Iraq. I turisti tornano a Mosul
Liberata dal giogo dell’ISIS nel 2017, la città prosegue la sua dolorosa ricostruzione. Tra le macerie della città vecchia, guide locali organizzano visite per i turisti. Per Mosul, è un ritorno timido ma pieno di speranza sulla scena turistica irachena. Reportage.
“Allora, anche a te tutta la famiglia ha cercato di convincerti a non venire in Iraq?”, Matias, turista canadese di 28 anni, rivolge questa domanda a Ryan, originario del suo stesso paese. Quest’ultimo annuisce con aria complice. È la prima volta che i due si incontrano. Quando si sono iscritti alla visita guidata del giorno, non si aspettavano di incontrare un connazionale.
Mosul. Un nome che evoca immagini funeste. Nonostante le continue guerre e insurrezioni subite nella seconda metà del Novecento, è all’occupazione americana durata dal 2003 al 2011, quindi alla conquista da parte dell’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS) nel 2014, che la città deve la sua triste reputazione. Per tre anni è stata teatro della violenza estrema dell’organizzazione terroristica: persecuzioni, lapidazioni, esecuzioni pubbliche, carestie di ogni tipo... Mosul ha visto l’inferno scatenarsi al suo interno. Quando è stata liberata nel sangue, nel 2017, si è risvegliata mutilata della sua città vecchia, dei suoi monumenti archeologici e religiosi e di decine di migliaia di abitanti, uccisi o costretti alla fuga.
Non c’è da stupirsi se Ryan e Matias, dopo aver annunciato ai loro cari l’intenzione di recarvisi, si siano trovati di fronte a un muro di incomprensione. “Mi prendevano tutti per pazzo. Mi parlavano di guerra, terrorismo, rapimenti...”, elenca il primo. Moomen Ramadan, guida turistica ventisettenne, originario del posto, non è sorpreso. “Qui sono successe cose molto gravi. Gli americani, l’ISIS... Tutto questo ha lasciato un segno nella coscienza collettiva. È normale che la gente abbia paura”, ammette. “Ma vedrete con i vostri occhi che è completamente diverso da quello che avete sentito dire”, promette ai turisti che lo accompagnano.

Promuovere il paese
Come loro, ogni anno visitano il paese diverse migliaia di persone: 120.000 nel 2022, oltre 400.000 nel 2024 secondo il media tedesco Bne Intellinews. Cifre triplicate in tre anni, conseguenza diretta degli sforzi di Baghdad, nominata «Capitale del turismo arabo 2025» dalla Lega omonima, per diversificare un’economia ancora largamente dominata dai proventi del petrolio. Sebbene il boom turistico resti limitato alla provincia semiautonoma del Kurdistan iracheno e alle città sante di Najaf e Kerbala, il ministero della Cultura, del Turismo e delle Antichità sta cercando di promuovere l’intero paese. Puntando in particolare sul suo ricco patrimonio culturale. Nasser Ghanem Mourad, responsabile del settore turistico, lo scorso marzo confermava al media saudita Al Eqtisadiah la volontà del governo di “promuovere il turismo archeologico, essendo l’Iraq una destinazione archeologica di prim’ordine, con siti sparsi in tutte le province”, riferendosi alla proliferazione di luoghi di importanza storica, sei dei quali sono stati dichiarati patrimonio mondiale dell’Unesco.

