta subendo svariati processi e condanne dal 2015). Le manifestazioni sono sistematicamente vietate e spesso duramente represse dall’introduzione nel 2020 di leggi d’emergenza con il pretesto della pandemia.

Una repressione che mostra innanzitutto l’incapacità del regime a creare consenso e offrire adeguate soluzioni ai problemi di fondo della società. Ma con l’aggravarsi delle difficoltà, la protesta potrà trovare nuove forme di espressione in grado di aggirare la repressione del regime. Il malcontento si sta diffondendo in tutte le classi sociali, e tra chi ne ha abbastanza figura anche la borghesia, stanca degli abusi del regime e dell’incompetenza della classe politica.

È evidente che è in atto un risveglio di coscienza, con il moltiplicarsi di movimenti di protesta autonomi e la creazione di un fronte sociale che possa raggruppare le principali organizzazioni sindacali e forze politiche alleate, oltre alla creazione di spazi critici sui social. Una svolta particolarmente importante è attesa con il riavvicinamento in atto, al di là delle differenze ideologiche, tra le forze di protesta e i vari referenti politici (popolari, di sinistra, islamisti, ecc.), che hanno mantenuto un’autonomia rispetto al potere centrale.

1È un’istituzione costituita nel 2003, che rappresenta il principale organismo responsabile delle informazioni statistiche, economiche, demografiche e sociali, con il compito di redigere i conti nazionali.

2Secondo un rapporto pubblicato da HCP (Alto Commissariato per la pianificazione) il 12 giugno 2022 in occasione della giornata mondiale della lotta contro il lavoro minorile. Si veda la definizione di attività lavorative pericolose secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIT).

3Trends in Mathematics and Science Study, è uno studio comparativo che misura il livello di competenze in Matematica e Scienze degli studenti delle classi IV della scuola primaria (quarto anno di scolarità) e III della scuola secondaria di primo grado (ottavo anno di scolarità).

4Acronimo di Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, è un’organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, aventi in comune un’economia di mercato. Ndt

5Indicatore sintetico dell’Istituto nazionale della statistica e degli studi economici (Insee) che permette di misurare il livello di diseguaglianza secondo una variabile e su una popolazione data.