Energia

L’Algeria alla disperata ricerca di compagnie petrolifere estere

In Algeria, la produzione di petrolio vive una fase di stagnazione, snobbata dalle compagnie estere dopo una serie di disavventure burocratiche. Per questo il governo sta facendo di tutto per far tornare le grandi compagnie petrolifere quali ExxonMobil, Shell, BP, Engie, TotalEnergies e molte altre. Ma non sarà facile in quanto la domanda di fabbisogno interno sta esplodendo e le riserve si stanno rapidamente esaurendo.

Un impianto per il trattamento del gas a Krechba, a circa 1.200 km a sud di Algeri.
STR/AFP

Domenica 13 agosto 2023, in una capitale stretta nella morsa del caldo record e senza gran parte del suo gruppo dirigente, è stato nominato un nuovo direttore a capo di un modesto ufficio in termini di dimensioni, ma con un ruolo chiave. L’Agenzia nazionale per la valutazione delle risorse di idrocarburi (ALNAFT, un acronimo che significa letteralmente “petrolio”) ha infatti il compito di assegnare contratti a compagnie estere disposte a investire nel paese, di controllare i piani di sviluppo dei gasdotti e di ratificare la vendita dei diritti minerari. In una parola, l’Agenzia riveste il doppio ruolo di notaio e cancelliere dell’industria petrolifera nazionale.

Per sottolineare l’importanza del momento, era presente anche il ministro dell’Energia e delle Miniere Mohamed Arkab, che ha il ruolo di supervisionare l’intero comparto. In carica da oltre 4 anni, spesso con lunghe assenze, viaggia in giro per il mondo visitando i più grandi giacimenti petroliferi del mondo, da Houston (Texas) a Singapore alla ricerca di investitori. Finora però con scarso successo. Il suo è un esplicito e accorato messaggio:

È nostra intenzione intensificare la produzione in sinergia con Alnaft e Sonatrach, nonché con i nostri partner delle compagnie mondiali con sede in Algeria e con quelle che si stabiliranno qui da noi in futuro1.

Far arrivare nuovi capitali

Non è il primo appello del genere che fa il ministro, ma forse mai era stata tanto auspicata una collaborazione dall’estero con l’industria petrolifera algerina, incentivata nel 2022 dall’aumento del prezzo del greggio e, in misura temporanea, del gas naturale dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Per il 2023 si annunciano però tempi di magra. Il prezzo del greggio ha registrato un calo di circa il 20%, quello del gas è crollato e i tagli dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) non sono certo da sottovalutare (-11% nell’arco di un anno). Da qui la necessità di trovare nuovi capitali per lo sviluppo del settore. La compagnia petrolifera nazionale non dispone più di capitali. Lo Stato obbliga la compagnia a finanziare la produzione di acqua potabile o gli stipendi dei calciatori professionisti del paese.

Il nuovo direttore generale dell’Agenzia, Mourad Beldjehem, un ingegnere che proviene dalla Sonatrach dove gestiva le (difficili) relazioni della compagnia nazionale con le compagnie estere “partner” in progetti comuni in Algeria, è stato accomodante quanto il suo capo. Il nuovo direttore è a conoscenza dei rapporti complessi con gli algerini, dei mali che tradizionalmente li affliggono, dell’eccessiva burocratizzazione, dei controlli e delle contestazioni sui conti fin quasi a confiscarne le rendite da parte dello Stato.

Mourad Beldjehem ha intenzione di risistemare l’Agenzia “in modo che si possa passare dalla reazione alla previsione degli eventi, fino a diventare un luogo sicuro per i clienti”2. La collaborazione tra la Sonatrach e i suoi “partner”, che forniscono bene o male quasi un terzo della produzione nazionale, sarà realizzata da qui in avanti “sulla fiducia, il rispetto, la trasparenza e gli interessi comuni, nell’ambito di una strategia che si rivelerà vantaggiosa per tutti”3.

