Analisi

In Yemen, la fine della guerra sembra finalmente vicina

In occasione del Forum di Doha (26-27 marzo 2022), abbiamo incontrato Helen Lackner, esperta di questioni yemenite. L’abbiamo intervistata per fare il punto sugli sviluppi significativi che ha vissuto un paese dilaniato dalla guerra dal 2015. La nostra conversazione, proseguita nelle settimane successive, è raccolta qui sotto forma di articolo.

L'immagine mostra un incontro formale tra due uomini in abiti tradizionali. Uno dei due indossa una veste di colore marrone chiaro e un copricapo tipico, mentre l'altro è vestito con un abito scuro e una cravatta. Si trovano in un ambiente elegante, arricchito da decorazioni architettoniche e opere d'arte sullo sfondo. I due uomini sembrano scambiare gesti amichevoli, suggerendo un momento di cordialità e rispetto reciproco. Anche altri individui sono visibili sullo sfondo, anch'essi vestiti in modo formale, il che indica l'importanza dell'incontro.
Riyad, 7 aprile 2022. Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman riceve Rashad al-Alimi, presidente del nuovo Consiglio direttivo presidenziale.
SPA/AFP

Il rispetto del cessate il fuoco proclamato il 2 aprile 2022 e il passaggio di poteri, cinque giorni dopo, dal corrotto presidente Abd Rabbo Mansour Hadi al Consiglio direttivo presidenziale: sono i due eventi che rappresentano una tappa decisiva per la risoluzione della guerra in Yemen, entrata il 26 marzo 2022 nel suo ottavo anno. Inoltre, hanno grandi ripercussioni sugli sforzi delle Nazioni Unite per porre fine al conflitto nonché sulle decisioni dei leader della coalizione anti-houthista. E dimostrano, ancora una volta, che la guerra civile internazionalizzata in Yemen può essere risolta solo facendo leva sugli strumenti della politica nazionale e sulle pressioni internazionali.

È la prima volta in sei anni che viene pienamente rispettato un cessate il fuoco generalizzato, il che consente alla popolazione di osservare il Ramadan senza temere i bombardamenti. La durata della tregua è di due mesi, ma può essere rinnovata. A parte il cessate il fuoco, la maggior parte delle richieste degli Houthi sono state, in teoria, soddisfatte, in particolare per quanto riguarda la riapertura dell’aeroporto di Sanaa e l’arrivo di petroliere nel porto di Hodeidah, che è sotto il loro controllo. È auspicabile che riprendano i negoziati per la riapertura delle strade bloccate dalla guerra nel governatorato di Taiz e non solo lì. L’inviato speciale dell’ONU ha superato con successo le perplessità di tutte le coalizioni in guerra.

Ex ambasciatore dell’Unione Europea in Yemen, lo svedese Hans Grundberg ha assunto l’incarico nel settembre 2021 e questo suo primo successo sembra molto incoraggiante. Nell’arco di due mesi, l’inviato potrà portare avanti gli incontri avviati con tutte le fazioni coinvolte oltre a quelle appartenenti alla società civile yemenita al fine di preparare i negoziati per porre fine alla guerra. Se è indubbio che le sue capacità hanno giocato un ruolo per giungere a questo risultato, ci sono diversi fattori legati all’evolversi della guerra, contrassegnata da un evidente stallo militare, che ne hanno facilitato il compito.

Gli Houthi sotto scacco a Marib

Le forze militari Houthi stanno tentando, dall’inizio del 2020, di avanzare verso il governatorato di Marib per avere accesso alle principali risorse di gas e petrolio, nonché alla capitale dell’ultimo governatorato sotto il controllo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (GIR). Dopo aver estirpato le forze governative a ovest della regione, la città di Marib resta per loro inaccessibile, situata com’è in campo aperto, cosa che ha permesso alle forze saudite-emiratine di difenderla dai bombardamenti aerei, che tra l’altro hanno causato enormi perdite umane tra gli Houthi negli ultimi due anni. Lo scorso autunno, i ribelli Houthi sono riusciti ad avanzare a sud del governatorato di Marib oltre che a Shabwa, tentando un’offensiva su più fronti verso la città di Marib.

