Ritratto

Itamar Ben Gvir, l’ascesa al potere di un fascista israeliano

In Israele, Itamar Ben Gvir, riconosciuto “suprematista ebraico” e sostenitore dell’uso dei metodi più brutali contro i palestinesi, è arrivato ai vertici di governo. Sarà lui, infatti, il ministro della Sicurezza nazionale nel prossimo governo di Benjamin Netanyahu. Fino a ieri considerato ai margini, oggi la sua carriera politica rappresenta l’evoluzione della società israeliana nell’arco di tre decenni.

Itamar Ben Gvir durante un incontro con i suoi sostenitori a Sderot, 26 ottobre 2022.
Gil Cohen-Magen/ AFP

Nella storia del movimento sionista è sempre esistita un’estrema destra fascista, ultracolonialista e razzista. Ma è stata a lungo ampiamente minoritaria, mentre la destra nazionalista assumeva posizioni, a seconda delle circostanze, di vicinanza o ostracismo nei suoi confronti. Il caso più famoso è quello dei Brit Ha’Birionim (“L’Alleanza degli zeloti”), un gruppo che si era dissociato nel 1928 dalla Gioventù della destra sionista, ritenuta troppo moderata. Il suo leader, Abba Achimeir, giornalista di origine ebraica, teneva una rubrica settimanale sul quotidiano Doar Ha-Yom dal titolo “Le cronache di un fascista”. La sua organizzazione durò solo pochi anni. Animato da un esasperato razzismo anti-arabo e dalla paura del comunismo, Achimeir arrivò fino al punto di sostenere Adolf Hitler. Pur riconoscendo il violento antisemitismo del leader nazista, Hitler era prima di tutto un anticomunista, e questa era l’essenziale.

L’Alleanza degli zeloti fu un movimento breve, come lo fu il kahanismo in Israele negli anni ‘70 e ‘80. Il suo nome si deve al rabbino americano Meir David Kahane, che aveva fondato la sua Lega di Difesa Ebraica negli Stati Uniti prima di stabilirsi in Israele nel 1971. Lì il rabbino cominciò a professare un’ideologia che coniugava un misticismo etnico ebraico basato sul culto della Terra d’Israele a un brutale razzismo nei confronti degli “arabi”, di cui si auspicava l’espulsione dalla stessa terra. Dopo tre tentativi falliti, Kahane riuscì a farsi eleggere deputato nel 1984. Ma un accordo generale in Parlamento, con l’unione di destra e sinistra, portò alla sua esclusione. Nel 1988, la Corte Suprema, dopo aver definito il suo partito, il Kach, “razzista”, ne vietò la partecipazione alle elezioni.

Da allora sono passati quarant’anni. Meir Kahane è stato assassinato nel 1990 a New York (da un americano di origine egiziana) e il kahanismo è stato poi disciolto. Ma al suo posto oggi c’è un altro fenomeno, rappresentato drasticamente dall’ascesa di Itamar Ben Gvir alla carica di ministro della Sicurezza nazionale. Se il kahanismo non esiste più formalmente, oggi la sua influenza ideologica è in costante aumento nella società, fino a fare dei suoi eredi il terzo partito in Parlamento per numero di eletti (14 su 120), e della cultura kahanista una forza ideologica di primo piano.

Ricostruire il Tempio

Itamar Ben Gvir aveva quattordici anni quando Kahane venne assassinato. Figlio di una coppia ebrea di origine irachena, Ben Givr non proviene da una famiglia religiosa, eppure ha indossato la kippah fin dall’adolescenza. Si è unito molto presto all’estrema destra più ostile: i kahanisti. Vivendo nel culto dell’eroe scomparso, questi sostengono l’espulsione dei palestinesi, l’esclusiva “sovranità ebraica” sulla terra d’Israele e la ricostruzione del Tempio (distrutto nel 70 d.C. dai Romani), tappe obbligate per l’avvento del Messia. A 18 anni, Ben Gvir diventa il coordinatore dei giovani kahanisti. L’esercito lo dispensa però dal servizio militare. Motivi addotti: il giovane promuove idee sovversive e emana una violenza fuori dal comune. Caratteristiche che lo accompagneranno per tutta la vita.

