Geopolitica

Il ritorno di Hamas sulla via di Damasco

Dopo un decennio di gelo politico e dopo aver sostenuto i gruppi islamisti avversari di Damasco, il movimento palestinese Hamas si è riconciliato con il regime di Asad in seguito a un incontro avvenuto nella capitale siriana il 19 ottobre 2022. Tale decisione, maturata nel corso degli ultimi anni sotto l’occhio vigile di Iran e Hezbollah, può essere compresa solo analizzando i numerosi cambiamenti che stanno attraversando la regione mediorientale.

Bashar Al-Asad mentre riceve a Damasco il 19 ottobre 2022 il segretario generale del Jihad islamico Ziad Al-Nakhala, e il numero due dell’ufficio politico di Hamas Khalil Al-Hayya.
Presidenza siriana/Facebook/AFP

Per molto tempo il regime siriano ha mantenuto con Hamas uno stretto rapporto. Dall’inizio degli anni 2000, Damasco ha rappresentato un rifugio sicuro per i leader del movimento palestinese. Inoltre, al di là della dimensione politica, militare e di sicurezza, c’era un legame personale molto forte tra il presidente siriano e l’ex-presidente dell’ufficio politico del movimento, Khaled Meshal, che all’epoca risiedeva nella capitale siriana. Il ricercatore palestinese Sakr Abu Fakhr spiega infatti che «persone dell’entourage di Meshal raccontano di incontri abituali tra questi e Asad in occasione di serate barbecue».

Secondo le stime dell’ONU, prima del 2011 risiedevano in Siria più di mezzo milione di profughi palestinesi, in particolare nel campo di Yarmouk, vicino a Damasco, alla fine del 2012 teatro di feroci battaglie. Abu Fakhr ricorda che Hamas aveva preso parte allo scontro all’interno del campo tramite il gruppo Aknaf Beit al-Maqdis, guidato da uno dei fedeli di Meshal. I suoi combattenti avevano preso il controllo della parte meridionale del campo prima di lasciare il posto a dei gruppi estremisti. Tuttavia, alla fine, il regime e i suoi alleati avevano prevalso.

Sul piano politico, i due principali leader di Hamas avevano espresso chiaramente la loro opposizione ad Asad. Ismail Haniyeh, durante una preghiera del venerdì alla moschea di Al-Azhar al Cairo nel febbraio 2012, aveva dichiarato: «Rendo omaggio a tutti i paesi della Primavera araba, e all’eroico popolo siriano che sta lottando per la libertà, la democrazia e le riforme». Quanto a Khaled Meshal, brandendo la bandiera della rivoluzione siriana durante le celebrazioni del 25° anniversario della fondazione del movimento Hamas nel dicembre 2012 a Gaza, aveva detto: «Non sosteniamo la politica di nessuno Stato o regime impegnato in una sanguinosa battaglia contro il suo stesso popolo». Queste dichiarazioni risalgono a dopo che i leader di Hamas avevano lasciato Damasco per stabilirsi in Qatar.

Un braccio di ferro tra l’ala politica e militare del movimento

Abu Fakhr spiega che “la posizione di Hamas nei confronti del regime siriano rispecchiava quella dei Fratelli Musulmani, che hanno sostenuto le rivoluzioni della Primavera araba convinti che queste avrebbero spianato loro la strada per il potere, soprattutto dopo la loro vittoria in Egitto e in Tunisia". Sottolinea inoltre che all’interno di Hamas coesistevano due correnti: la prima affermava che il movimento dovesse rimanere neutrale nei confronti di queste rivolte, e la seconda spingeva per l’adozione della posizione generale dei Fratelli Musulmani nella regione, visto che l’organizzazione egiziana è considerata la casa madre del movimento palestinese. Ma secondo Maren Koss, ricercatrice al German Institute of Global and Area Studies, le Brigate Ezzedin Al-Qassam, l’ala armata di Hamas, non avevano visto di buon occhio la partenza del movimento dalla Siria, a causa del calo del sostegno finanziario e militare iraniano che ne è conseguito.

In ogni caso, come ricorda il politologo Charles Lister del Middle East Institute in un articolo pubblicato su Al Jazeera1, questo allontanamento geografico non si è tradotto con l’uscita di Hamas dall’orbita iraniana, anche se il loro rapporto aveva subito qualche battuta d’arresto con le rivolte del 2011 fino all’attacco israeliano a Gaza del 2014. Nel marzo 2015, infatti, Khaled Meshal, allora presidente dell’ufficio politico di Hamas, ha incontrato Ali Larijani, presidente del Parlamento iraniano. L’evento è stato descritto da Basem Naim, vicepresidente del dipartimento politico di Hamas, come un segno del «riavvicinamento tra il movimento e Teheran». Quanto a Larijani, a margine di una visita in Libano nel dicembre 2014, ha dichiarato che Hamas e il Jihad islamico erano due movimenti di resistenza efficaci.