Le conquiste Houthi di fine 2021 hanno portato a una riorganizzazione del campo anti-houthista. Da un lato, a dicembre, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno costretto il presidente Mansour Hadi a sostituire il governatore di Shabwa, ponendo fine a una lunga resistenza all’influenza degli Emirati in questo governatorato dove si trovano le infrastrutture d’esportazione del gas, la principale risorsa economica del paese. Nonostante la produzione e l’esportazione di gas siano state interrotte a causa delle condizioni di sicurezza all’inizio del 2015 da parte di Total Energies, principale azionista della società yemenita LNG, la regione di Shabwa resta un obiettivo militare chiave per tutti.

All’interno del governatorato, gli Emirati hanno anche mantenuto una base militare mentre i conflitti tra loro, rappresentati dai loro alleati yemeniti e dal GIR, hanno dato origine a un gran numero di scaramucce per tutto il 2021, evidenziando la frammentazione del campo anti-houthista. A Shabwa, l’arrivo delle forze sostenute dagli Emirati ha permesso di respingere gli Houthi, rompendo l’assedio di Marib. È probabile che questo spostamento, insieme alla perdita di migliaia di soldati, abbia convinto i leader Houthi dell’impossibilità di prendere Marib. Da allora, non hanno più potuto contare su una vittoria militare in grado di farli arrivare in una posizione di forza al tavolo delle trattative. Per la prima volta, il tempo non ha giocato a loro favore.

Dall’altro lato, i sempre più frequenti ed efficaci attacchi contro i giacimenti petroliferi in Arabia Saudita, e i primi compiuti contro gli Emirati Arabi Uniti nel gennaio 2022 hanno dimostrato i progressi delle capacità balistiche degli Houthi, con missili o droni armati. Una situazione che forse ha convinto gli Emirati di quanto fosse urgente porre fine al conflitto. A quanto pare, i leader sauditi e quelli emiratini hanno perso la pazienza, visto che, in sette anni, i loro alleati yemeniti non hanno fatto che dividersi, cosa che è costata loro una fortuna in termini di supporto finanziario e militare. Per quanto il fenomeno della corruzione sia legato al clientelismo nella regione, il contributo dato dai leader alle fazioni yemenite, che notoriamente si sono arricchite grazie alla guerra, non è stato in effetti decisivo in campo militare.

Riformare le istituzioni

Indetta su iniziativa dei sauditi sotto l’egida del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), la conferenza intra-yemenita, tenutasi dal 30 marzo al 7 aprile 2022 a Riyadh, sta ottenendo risultati che vanno al di là di ogni aspettativa. Il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e il vicepresidente Ali Muhsin, che hanno governato il paese in maniera inefficace e corrotta, sono stati effettivamente deposti. Ma la sostituzione delle loro cariche sta già avendo un problema di credibilità. La Repubblica dello Yemen include ora un Consiglio direttivo presidenziale composto da otto uomini a cui Hadi ha trasferito i suoi poteri in un discorso televisivo, con un testo dettato dai sauditi. Imposto dai paesi del Golfo con poca o nessuna effettiva partecipazione degli yemeniti, quello attuale è un Consiglio che comprende i leader del partito Al-Islah odiato dagli Emirati, ma anche i salafiti, clienti degli Emirati Arabi Uniti e del regime saudita. È poco probabile che collaborino fattivamente per risolvere i problemi del paese e della sua popolazione.