I delusi dell’Eldorado algerino

Un mare di promesse che forse non basteranno a cancellare i dubbi che assillano i pochi potenziali acquirenti dall’estero disposti a eseguire lavori di esplorazione diretta del sottosuolo algerino. Nel corso degli anni, molti dei partner tra i grandi nomi dell’industria petrolifera internazionale si sono ritirati in punta di piedi o per estenuanti controversie, il più delle volte sancite da una sentenza contraria all’Algeria da parte degli arbitrati internazionali. Dei 77 “partner” che Sonatrach aveva all’apice del suo successo, ne restano oggi meno di una dozzina. La lista delle compagnie deluse dall’Eldorado algerino è lunga. ExxonMobil, Shell, BP, Engie, TotalÉnergies, Anadarko o Anaconda e molte altre hanno gettato la spugna o venduto tutto o parte delle loro quote. E la ripresa continua fortemente a farsi attendere. L’ultimo bando di gara lanciato da Alnaft nel 2020 è stato annullato per mancanza di candidati. Solo l’italiana ENI, diventata il principale partner per le forniture di gas dall’Algeria, ha firmato un contratto secondo la nuova legge del 2019 sugli idrocarburi. Seppur ridotto, è il primo contratto stipulato.

La mancanza di reali investimenti dall’estero, come per il periodo 1986-2006, ha generato nella produzione una stagnazione per quasi vent’anni sotto i 200 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), e questo fa dell’Algeria una potenza petrolifera di seconda fascia rispetto a giganti quali Arabia Saudita, Russia o Iraq che hanno una produzione da dieci a quindici volte superiore. L’inventaire périodique des ressources nationales d’hydrocarbures liquides et gazeux, una pubblicazione ufficiale pubblicata l’ultima volta nel 2015, traccia un quadro allarmante delle riserve. In parole povere, rimane appena un terzo del petrolio recuperabile, mentre il resto è già stato utilizzato. Per il gas naturale, la situazione si presenta meno disastrosa con una metà ancora prelevabile.

Un mercato globale sempre più esigente

Oltre a questa mancanza d’offerta, c’è una clamorosa domanda interna di carburanti e gas. Quasi metà della produzione commercializzata viene oggi consumata a livello locale, non nelle poche fabbriche, ma dalle famiglie algerine, dalle automobili, dai condizionatori d’aria o dal riscaldamento elettrico. Un consumo che aumenta di anno in anno, rosicchiando la produzione esportabile a un ritmo sfrenato di + 9-10% l’anno. Secondo alcuni esperti, nel 2030, vale a dire domani, si prevede che la Sonatrach non avrà più nulla da vendere all’estero, quando il consumo interno arriverà al 100% della produzione! Per ora, il consumo sul mercato interno rappresenta il 70% del volume delle esportazioni e appena il 5% del fatturato della compagnia nazionale, che corre una maratona economica globale come se avesse una sola gamba rispetto agli altri concorrenti.

Un divario tra prezzi internazionali e prezzi agevolati all’interno del paese che è rovinoso per un’economia nazionale senza valuta estera e anche per gli stessi algerini condannati ad un costante peggioramento del loro tenore di vita negli ultimi 10 anni, a causa di una politica dei prezzi incoerente. Le autorità vendono combustibile, gas ed elettricità prodotti dal gas, a un prezzo inferiore rispetto al costo di produzione per molte ragioni, alcune buone altre cattive4. A livello politico, è normale che il popolo algerino benefici della principale ricchezza del paese. Ma non in questi termini che sono totalmente insostenibili a lungo termine. “Ci saranno 40 miliardi in meno di m3 di gas naturale prima del 2030”, ha avvertito nel giugno 2021, davanti al Club Energy di Algeri, l’ex numero 2 di Sonatrach Ali Hached5. Un ex ministro dell’energia e geologo di formazione, Abdelmajid Attar, scrive in una sintesi sulla situazione petrolifera algerina:

Particolare attenzione dovrebbe essere prestata al mantenimento di un equilibrio tra risorse disponibili e distribuzione in modo da soddisfare il fabbisogno energetico del paese a lungo termine, oltre a soddisfare il suo fabbisogno finanziario immediato o nel tempo, e le quantità che possono essere messe a disposizione di clienti terzi.6