Ma il vero “disgelo” è avvenuto nel 2017, dopo le elezioni interne al movimento che hanno portato alla vittoria alcuni rappresentanti dell’ala militare, e al loro controllo delle istituzioni a Gaza. Il nuovo leader di Hamas nella Striscia, Yahya Essenouar, così come la maggior parte dei membri dell’ufficio politico provengono infatti dalle Brigate Al-Qassam, o vi sono molto vicini.

Gaza, Teheran, Beirut

Questo riavvicinamento tra Teheran e Hamas ha avuto delle ripercussioni sulle relazioni del movimento con Hezbollah, uno stretto alleato dell’Iran. I due gruppi palestinese e libanese sono stati vicini fino al 2011, grazie alla loro cooperazione politica e militare, e alla loro adesione alla cosiddetta “Asse della Resistenza” (contro Israele), accanto a Siria e Iran. Koos ricorda che Hezbollah storicamente ha sempre avuto un ascendente su Hamas: ha assicurato l’addestramento militare delle sue truppe, fornendogli consigli politici e sostenendo i suoi media. Inoltre, molti leader di Hamas vivono nei sobborghi meridionali di Beirut, roccaforte di Hezbollah. L’influenza che quest’ultimo esercita su Hamas deriva essenzialemente dal suo rapporto privilegiato con l’Iran che l’ha reso un intermediario fondamentale tra il movimento palestinese e Teheran.

Ma dopo lo scoppio della guerra in Siria, Hamas ha sostenuto i gruppi di opposizione, mentre Hezbollah ha inviato i suoi combattenti a difesa del regime di Asad, portando così la loro collaborazione al minimo storico. Sempre secondo Maren Koos, se in privato le due parti hanno continuato a comunicare, in pubblico non sono mancate critiche e accuse reciproche. I membri del Consiglio legislativo di Hamas, ad esempio, hanno sottolineato che il sostegno militare del partito al regime di Asad non aveva nulla a che fare con la resistenza. Hezbollah dal canto suo ha accusato il movimento palestinese di tradire la causa della resistenza contro Israele e di essersi avvicinato troppo ai Fratelli Musulmani in Egitto.

Ma anche in questo caso, i rapporti sono migliorati durante la prima metà del 2017. Già nel maggio 2015 Mohamed Daif, comandante delle Brigate Al-Qassam, aveva scritto al segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, chiedendo di unire le forze contro Israele. Gli incontri bilaterali tra i principali leader hanno dunque ripreso, come quello del 31 ottobre 2017 che ha riunito a Beirut Hassan Nasrallah e il vicepresidente dell’ufficio politico di Hamas Saleh Al-Aruri. L’indomani, Ismail Haniyeh ha partecipato alla seconda conferenza mondiale di sostegno alla resistenza che si è svolta a Beirut. Vi hanno preso parte più di 100 persone provenienti da 80 paesi, tra cui Nasrallah e il suo numero due Naim Kassem.

Dal 2017, Hezbollah ha gradualmente permesso ad Hamas di espandere la sua presenza politica, militare e di sicurezza in Libano. Dopo la crisi del Golfo scoppiata quello stesso anno tra il Qatar, uno dei principali sostenitori del movimento palestinese, e l’Arabia Saudita, Aruri si è rifugiato a Beirut, in quanto Doha non poteva più accogliere i leader di Hamas ancora in attività, troppo occupata a respingere le accuse di finanziamento al terrorismo.

Anche la visita di Haniyeh a Beirut nel settembre 2020 ha mostrato come sia cambiata la natura della presenza di Hamas sulla scena libanese. Il capo dell’ufficio politico vi ha incontrato Nasrallah, una visita che è stata accompagnata da uno schieramento in massa di combattenti di Hamas nel campo di Ayn al-Helwe. Inoltre, la visita di Haniyeh è arrivata poco dopo la firma dell’accordo di normalizzazione tra Emirati Arabi Uniti e Israele del 13 agosto 2020, conferendole così un inequivocabile significato politico e mostrando la disposizione dell’ “Asse della Resistenza” a ritrovare la sua unità. Per di più, Mohamed Al-Sinwar, membro dello stato maggiore delle Brigate Al-Qassam, ha rivelato l’esistenza di un’unità operativa congiunta tra il suo movimento e il partner libanese2, che ha sostenuto Hamas durante la battaglia soprannominata « La spada di Gerusalemme » nel maggio 2021. Alla guida di questa unità con sede in Libano c’erano ufficiali di Hezbollah e Pasdaran. E c’è un’altra prova della presenza militare di Hamas in Libano: l’esplosione del deposito di armi appartenente al movimento palestinese nel campo di Borj Al-Shemali, vicino a Tiro, il 12 dicembre 2021, che ha provocato la morte di Hamza Shahin, uno dei leader del movimento.