Una violenza di Ben Givr è rivolta soprattutto contro “gli arabi”, che, secondo lui non hanno nulla a che fare con la terra ebraica. Ma spesso se la prende anche con gli ebrei israeliani che non condividono il suo sfrenato pensiero colonialista. Il nome del suo non-partito, Power Jewish (Potere Ebraico), creato nel 2015, dice tutto. Ben Gvir incarna quello che B’Tselem, l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori palestinesi, definisce “suprematismo ebraico”. Le accuse per dichiarazioni e atti razzisti accompagnano tutta la sua carriera politica e in un’intervista del 2015, Ben Givr ha detto di averne contate 53. Diventato un avvocato molto tardi, la lista dei suoi clienti, ha scritto il quotidiano Haaretz, “si legge come un who’s who degli indagati ebrei per atti di terrorismo e casi di crimini d’odio in Israele”1.

Questo who’s who del terrorismo israeliano rappresenta il suo background sociale e politico da circa tre decenni (oggi ha 46 anni). Fino a poco tempo fa, nel suo salotto troneggiava una grande foto di Baruch Goldstein, il colono kahanista che, nel 1994, dopo gli Accordi israelo-palestinesi di Oslo, causò la morte di 29 musulmani palestinesi in preghiera presso la Tomba dei Patriarchi di Hebron, e il ferimento di altri 125. Nel 2020, su consiglio di alcuni parenti, Ben Gvir ha rimosso la foto di Goldstein dal muro per mettere al suo posto il suo ritratto. Ma c’è ancora una foto del venerato Kahane, con l’autografo del rabbino. E non ha neppure mai nascosto la sua stima per Yigal Amir, il fanatico che, nel 1995, assassinò il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin.

Oltre a una grande kippah ricamata sulla testa, simbolo del sionismo religioso radicale, Ben Gvir indossa anche delle scarpe spesse, emblema dei “giovani delle colline”, fanatici generalmente ultrareligiosi che attraversano ciò che considerano la “Giudea e Samaria” per stabilirsi sui terreni confiscati con la forza ai palestinesi. Il giornalista Armin Rosen di Tablet Magazine, rivista ebraica newyorkese, che ha incontrato Ben Gvir nell’agosto 2022, lo descrive come un uomo che nutre un odio compulsivo verso gli arabi. “Nel corso della nostra intervista, prospettava l’idea di mandare i terroristi sulla sedia elettrica, denunciando che darebbero da mangiare ‘carne di agnello, marmellata e cioccolato’ a degli ‘arabi assassini di ebrei’ nelle carceri israeliane”2, scrive Rosen. Durante l’ultima campagna elettorale ha moderato i toni, ma la sostanza è rimasta la stessa. Se un palestinese lancia una molotov contro un soldato, “deve essere arrestato e poi, dopo aver scontato la pena, espulso” dal paese. E badate che lui non ha “nulla contro gli arabi” in genere. Ma che ci può fare se ai suoi occhi i palestinesi sono quasi tutti terroristi?

I palestinesi d’Israele, una quinta colonna

I suoi discorsi elettorali sono improntati a una retorica populista, che conferma la visione messianica di alcuni, il razzismo di altri, blandendo chi si schiera contro l’odiato establishment. Ben Gvir, che vive a Kyriat Arba, colonia ebraica al confine con Hebron, spinge al limite l’idea che gli ebrei in Israele subiscano un destino simile a quello degli ebrei dell’Europa centrale e orientale nel XIX e XX secolo. In Israele, sono loro che soffrono l’intolleranza degli “arabi”. Proibire agli ebrei di recarsi sulla Spianata delle Moschee nei giorni di preghiera musulmana è una forma di discriminazione. A Gerusalemme, gli ebrei, dice, “hanno paura di andare al Muro del Pianto nella Città Vecchia” araba, proprio dove lui, Ben Gvir, sta collaborando attivamente da decenni alla costante politica di “giudaizzazione” della città, portata avanti sia dallo Stato israeliano che dall’autorità cittadina. “Siamo tornati a casa dopo duemila anni di esilio. È casa nostra. Eppure, ci comportiamo come se qui fossimo degli ospiti”, ha detto ancora al giornalista americano.

