Iran. Le divisioni tra i conservatori portano all’elezione di un presidente riformista

La morte improvvisa del presidente iraniano Ebrahim Raisi in un incidente aereo il 19 maggio 2024 ha portato il paese ad elezioni presidenziali anticipate. Contrariamente a quanto accaduto nelle precedenti tornate elettorali, la vittoria è andata al candidato riformista indipendente, Masoud Pezeshkian, che si è imposto al ballottaggio sullo sfidante conservatore Said Jalili.

L'immagine mostra un gruppo di uomini in una situazione di affollamento. Al centro, un uomo di età avanzata sembra essere il focus dell'attenzione, mentre gli altri uomini lo circondano, alcuni di loro lo toccano o lo sostengono. L'atmosfera appare intensa e focalizzata, con uno sfondo decorato da un drappo o un banner che contiene testo in un'altra lingua. L'espressione dell'uomo centrale è di soddisfazione o di riconoscenza.
Teheran, 5 luglio 2024. Massoud Pezeshkian (al centro) lascia il suo seggio elettorale durante il secondo turno.
ATTA KENARE / AFP

Alle elezioni presidenziali del 28 giugno e del 5 luglio 2024, il regime iraniano sperava di allargare la propria base elettorale, riducendo l’astensione record, che, alle ultime elezioni parlamentari della primavera del 2024, si era attestata sopra la soglia del 40%. Al di là dell’obiettivo politico, l’intenzione del governo era anche quella di creare un clima più sereno all’interno di una società fortemente polarizzata, sul punto di esplodere, come dimostrano le manifestazioni seguite alla morte di Mahsa Amini il 16 settembre 2022. Rendendo possibile la partecipazione di un candidato riformista, Masoud Pezeshkian, il regime ha voluto mandare un segnale ai riformatori per incoraggiarli a partecipare di nuovo in maniera attiva alla vita politica del paese, nel rispetto dell’attuale assetto istituzionale della Repubblica Islamica iraniana basato sulla dottrina del Velayat-e Faqih1. Fin dall’inizio della sua campagna elettorale, Pezeshkian ha infatti ribadito la sua fedeltà alla Guida Suprema dell’Iran, dando prova di aver recepito il messaggio.

La strategia adottata dal governo che nasce dalla consapevolezza della propria crescente impopolarità in una società profondamente trasformata, soprattutto nelle grandi realtà urbane. Il regime non può più imporre gli stessi vincoli sociali senza pagarne un prezzo altissimo. In un contesto regionale di forte tensione, in particolare a causa della guerra a Gaza, l’Iran sta cercando di rasserenare la situazione all’interno del paese. È vero che, rispondendo all’attacco all’ambasciata iraniana in Siria del 13-14 aprile 2024, l’Iran ha voluto dare una prova della propria forza militare e strategica di fronte agli avversari occidentali, ma i successi sulla scena internazionale hanno lasciato indifferente una popolazione ormai stremata dal costo della vita sempre più elevato, e con una classe media sull’orlo del collasso.

Il partito degli astensionisti si è mobilitato per il ballottaggio

Al primo turno delle elezioni non c’è stato l’atteso calo dell’astensione. Anzi il 60% degli iraniani non si è recato alle urne, nella convinzione che le elezioni non avrebbero cambiato nella loro vita quotidiana. Malgrado il risultato deludente per il regime, il tasso d’astensione non è stato quell’emorragia elettorale che ci si sarebbe potuti aspettare sulla scia del movimento “Donna, Vita, Libertà” che ha scosso il paese.

Al secondo turno sono rimasti in corsa solo 2 candidati: il riformista Pezeshkian in testa con il 44,4% dei voti e il conservatore Said Jalili con il 40,3% dei voti. Gli altri due candidati conservatori, Mohammad-Bagher Qalibaf (con oltre il 14% dei voti) e Mostafa Pourmohammadi (con lo 0,88%) hanno chiesto ai propri elettori di votare per Jalili. In un contesto politico così delineato, si poteva pensare a una vittoria scontata del candidato conservatore. E invece la dinamica elettorale del secondo turno ha cambiato del tutto le carte in tavola. Pezeshkian è diventato il nuovo presidente della Repubblica iraniana con quasi il 54% dei voti al termine di una campagna elettorale in cui l’affluenza ha raggiunto quasi il 50%. I 6 milioni di astensionisti hanno partecipato al secondo turno, tutti votando a favore del candidato riformista. Storicamente, gli iraniani hanno sempre saputo approfittare degli esigui margini di manovra che possono lasciare le elezioni, in gran parte rigidamente controllate dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione2, per mandare un chiaro messaggio al governo. L’espressione del loro voto non è sempre a favore di un candidato o di una coalizione, ma spesso contro il suo avversario.

Oltre ai 6 milioni di astensionisti, che non si erano recati alle urne al primo turno, Pezeshkian ha indubbiamente beneficiato dei voti di una parte dell’elettorato di Qalibaf che non ha seguito l’appello del proprio leader a votare per Jalili. In realtà, la vittoria del candidato riformista è dovuta anche alla frammentazione del campo dei conservatori, solido ideologicamente ma spesso estremamente diviso a causa di interessi economici in contrasto tra loro. Dopo la scomparsa del generale Qasem Soleimani, ucciso il 3 gennaio 2020 da un attacco aereo da parte degli Stati Uniti, non c’è più stato un leader carismatico in grado di unire il campo dei conservatori. La nomina di Qalibaf a presidente del parlamento è un chiaro esempio della divisione che regna nel campo conservatore. Qalibaf è stato eletto solo grazie al sostegno dei parlamentari d’area riformista in un parlamento a maggioranza composto da conservatori.