Ryan è venuto in Iraq per un motivo preciso: le rovine di Babilonia, classificate tra le sette meraviglie del mondo antico. Ciò che lo ha portato a Mosul, invece, è una curiosità di tipo diverso. Spiega di voler vedere con i propri occhi ciò che ha visto al telegiornale, sottolineando quanto sia diverso sentire parlare di una cosa e viverla in prima persona. Quello che si percepisce dall’Occidente è sensazionalizzato, strumentalizzato, filtrato più volte prima di raggiungere il pubblico, aggiunge. Venendo qui, Ryan spera di cogliere la realtà così com’è veramente. Indica in lontananza un gruppo di ragazzini che gioca a calcio su un terreno incolto ai piedi di edifici in rovina. “È per capire loro che sono venuto”, spiega. Una visita organizzata da una persona del posto è, secondo lui, l’ideale per farlo.
Il ritorno dei turisti qui incarna una forma di speranza. “La vita riprende finalmente il suo corso. Gli abitanti di Mosul sono felici di veder tornare la gente”, afferma Moomen. “All’inizio ci sembrava strano, perché per vent’anni non tutto quello che arrivava dall’estero era necessariamente una buona notizia”, sottolinea, riferendosi alle truppe americane e ai combattenti dell’ISIS. Da due anni organizza queste visite durante le quali propone di far conoscere Mosul. Situata tra le antiche rovine della città di Hatra e il Kurdistan iracheno, nel cuore della Mesopotamia settentrionale, la città assiste al ritorno dei visitatori. La monumentale moschea incompiuta, commissionata da Saddam Hussein, le vivaci vie commerciali, il minareto pendente... I luoghi turistici non mancano. Anche se la città vecchia, distrutta e ancora in gran parte inagibile, non è pubblicizzata come tale, suscita comunque la curiosità di alcuni turisti. Oggi sono in quattro a volerla vedere, provengono rispettivamente da Canada, Stati Uniti e Portogallo.
Un netto contrasto
L’itinerario inizia all’imbocco delle stradine del suk Bab Al-Saray, cuore commerciale della città da oltre 1300 anni. C’è di tutto: montagne di spezie profumate che sembrano crollare da un momento all’altro, dolciumi, fumi di incenso, bancarelle ricoperte di oggetti in rame lucido, lampade scintillanti, manufatti dai colori sgargianti.
Sotto la struttura metallica, ricostruita dopo la battaglia di Mosul (2016-2017), gli operai lavorano nelle botteghe, i venditori di vestiti vagano sul telefono in attesa dei clienti. Di fronte a un chiosco di yogurt fresco dove Ryan ordina un ayran, un vecchio signore è concentrato a infilare perline in rosari multicolori.

Il gruppo serpeggia tra i vicoli dove è tutto un susseguirsi di bancarelle, barcamenandosi tra i passanti, gli scooter e i rivoli di acqua e di sangue provenienti dalla zona dei macellai. Le carcasse appese al soffitto non lasciano mai indifferenti, secondo Moomen. Dopo una breve deviazione in una piazza in cui dei bassorilievi raccontano la storia della città fino ai recenti sforzi di ricostruzione, li conduce al suk Al-Samak, punto di ritrovo dei pescivendoli. Uno di loro, con gli auricolari sulle orecchie, pulisce il pescato del giorno in diretta su TikTok e invita i turisti a salutare le sue migliaia di follower. È l’ultimo momento in cui si sente ridere. In fondo al vicolo, la città vecchia comincia a scoprire le sue ferite. Il contrasto tra la vivacità dei suk e la devastazione circostante è sconcertante.


I buchi nelle facciate degli edifici sembrano volti terrorizzati, come se le case in rovina continuassero a urlare le atrocità a cui hanno assistito. Il quartiere, roccaforte dei combattenti dell’ISIS e luogo di ritirata durante gli ultimi assalti, è completamente distrutto. È uno scenario di morte che si estende per diversi ettari. I turisti arrancano tra gli edifici crollati. Intorno a loro, tutto, i fori dei proiettili, le costruzioni squarciate o carbonizzate, ogni pietra racconta l’inferno. Delle scritte safe (“sicuro”) sui muri indicano i luoghi bonificati dalle autorità. Se non fosse per quelle, si potrebbe pensare che la distruzione sia avvenuta il giorno prima.