Al di là del suo attivismo colonialista, la caratteristica principale di Ben Gvir è la sua offensiva contro i cittadini palestinesi di Israele. Per lui, la principale minaccia per il futuro non si trova in Iran o nei territori palestinesi occupati, dove l’esercito israeliano regna incontrastato. No, il nemico più insidioso si trova all’interno di Israele: sono i cittadini israeliani palestinesi, considerati alla stregua di una “quinta colonna”. È questo ciò che ha indubbiamente contribuito a portargli i voti di un nuovo elettorato. Perché la stragrande maggioranza degli israeliani non conosce i palestinesi che vivono sotto occupazione. Gli unici “arabi” che sono costretti a incontrare sono proprio i palestinesi di Israele. È proprio a loro che pensa la maggioranza degli ebrei israeliani quando afferma di voler vivere “separatamente” dagli arabi3.

Chi è il padrone di casa?

Ecco perché la campagna elettorale di Jewish Power è stata incentrata su un’idea: “Chi è il padrone di casa da queste parti?”. Il suo argomento preferito è quello dell’eterna idea-guida dei kahanisti: “Far capire agli arabi chi comanda”. L’espressione usata, Mi baal habayit? (“Chi è il padrone di casa?”) allude a ciò che ogni israeliano comprende. In ebraico, il termine bayit significa casa, ma significa anche “Tempio”. La domanda posta da Ben Gvir può essere intesa quindi come “Di chi è il Tempio?”. Va inteso così: oggi sono i musulmani che controllano il luogo del Tempio dove è costruita la moschea di Al-Aqsa; e questa è un’altra prova dell’indebita espropriazione subita dagli ebrei. Due settimane prima delle elezioni, Ben Gvir, a capo di un gruppo di fanatici ebrei, è stato visto brandire una pistola nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah. Gridava: “Sono io il padrone di casa qui!”. A Sheikh Jarrah, l’estrema destra israeliana porta avanti da anni una campagna per espropriare ed espellere le famiglie palestinesi.

Anche se ha ammorbidito la sua campagna per allargare la sua base elettorale, Ben Gvir resta attorniato da kahanisti incalliti, concentrati sulla loro vocazione messianica. A uno dei suoi principali seguaci, Yaakov Ben Moshe, si deve la frase: “Noi siamo i barbuti. Noi non crediamo metà in Dio e metà nello Stato”. In altre parole, giuriamo fedeltà solo a Dio4. Dopo il loro successo elettorale, i barbuti, coniugando i dettami della Bibbia e la pratica del krav maga (un metodo di difesa personale e di combattimento corpo a corpo israeliano), sentono il vento in poppa.

Quale sarà il margine di manovra che Netanyahu lascerà a Ben Gvir, una volta diventato ministro della Sicurezza nazionale? “Bibi” è un politico molto più navigato di lui e anche con una maggiore esperienza dei meccanismi del funzionamento dello “Stato profondo”. Ma Ben Gvir non è uno sprovveduto. Netanyahu lo ha aiutato a entrare con forza in Parlamento in cambio di un sostegno per garantire la sua immunità. Offrendogli il posto che sperava di ottenere – quello di capo della polizia – Netanyahu ha solo cercato di proteggersi. Ma cosa farà se Ben Gvir avanzerà nuove richieste? Quest’ultimo ha molte carte da giocare, la più importante è quella che con il suo solo partito – 6 deputati – può far cadere il governo se esce dalla coalizione formata da Netanyahu, che conta solo 64 eletti su 120.

Subito dopo il suo successo elettorale, Ben Gvir e i suoi tirapiedi hanno condotto dei veri e propri raid, con la complicità della polizia, nelle strade di Gerusalemme che portano alla Città Vecchia araba. A Hebron, il 19 novembre, centinaia di suoi sostenitori che partecipavano a una processione religiosa di 30.000 coloni si sono scatenati, saccheggiando degli appartamenti palestinesi, brutalizzando i loro abitanti sotto lo sguardo incurante dei soldati israeliani – alcuni dei quali hanno persino partecipato con grande foga alle brutalità. Non pensate che la schiera di Ben Gvir sia composta solo da “teppisti” da quattro soldi. Certo, ce ne sono molti che provengono da colonie o villaggi disagiati dove domina la precarietà. Ma tra loro ci sono anche molti rampolli della buona società di Tel Aviv e dei giovani “timorati di Dio” gerosolomitani, tutti mobilitati al grido di “morte agli arabi”. Tra gli eletti del partito Jewish Power entrati in Parlamento, figura anche un generale di riserva… Come Arturo Ui, il capo dei criminali ora è protetto da chi fa la legge5. O meglio: in Israele, è diventato lui stesso il capo della polizia.