Cosa può cambiare

È da escludersi che Pezeshkian sarà in grado di riformare il regime. Il presidente neoeletto non ha mai avuto legami organici o di militanza all’interno dei partiti o dei gruppi riformisti. Spesso descritto come un riformatore conservatore, Pezeshkian ha però maggiori margini di manovra non dovendosi scontrare in ogni caso con un muro di parlamentari conservatori coalizzati contro di lui. Dal punto di vista finanziario, non è mai stato coinvolto in scandali, a differenza di molti altri leader politici, sia d’area conservatrice che riformista. A livello di politica interna, l’obiettivo del neopresidente sarà quello di instaurare un maggiore clima di tolleranza nella sfera sociale. Una parte degli astensionisti che hanno votato per lui lo aspettano però alla prova dei fatti. È improbabile che il parlamento composto in maggioranza da conservatori possa costituire per lui un ostacolo insormontabile, e anche le divisioni tra i conservatori potrebbero giocare a suo favore. Inoltre, il forte astensionismo e la scarsa affluenza alle ultime elezioni viene interpretato come un segnale allarmante da una parte dei conservatori, cosa che ha spinto il partito a una riflessione sulle cause che hanno portato a un tale esito.

Sulle aspettative in materia economica deve prevale però una forte cautela. Come tutti gli altri candidati, anche Pezeshkian è un sostenitore del libero mercato ed è circondato da economisti ultraliberisti come Masoud Nili e Ali Tayebnia. Quest’ultimo, ministro dell’Economia nel primo governo di Hassan Rouhani (2013-2017), è stato criticato per i metodi adottati nella lotta all’inflazione, una strategia che, secondo alcuni economisti, avrebbe portato alla fuga di capitali dal paese per un totale di quasi 100 miliardi di dollari (92 miliardi di euro).

Pochi margini di manovra in campo internazionale

Nel corso della campagna elettorale, Pezeshkian si è impegnato ad attuare una politica di apertura verso l’Occidente. Ma anche in questo caso, non bisogna aspettarsi grandi cambiamenti. I principali orientamenti della politica estera vengono decisi altrove e il ruolo del presidente e del suo ministro degli Esteri si riduce a seguire la linea definita dalla Guida Suprema. Durante il mandato dell’ex presidente Raisi e del suo ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian (morto anche lui nell’attacco), l’accordo strategico con l’Arabia Saudita, sotto l’egida della Cina, è stato firmato nel marzo 2023 da Ali Shamkhani, rappresentante del Consiglio di sicurezza nazionale, e non da Raisi o Amir-Abdollahian, sebbene fossero molto vicini alla Guida. Nell’ambito delle competenze della Guida rientrano infatti anche i temi sensibili relativi alla strategia dell’“asse della resistenza” e ai possibili accordi con l’Occidente. È vero che il presidente e il suo ministro degli Esteri possono accelerare o rallentare la negoziazione di alcuni dossier, come nel caso delle relazioni con Cina e Russia, ma il loro margine di azione rimane però estremamente limitato. L’epoca dell’ex ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif (2013-2021), molto apprezzato in Occidente, è definitivamente tramontata. Nonostante la sua intensa partecipazione alla campagna elettorale di Pezeshkian, è improbabile che Zarif possa ricevere in futuro l’incarico di responsabile della diplomazia del paese.

Tuttavia, l’arrivo di Pezeshkian al potere potrebbe essere visto favorevolmente da Washington. I due paesi hanno adottato la stessa posizione politica sulla guerra in corso a Gaza per cercare di frenare un’escalation regionale del conflitto. Al fine di non aggravare le tensioni con l’Iran, Washington è intervenuta insieme all’Unione europea per rendere meno aggressiva la mozione presentata da Regno Unito, Francia e Germania al Consiglio di sicurezza dell’Onu all’indomani dell’attacco iraniano contro Israele. Da parte sua, Teheran, che non ha intenzione di chiudere definitivamente le porte all’Occidente, continua a negoziare con Washington attraverso la mediazione del governo dell’Oman. Per Teheran, l’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) – accordo firmato a Vienna nel 2015 e da cui gli Stati Uniti di Donald Trump si sono ritirati nel 2018 – è chiuso. Ma la speranza è di arrivare ad accordi ad hoc per liberare i fondi bloccati all’estero, tanto più che un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca rischierebbe di chiudere tutte le porte. In un mondo scosso dalle tensioni, l’Iran, malgrado la potenza militare, ha urgente bisogno di massicci investimenti per rimettere in moto la propria economia. Per ora, né l’entrata nel gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) né l’adesione all’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (OCS) hanno prodotto i risultati sperati.

1L’Iran si regge sulla dottrina teologico-politica teorizzata dall’ayatollah Khomeini del “governo del giureconsulto” o “potere politico carismatico del giurista-teologo” (Velayat-e Faqih in persiano), secondo la quale solo i religiosi sono legittimati a guidare il governo del paese. [Ndr].

2La principale funzione del Consiglio è quella di vegliare sulla compatibilità delle leggi con la Costituzione e con l’Islam. Riguardo alle elezioni presidenziali, il Consiglio dei Guardiani della Costituzione vaglia la validità delle candidature, e può anche invalidare il voto popolare. [NdT].