I recenti appelli dell’Arabia Saudita a coinvolgere gli Houthi nei negoziati non destano sorpresa, ma incontrano diversi ostacoli. In tal modo, l’articolo 7 del documento che annuncia le dimissioni di Hadi conferisce al Consiglio presidenziale la responsabilità di negoziare un cessate il fuoco permanente e di partecipare alle trattative per portare lo Yemen dalla guerra alla pace. Non c’è dubbio che i governi saudita ed emiratino vogliano porre fine a questa guerra. Il sostegno finanziario di 3 miliardi di dollari (2,75 miliardi di euro) da parte degli Emirati e dell’Arabia Saudita alla nuova potenza yemenita è la prova tangibile della serietà delle loro intenzioni.

Da parte sua, Hans Grundberg sta lavorando, sin dall’inizio del suo incarico, alla preparazione dei negoziati tra le parti yemenite. L’ingerenza dei paesi del Golfo negli organi direttivi del paese ha senza dubbio l’obiettivo di dare un aiuto, ma non è chiaro se questa nuova architettura istituzionale potrà facilitarne il compito. Il Consiglio direttivo presidenziale garantisce la rappresentanza delle principali forze militari in campo. Se tutte si dicono pronte a trovare una soluzione, ciascuna di loro ha una diversa interpretazione delle concessioni da fare e per ora non c’è accordo tra i loro diversi punti di vista.

Gli Stati Uniti al seguito

Certo, il fatto che i principali interpreti stranieri siano ora sulla stessa lunghezza d’onda fa supporre che si possa ragionevolmente immaginare l’avvio di nuove trattative già a partire dai prossimi mesi. Anche se è prevedibile la fine del conflitto armato aperto, è alquanto ottimistico aspettarsi una pace a lungo termine, che permetta di risolvere i problemi socioeconomici a cui gli yemeniti vanno incontro. Del resto, non è nemmeno chiaro se alla fine dei negoziati lo Yemen rimarrà un paese unificato.

Come gli stati confinanti, anche gli Stati Uniti hanno ben altre questioni da affrontare – anche nella regione - che la guerra in Yemen. Per loro, ci sono altre priorità, ad esempio i negoziati per rimettere in piedi l’accordo sul nucleare iraniano. Nella sua fase iniziale, l’amministrazione Biden pensava che sarebbe stato facile porre fine alla crisi yemenita e che il successo dell’operazione sarebbe stato di buon auspicio per la sua politica estera, dimostrando la sua capacità di piegare il principe saudita Mohamed bin Salman, con cui è in conflitto latente. Dopo un anno, i drammatici cambiamenti sullo scenario internazionale, nonché l’insuccesso nel riavviare in tempi brevi i negoziati, hanno ridotto notevolmente l’interesse del conflitto agli occhi dei diplomatici americani. Accantonata l’idea di porre fine alla vendita di armi ai sauditi, e viste le conseguenze politiche ed economiche del conflitto in Ucraina, è ancora una volta nell’interesse degli Stati Uniti allinearsi alla politica dei sauditi e degli Emirati nello Yemen.

Di conseguenza, l’amministrazione Biden sta sostenendo gli sforzi dell’inviato speciale dell’ONU, senza cercare di ricoprire un ruolo centrale. Gli Stati Uniti sono inoltre i principali sostenitori degli sforzi umanitari dell’ONU in Yemen, alla luce dell’impegno preso alla Conferenza dei donatori del marzo 2022 di destinare al paese circa 600 milioni di dollari (549 milioni di euro), ovvero il 46% del totale.

Il contesto internazionale relega però il conflitto yemenita in secondo piano in un momento in cui, a livello di politica interna e regionale, ci sono segnali incoraggianti. Il conflitto russo-ucraino sta accentuando la scomparsa dello Yemen dall’attenzione mediatica e diplomatica occidentale, nonostante gli effetti della guerra siano drammatici. L’aumento del prezzo del grano, base dell’alimentazione yemenita, è ancora più disastroso per la popolazione in quanto gli aiuti umanitari sono ridotti a causa degli scarsi finanziamenti internazionali. Resta l’incertezza anche per i rifornimenti provenienti da Russia e Ucraina.