Selfie tra le rovine
Il gruppo cammina a passi felpati, tirando dentro le spalle nel passare attraverso le porte ancora in piedi. È difficile immaginare che qui ci fosse vita prima di questo silenzio tombale. Alcuni adolescenti del posto, maglietta Adidas e sigaretta in bocca, si avvicinano ridendo per punzecchiarli un po’. Su una piazza devastata, ai piedi di un murales che raffigura una bambina con un orsacchiotto, i turisti improvvisano un selfie. Un gesto innocuo in qualsiasi altra parte dell’Iraq, tranne che qui. Scattando questa foto, Matias vuole testimoniare, spiega. Vuole mostrare ai suoi cari e ai suoi follower sui social la realtà di questo luogo e degli eventi che vi si sono svolti. Moomen posa con loro sorridente. I selfie in cui appare si contano a centinaia.

Il giorno prima, grazie alla guida, Matias ha potuto interagire con una donna del quartiere e sua figlia. Parlare con le persone è lo scopo dei suoi numerosi viaggi, come dimostra la sua pagina Instagram, dove scambia parole e maglie da calcio con tutte le persone che incontra nei vari paesi. La donna gli ha raccontato della sua vita precedente, della casa ereditata dalla madre, della sua speranza di ottenere un risarcimento e di ricostruire: “Lei piangeva, io non avevo parole”. Matias poteva solo compatire in silenzio. «Mosul non è un paesino. Questa sofferenza l’hanno vissuta quasi due milioni di abitanti. Questo non si capisce guardando i telegiornali», aggiunge. Moomen approva:
La gente del posto capisce questo desiderio di voler vedere cosa è successo senza il tramite dei media, non considera queste visite indecenti. Così possono raccontare al resto del mondo con le proprie parole quello che hanno patito.
Moomen lo sa meglio di chiunque altro: lui stesso fa parte di questa «gente del posto» che ha sofferto l’indicibile.

“Tutti sono i benvenuti qui, perfino gli americani!”
“Ho trascorso gran parte della mia vita in guerra”, racconta Moomen. Il suo sorriso e il suo volto simpatico nascondono perfettamente i suoi traumi. “È stata molto dura. C’era carenza di cibo e medicine. Molte persone sono morte”. Gli torna in mente un episodio particolarmente emblematico. “Ricordo che l’ISIS aveva impiccato a un lampione un uomo sospettato di spionaggio per conto del governo iracheno. Era vietato a chiunque staccarlo”. Continua, impassibile:
Costringevano la gente a guardare le decapitazioni, gettavano gli omosessuali dai tetti degli edifici, lapidavano chi aveva relazioni extraconiugali. E tutto veniva trasmesso sui social, sui televisori del suk, era impossibile sfuggirvi.
Per lui, come per molti abitanti di Mosul, il turismo incarna la speranza di voltare finalmente pagina e l’opportunità di mostrare la leggendaria ospitalità degli iracheni. “Alcuni abitanti della città ospitano i turisti nelle loro case, condividono con loro i pasti e la loro vita. Siamo persone gentili, accogliamo gli stranieri a braccia aperte, come se facessero parte della nostra famiglia”. Non è raro che lui stesso ospiti dei viaggiatori. La sua attività di guida è in pieno boom. Ne è la prova la sua pagina Instagram con 28.000 follower, dove posa con i suoi clienti provenienti da tutto il mondo. Nelle sue stories, sventola ogni giorno un passaporto di un colore diverso. “Vengono da ogni parte del mondo. Dall’Occidente, naturalmente, ma anche dalla Cina, dalla Russia, dal Giappone, dal mondo arabo... Tutti sono i benvenuti qui, perfino gli americani!”, esclama con una risata.
Appena vent’anni dopo l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, causa diretta della morte di decine di migliaia di civili, un risentimento o quanto meno una certa diffidenza nei confronti degli americani sarebbe comprensibile. Moomen assicura che non è così. “Sappiamo distinguere tra le azioni di un governo e la sua popolazione. Chi viene qui passa dei bei momenti e riparte con impressioni positive”. E a volte con un’altra visione del proprio paese. Come Michael, addetto alla logistica quarantaseienne originario dello Stato di New York, che partecipa alla visita di oggi. Il suo paese classifica i viaggi in Iraq tra quelli più pericolosi (livello 4), da evitare assolutamente.
Questo americano, che ha già viaggiato in oltre 100 paesi, spiega che dopo due settimane in Iraq non ha percepito alcuna ostilità, anzi: «Gli iracheni sono molto accoglienti e generosi». Aggiunge che da quando viaggia fuori dai circuiti turistici tradizionali è diventato più critico nei confronti del suo paese. «Prima non la pensavo così, mi fidavo di ciò che dicevano i politici e i media. Oggi non è più così, soprattutto sulla questione irachena», confida, pur mostrandosi evasivo. L’argomento rimane delicato.