Sul piano politico, Hamas si è adoperato per una riconciliazione politica tra Hezbollah e la Jamaa Islamiya3, ed è riuscito a piazzare all’interno di quest’ultima nelle posizioni pù strategiche personalità a lui vicine e che, secono il giornalista e specialista dei movimenti islamisti Sohaib Jawhar, sarebbero stipendiate da Hamas stesso.

Da Aleppo al Cairo, delle sconfitte decisive

Ripristinare le relazioni con Hezbollah e l’Iran non poteva comportare altro che una riconciliazione tra Hamas e il regime siriano. Hamas ha infatti un poco alla volta iniziato a manifestare il suo desiderio di “tornare” in Siria, soprattutto dopo le elezioni interne del 2017. Voci che in realtà avevano già cominciato a circolare sin dall’offensiva israeliana contro Gaza nel 2014, quando, secondo Abu Fakhr, aveva guadagnato terreno la corrente che voleva la neutralità del movimento rispetto alla rivolta siriana, spingendo a ringraziare Iran e Siria per il loro sostegno, soprattutto perché il primo stava spedendo armi al movimento, che giungevano a Gaza transitando per la Siria, il Sudan e l’Egitto.

Un giornalista palestinese a Beirut, che ha voluto mantenere l’anonimato, afferma che la questione della riconciliazione con Damasco ha iniziato a prendere piede nella cerchia di Hamas dopo che il regime ha vinto la battaglia di Aleppo nell’estate del 2016. All’epoca era chiaro che l’opposizione non era più in grado di rovesciare il regime. La scommessa di Hamas sull’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in Siria stava diventando illusoria, soprattutto dopo la caduta del loro governo in Egitto.

Ormai, non era più solo l’ala militare di Hamas a chiedere il ripristino dei rapporti con il regime siriano. Anche Ismail Haniyeh, dopo la sua elezione a capo dell’ufficio politico, ha cambiato posizione a proposito di un possibile riavvicinamento a Siria e Iran. Nel 2018, ha persino affermato che le dichiarazioni a lui attribuite riguardo a qualsiasi sostegno alla rivoluzione siriana erano inesatte e che Hamas non era mai stato in conflitto con il regime siriano.

Se fosse così, perché ci è voluto così tanto tempo prima che avvenisse la riconciliazione? Questo ritardo è dovuto esclusivamente alle riserve del regime siriano rispetto a un ritorno di Hamas nel paese oppure gli interessi di tutte le parti coinvolte in questa riconciliazione non erano ancora sufficientemente chiari?

Difficile credere che siano stati gli umori di Damasco a ritardare la cosa, dal momento che negli attuali rapporti di forza il regime di Asad non può rifiutare nulla all’Iran, e tantomeno quello che quest’ultimo considera di suo vitale interesse. Ciò non toglie che il modo in cui è stato accolto a Damasco il rappresentante di Hamas Khalil Al Hayya e il suo incontro con Asad il 19 ottobre 2022, esprimano non tanto le riserve che il presidente siriano nutre rispetto ad Hamas quanto la sua volontà di dimostrare di avere un peso all’interno dell’ “Asse della Resistenza”.

Le condizioni poste da Bashar Al-Asad

Damasco ha fissato infatti alcune condizioni al ripristino dei suoi rapporti con Hamas. Il quotidiano saudita Al-Sharq Al-Awsat cita per esempio l’allontanamento di alcuni leader del movimento che non dovranno più mettere piede sul suolo siriano, tra i quali il più illustre è proprio Khaled Meshal4. Il regime siriano fa così una distinzione tra l’ala «resistente» del movimento e quella allineata con la “Fratellanza”, secondo un articolo apparso il 10 ottobre nel quotidiano siriano vicino al regime Al-Watan. I media siriani in generale hanno trattato con molte riserve la notizia della riconciliazione. Tra l’altro, il 18 ottobre, ossia il giorno prima dell’incontro di riconciliazione, Al-Watan ha rivelato la scelta di Al-Hayya a guida della delegazione di Hamas in Siria, elemento che mostra chiaramente la volontà del regime di apparire come colui che è nelle condizioni di fissare tutti i termini dell’incontro, sia nella forma che nella sostanza.