Le autorità pubbliche sembrano visibilmente dimenticare che gli idrocarburi forniscono oltre il 95% delle valute necessarie a far funzionare l’economia. Piuttosto che aumentare i prezzi del carburante e dell’elettricità per aumentare la quota esportabile di petrolio, le autorità stanno gettando fumo negli occhi degli algerini, alimentando false speranze come, ad esempio, il fatto di incoraggiare in maniera frenetica l’“export non idrocarburi” che, in fin dei conti, è composto da oltre il 70% di prodotti realizzati con gas naturale super finanziato il cui consumo interno è ulteriormente aumentato7.

Un’altra strada sarebbe quella di ridurre le importazioni. Oggi è ufficialmente vietata l’importazione di quasi un migliaio di articoli, tra cui nuove automobili, medicinali o banane. Ciò ha portato a una grande scarsità di beni aggravata dalla speculazione e dal potere dell’economia informale che hanno portato il presidente algerino Abdelmajid Tebboune a una serie di interventi presso il Ministero del Commercio per gestire la scarsità di beni di prima necessità. Per molto tempo, il presidente ha affidato l’incarico a uno dei suoi fedeli, Kamel Rezig, prima di sacrificarlo alla collera dell’opinione pubblica. Pochi giorni dopo essere caduto in disgrazia, Rezig è stato nominato consigliere tecnico della presidenza prima di lavorare all’ultima trovata di Tebboune, un Consiglio superiore per la regolamentazione delle importazioni dove c’è una rappresentanza di tutti i ministeri. Il coordinamento sarà più efficace rispetto ad un governo dove erano già presenti tutti i ministri? È alquanto improbabile.

La chimera dei BRICS

Altro specchietto per le allodole, molto in voga dopo la visita ufficiale del presidente algerino in Cina lo scorso luglio, era la possibile adesione dell’Algeria al gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), un eterogeneo quintetto di economie mondiali emergenti a capo del Global South (“Sud globale”). Chiaramente, né il presidente né il suo primo ministro si sono recati a Johannesburg per prendere parte al 15esimo vertice BRICS. Unico rappresentante al vertice era il ministro delle Finanze, un oscuro funzionario che parla inglese. Alla fine, un comunicato ha annunciato che la candidatura dell’Algeria, che aveva presentato domanda di adesione insieme ad altri 20 paesi, era stata respinta. Ciò che non è chiaro è come quest’organizzazione possa contribuire a risollevare l’economia algerina.

La caccia agli investitori petroliferi internazionali da parte di Alnaft e del suo amministratore delegato, Mourad Beldjehem, avrà più successo rispetto a quanto fatto dai suoi predecessori? Ma anche nel caso in cui le cose dovessero andare meglio, la sfida più difficile per la ripresa del settore sarà quella di ridurre il consumo sul mercato interno di benzina e gas con un aumento dei prezzi dell’energia. Dal 2016, i gruppi vicini al potere hanno rinunciato ad affrontare una così drastica misura per paura di una reazione popolare che potrebbe mettere fine al regime. Succederà la stessa cosa anche questa volta? L’Algeria sta “procedendo a passi da gigante”8, secondo un recente editoriale di El-Moudjahid, il giornale vicino al regime, che riporta le dichiarazioni del presidente della Repubblica. Ma in quale direzione?

1« Nouveau président, nouveau challenge », Le Courrier d’Algérie, Algeri, 14 agosto 2023.

4La maggior parte del carburante viene consumato nelle quattro province, wilayas, intorno alla capitale, il che relativizza l’aspetto sociale dei sussidi.

7Nel costo di produzione di una tonnellata di cemento (il principale prodotto esportato), ad esempio, il gas rappresenta l’80%. Questo materiale non costituisce pertanto “export non idrocarburi”.

8« À grand pas », El-Moudjahid, Alger, 4 settembre 2023.