I timori dello Stato maggiore

Lo Stato maggiore israeliano aveva fatto sapere a Netanyahu che non sarebbe stata accolta favorevolmente la nomina di Bezalel Smotrich, braccio destro di Ben Gvir, al ministero della Difesa. Ma, allo stesso tempo, era preoccupato anche per la nomina di Ben Gvir al ministero della Sicurezza interna. Come avrebbe usato il suo potere da capo della polizia? E come avrebbero reagito le sue truppe se la nascente insurrezione in Cisgiordania si fosse estesa? Nell’ultima aggressione dei coloni israeliani a Hebron, le truppe hanno ovviamente attaccato i palestinesi. Ma si è notato anche un soldato israeliano che picchiava violentemente un attivista anticolonialista ebreo mentre un suo collega spiegava alle telecamere la nuova realtà che d’ora in poi avrebbe regnato nei territori occupati. “Ben Gvir sistemerà le cose da queste parti. Ora sono io che faccio la legge”6, ha detto.

Il soldato filmato autore delle violenze è stato messo in carcere dall’esercito per dieci giorni. Cosa pensate che abbia fatto Ben Gvir? Si è precipitato a far visita alla famiglia dell’aggressore per esprimere il suo sostegno. Un ministro della Sicurezza nazionale che esprime solidarietà all’aggressore, non fa ben sperare per quello che potrebbe presto accadere sotto il suo controllo. Si può immaginare un’imminente violenta aggressione da parte dei coloni e dei loro sostenitori, tanto con Ben Gvir i suoi fiancheggiatori possono sperare nella totale impunità.

Difatti, l’ingresso di Ben Gvir nei più alti circoli del potere israeliano non rappresenta una discontinuità rispetto alle norme dell’occupazione a cui sono sottoposti i palestinesi. Questa non è la prima volta che gli alti vertici israeliani definiscono gli atti commessi dai coloni un “pogrom”. Il 7 dicembre 2008, l’allora primo ministro Ehud Olmert aveva dichiarato: “Mi vergogno del comportamento pogromista dei coloni a Hebron”. Prima di lui, il 30 luglio 2002, anche il colonnello Moshe Givati, consigliere del ministro della Sicurezza interna, aveva definito “pogrom” gli atti dei rivoltosi ebrei. In sintesi, Ben Gvir non è né l’artefice né l’unica incarnazione della violenza coloniale nei territori occupati. Tuttavia, la sua nomina a un dicastero di primo piano rappresenta il punto d’arrivo di un lungo processo che ha visto il kahanismo, in quarant’anni, passare da una posizione marginale all’interno della società israeliana a una legittimità riconosciuta dalla maggioranza della classe politica.

Negli anni ‘80, fu il Likud, all’epoca al potere, ad escludere Kahane dal campo del politicamente corretto. Quando l’ex Primo ministro Ariel Sharon ordinò il ritiro delle colonie dalla Striscia di Gaza nel 2005, Ben Gvir era in prima linea tra i teppisti che assistevano i coloni nella loro resistenza all’evacuazione. Poco dopo, Sharon ebbe un ictus e cadde in coma profondo. Ben Gvir organizzò un barbecue per celebrare l’evento con i suoi amici. Vedeva in questo un “messaggio divino a tutti quelli che vogliono abbandonare la terra d’Israele”. Fanatico determinato, l’uomo era ancora del tutto emarginato.