Secondo diverse fonti giornalistiche a cui abbiamo avuto accesso, Damasco avrebbe anche preteso delle scuse da Hamas per la sua precedente posizione sulla guerra in Siria, cosa che il movimento avrebbe «rifiutato categoricamente» di fare. In compenso, il 15 settembre 2022 Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava il ripristino delle relazioni con Damasco e sottolineava “i suoi sforzi volti a costruire e a sviluppare delle relazioni solide con la Siria”. Questa decisione era già stata annunciata da Al-Hayya il 22 giugno 2022 sulle colonne del quotidiano libanese Al-Akhbar, ritenuto vicino a Hezbollah. Per il movimento palestinese si tratta di “servire la umma e le sue giuste cause, e prima di tutto la causa palestinese, soprattutto alla luce dei rapidi sviluppi regionali e internazionali”. Nel comunicato Hamas ha anche condannato i bombardamenti israeliani in Siria.

Per molti analisti, questa riconciliazione deve molto alla volontà dell’Iran di ripristinare l’“Asse della Resistenza”, per rispondere alle normalizzazioni avvenute nel 2020 tra Israele e quattro paesi arabi, e più recentemente con la Turchia. A tal proposito, Basem Naim ha affermato che «poiché alcuni paesi arabi hanno scelto di normalizzare le loro relazioni con Israele, è logico che Hamas sia dalla parte di chi sceglie la resistenza contro il nemico sionista»5.

Tuttavia, come abbiamo visto, gli sforzi di Iran e Hezbollah per cercare di riconciliare le due parti precedono di non poco questa ondata di normalizzazione. «Semplicemente ora i tempi sono più maturi», spiega Abu Fakhr. Quel che è certo è che questa decisione riflette una convergenza d’interessi di tutte le parti in causa, compresa la Russia, secondo il giornalista palestinese. Hamas ha anche recentemente beneficiato di aiuti finanziari da Mosca.

Lontani da Istanbul, ancor più da Doha

Mohamed Kawass, collaboratore del sito libanese Assas Media riferisce:

La Turchia sta cercando di ristabilire la politica “problemi zero” con i vicini, poiché la riconciliazione dei paesi del Golfo [che si è svolta nella città saudita di Al-Ula il 4 gennaio 2021] ha imposto una nuova realtà al Qatar per le sue relazioni con i vicini del Golfo e gli altri interlocutori arabi e internazionali. Di fatto, Hamas ha perso il sostegno del Qatar e della Turchia6.

Il nuovo riavvicinamento tra Turchia e Israele ha infatti spinto la prima a ridurre la presenza di Hamas sul proprio territorio, cosa che ha portato all’espulsione da paese di dieci militanti del movimento.

Abu Fakhr, tuttavia, relativizza la questione per quanto riguarda Doha:

La riconciliazione tra Damasco e Hamas non ha messo quest’ultimo in cattivi rapporti con il Qatar: è evidente anche per questi che il movimento palestinese sia obbligato a normalizzare le sue relazioni con Asad, e non è un problema per il Qatar nemmeno il fatto che anche gli iraniani vogliano questa riconciliazione.

Come ha affermato Charles Lester ad Al Jazeera, “la dinamica più interessante in questa riconciliazione è il rapporto tra Hamas e il Qatar, che rimane il paese della regione più determinato a continuare a resistere a qualsiasi normalizzazione con il regime di Asad”. Per Lester, «il tempo dirà se Doha sarà in grado di conciliare queste due posizioni contraddittorie», ovvero la sua vicinanza ad Hamas, e la normalizzazione dei rapporti di quest’ultimo con il regime di Asad, a cui il Qatar si oppone ancora ferocemente. I media qatarioti, in effetti, hanno trattato l’argomento con sguardo critico. Nella conferenza stampa successiva all’incontro con Asad, Khalil Al-Hayya ha affermato che «Hamas ha preso da solo la decisione di tornare a Damasco, ma ne ha informato i paesi con cui intrattiene delle relazioni”, negando ogni obiezione da parte loro, “compresi Qatar e Turchia.» Tuttavia, lo stesso Al-Hayya il 23 ottobre ha dichiarato che Doha non ha apprezzato il ripristino dei rapporti tra Hamas e Asad.