Un lento ritorno alla normalità
Dopo una partita di calcio improvvisata con dei ragazzi del quartiere, il gruppo si ritrova in una via commerciale, ai piedi dell’emblematico minareto pendente conosciuto come Al-Hadba’ (“Il gobbo”). Il suo restauro è stato completato solo poche settimane fa ed è stato inaugurato il 2 settembre 2025, alla presenza del primo ministro iracheno Mohammed Shia Al-Sudani. È in questa moschea che Abu Bakr Al-Baghdadi, ex capo dell’ISIS, ha proclamato il suo califfato. A distanza di undici anni, dopo drammi incommensurabili, la struttura rinasce dalle sue ceneri.

Proprio di fronte, un’area selfie con la scritta Mosul è adibita alle foto da pubblicare sui social. Moomen conclude qui la sua visita. “Siamo considerati un paese pericoloso, siamo sulla lista rossa di tutte le ambasciate. Ma quando si visita la città, ci si rende conto che la realtà è diversa. A poco a poco le cose stanno cambiando”. Indicando la moschea, aggiunge: “Questa ricostruzione, per esempio, è la prova che la città è di nuovo sicura e bella”.

Sulla stessa piazzetta, la Mosul Heritage Art House (“Casa del patrimonio artistico di Mosul”), tappa obbligata per i turisti, si sviluppa su cinque piani. L’edificio ospita un museo che illustra la vita quotidiana tradizionale della città e oggetti del patrimonio locale risalenti a diversi secoli fa, più una caffetteria. Il suo proprietario, Chems Al Rawi, dovrebbe godersi tranquillamente la pensione, ma la sua passione per la città ha preso il sopravvento. Dopo la caduta dell’ISIS nel 2017, è tornato da Erbil, la capitale curda a 80 chilometri di distanza, dove era fuggito con la sua famiglia. Con la casa distrutta e senza lavoro, ha deciso di dare il suo contributo alla ricostruzione della città. Letteralmente.

“Ho costruito questo posto con le mie mani, da solo”, racconta orgoglioso. “Vengono tutti qui, persino Macron ci è passato, proprio lì nella piazza!”, dice ridendo, ricordando quel giorno dell’agosto 2021 in cui il presidente francese, in visita a Mosul, lo ha salutato. Per un attimo, il suo sorriso svanisce. “Ho perso molti familiari durante l’occupazione dell’ISIS e la liberazione. Mi fa piacere veder tornare la gente. È una sorta di rivincita. E guardate, arrivano da tutte le parti!”, si rallegra mostrando gli innumerevoli messaggi e fotografie di turisti che ricoprono le pareti della caffetteria. “E con la riapertura dell’aeroporto, ci aspettiamo ancora più gente. È una buona notizia!”.

Come il minareto, anche l’aeroporto è stato finalmente ristrutturato. È stato inaugurato il 16 luglio 2025, dopo tre anni di lavori, alla presenza del primo ministro. Sebbene non sia stata ancora fissata una data precisa per la ripresa ufficiale dei voli internazionali, a Mosul si attende con impazienza questo momento. Perché dovrebbe ritrasformare la capitale della provincia di Ninive in una città dove vale la pena fermarsi. Più che una tappa, una destinazione a tutti gli effetti. E con il ritorno dei turisti, tornerà anche un senso di normalità.
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