Colonizzazione e repressione in rapida crescita

Oggi, Ben Gvir incarna, come indica il nome del suo partito, il “potere” raggiunto dal suo movimento che, in mezzo secolo, ha progressivamente portato la popolazione israeliana ad aderire in larga parte a un’ideologia di apartheid, o “ suprematismo ebraico”, come lo chiama l’Ong israeliana B’Tselem. Il kahanismo è morto, ma la sua eredità ha profondamente pervaso gli animi. La sera delle elezioni israeliane, sono stato invitato su France 24 per commentare i risultati elettorali. Uno dei miei interlocutori, un rappresentante del Likud, mi ha spiegato che Ben Gvir non è il personaggio descritto dai suoi avversari. Sosteneva inoltre che fosse un “bravo ragazzo, che vuole il bene di Israele”. Il Likud è ancora al potere, ma è il partito che ha cambiato opinione, non Ben Gvir. Quest’ultimo è solo riuscito a imporre la sua legittimità.

Nella posizione che occuperà, Ben Gvir sarà necessariamente un membro del Gabinetto di sicurezza, il più importante organo governativo. Del resto, sono in pochi ad essersene accorti, ma il nome del suo dicastero è già cambiato. È sempre stato quello della “pubblica sicurezza”. Con Ben Gvir, invece, sarà il “ministero della Sicurezza nazionale”, un modo per dimostrare che avrà maggiore importanza rispetto a quello dei suoi predecessori. L’influenza di Ben Gvir nella Gerusalemme palestinese sarà preponderante, così come lo sarà nelle città e nei villaggi cosiddetti “misti” dove vivono (separatamente) ebrei e palestinesi e in quelli abitati dai soli palestinesi cittadini israeliani, su cui ricadono maggiormente i sospetti di “slealtà”. Ma avrà un’importanza anche maggiore nei territori palestinesi occupati, dal momento che Netanyahu ha accolto la sua richiesta di avere il controllo della polizia di frontiera, finora sottoposta al ministero della Difesa, che è particolarmente noto per la sua brutalità.

Allo stesso tempo, il leader dell’altra frangia del sionismo religioso radicale, Bezalel Smotrich, quando ha capito che non avrebbe ottenuto l’incarico di ministro della Difesa, ha cominciato a reclamare il ministero delle Finanze, chiedendo inoltre che l’amministrazione civile della Cisgiordania sia posta sotto il suo controllo. In breve, finora Ben Gvir ha ottenuto quasi tutto ciò che ha chiesto. Questo non lascia presagire quale sarà il suo futuro politico sotto Netanyahu, ma alimenta due timori: primo, che i sostenitori del movimento Ben Gvir-Smotrich si sentiranno molto più liberi di compiere brutali violazioni contro i palestinesi e anche contro ebrei israeliani anticolonialisti e le loro Ong; secondo, che il Primo ministro è pronto a fare molte concessioni per garantire la sua sopravvivenza politica ed evitare il carcere.

Su Tablet, Armin Rosen ha parlato del programma televisivo satirico A Wonderful Country7, molto seguito in Israele. Cinque settimane prima delle ultime elezioni, è andata in onda una parodia di Ben Gvir, dove il neoministro veste i panni di un grottesco clown nazista, sulle note di “Springtime for Hitler”, il tema musicale della commedia cult di Mel Brooks Per favore, non toccate le vecchiette (1968)8.

Negli Stati Uniti, la comunità ebraica ha da tempo preso le distanze dalla deriva colonialista e fascista di Israele. In Francia, invece, il Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche (Crif) continua a sostenere Israele. Fino a quando? E soprattutto, fino a che punto?

1Judy Maltz, “The Lawyer for Jewish Terrorists Who Started Out by Stealing Rabin’s Car Emblem”, Haaretz, 9 gennaio 2017.

2Armin Rosen, “The Rise of Itamar Ben Gvir”, Tablet, 20 ottobre 2022.

3Sondage Israel Democracy Institute, Or Kashti, «60 % of Israeli Jews favor segregation from Arabs», Haaretz, 6 giugno 2022.

4Rosen, op. cit.

5Riferimento all’opera teatrale di Bertolt Brecht, La resistibile ascesa di Arturo Ui, scritta nel 1941 e che trasponeva l’ascesa al potere di Adolf Hitler nel bel mezzo della malavita.

6Amos Harel, “Amid uptick in Palestinian attacks, Israeli army sends a warning to the incoming government”, Haaretz, 28 novembre 2022.

7Il titolo originale del programma televisiva è Eretz Nehederet [NdT].

8Per favore, non toccate le vecchiette è il titolo italiano del film The Producers diretto da Mel Brooks, al suo esordio come regista. [NdT].