Le ambizioni militari di Hamas

Quel che è certo, però, è che Hamas ha preso la decisione di riconciliarsi con Asad considerando prima di tutto i propri interessi, prima ancora di quelli delle forze regionali che lo sostengono. In altre parole, il movimento ha scoperto che i rischi di questa riconciliazione sono minori rispetto ai potenziali vantaggi. L’analista siriano Karam Shaar ritiene che «l’isolamento politico di Hamas nella regione lo spinga a rimanere all’interno dell’orbita iraniana». Al-Hayya ha sottolineato che questa decisione è stata presa all’unanimità all’interno dell’ufficio politico, il che dimostra che questa scelta era soprattutto una necessità.

Spiega Shaar:

Hamas ha normalizzato le relazioni con la Siria sotto la pressione iraniana. Teheran ha preteso questa riconciliazione in cambio del suo sostegno al movimento palestinese. E dopo questo passo, è pronto a incrementarlo ulteriormente, pur di mantenere Hamas nella sua sfera d’influenza.

Inoltre, Lester ricorda che “Hamas si definisce attraverso la sua resistenza a Israele. Per mantenere questa identità, ha bisogno non solo del supporto strategico iraniano, ma anche di quello siriano”. In effetti, il ritorno di Hamas sotto l’ala dell’“Asse della Resistenza” non è dovuto solo a ragioni politiche, ma anche a ragioni militari e di sicurezza. Abu Fakhr ricorda che “le ultime due guerre a Gaza hanno dimostrato che le armi della resistenza palestinese devono evolversi”. Ora, questo sviluppo può arrivare soltanto grazie all’Iran. E per quanto riguarda la Siria, in passato essa ha già svolto un ruolo importante in quanto paese di transito per l’invio di armi ad Hamas, ma anche in quanto paese ospitante per i suoi campi di addestramento.

La presenza di Hamas in Siria non sarà la stessa di prima del 2011. È vero, Al-Hayya ha definito il suo incontro con Asad “caloroso” - il ché ha suscitato ampie critiche negli ambienti vicini al movimento - ma è improbabile che Hamas ristabilisca la sua sede in Siria. Un suo membro ha dichiarato al sito web britannico Middle East Eye:

La Siria non è più quella di una volta, le condizioni di sicurezza sono oggi difficili. La direzione del movimento non vi ritornerà. Il ripristino delle relazioni è una decisione politica e logistica per rafforzare le alleanze nella regione.”7.

Fonti siriane hanno riferito al quotidiano libanese Al-Akhbar che “il ritorno della rappresentanza del movimento e di parte della sua attività a Damasco richiederà del tempo, viste le complicazioni che si sono state nei rapporti tra i due”8.

Per Abou Fakhr, le due parti sono attualmente in una fase di test. Secondo lui, il rappresentante permanente di Hamas a Damasco potrebbe essere Ali Baraka, che ha ricoperto lo stesso incarico in Libano, e che assiste Oussama Hamdan, responsabile delle relazioni estere del movimento. Il giornalista palestinese basato a Beirut, quanto a lui, suggerisce che la presenza di Hamas a Damasco si svilupperà sotto il controllo di Hezbollah e dei Pasdaran.

La Siria non è riuscita a capitalizzare le sue connessioni arabe per essere riammessa nella Lega araba. La riconciliazione con Hamas rappresenta quindi una sorta di premio di consolazione che gli consentirebbe di rispolverare la sua immagine di paese arabo sostenitore della causa palestinese. Ma il principale beneficiario di questa riconciliazione è senza dubbio l’Iran, che ritrova così l’anello perduto nella sua catena di alleanze in Medio Oriente e gli permette di riattualizzare la logica dell’“Asse della Resistenza” contro Israele, in un momento in cui il suo regime sta affrontando molte sfide, sia sul piano interno che su quello internazionale.

1«Iranian support vital for Hamas after ties restored with Syria», Al Jazeera English, 25 settembre 2022.

2Al Jazeera, 28 maggio 2022.

3La riconciliazione tra Hezbollah e la Jamaa Islamiya, declinazione locale dei Fratelli Musulmani, è avvenuta nel settembre 2020 in occasione della visita di Ismail Haniyeh a Beirut, dove ha potuto organizzare un incontro tra i capi delle due fazioni, Hassan Nasrallah e Azzam Ayoubi.

4“Da Damasco Hamas annuncia di voler ‘voltare pagina’”, Al-Charq Al-Awsat, 20 ottobre 2022.

5«Iranian support vital for Hamas after ties restored with Syria», ibid.

6«Teheran-Beirut. La scelta iraniana di Hamas è definitiva?», Assas Media, 25 ottobre 2022.

7«Hamas decision to restore ties with Syrian government sparks controversy», Middle East Eye, 18 settembre 2022

8«Comincia una nuova era. E la Resistenza è la prima a beneficiarne», Al-Akhbar, 20 ottobre 2022.